Aciman nel deserto di Harvard

6 Aprile 2015

Harvard Square di André Aciman (Guanda 2014) è un romanzo fatto di un personaggio. Un personaggio che entra in scena, prende sempre più spazio, trascina narratore e lettori dentro una vita senza regole e senza futuro, per il tempo di un’estate. Una figura che sovrasta le altre, con impertinenza e dolcezza, lungo il procedere della storia, diventandone spina dorsale e cuore pulsante.

 

Siamo nei mesi più caldi del 1977 a Cambridge, USA, e un dottorando di letteratura ad Harvard incontra un uomo che potrebbe cambiargli la vita. Kalaj, diminutivo di Kalashnikov, è un tassista tunisino musulmano, impulsivo, vulcanico, instancabile e generoso. Ma anche insopportabile nelle continue critiche al modello americano, all’interno del quale, pure, sogna di integrarsi. E il nostro narratore è il suo doppio, intellettuale ebreo, esule da Alessandria, un po’ codardo, con il perenne timore di essere fuori posto.

 

Due modi di essere sradicati, due atteggiamenti opposti per provare a farsi accettare. Ma è quello di Kalaj a contagiarci e a far avanzare il romanzo. Un urlo contro le contraddizioni americane, l’odio per le donne locali a suo avviso rovinate dalla psicanalisi (opinione che non gli impedisce però di rimorchiarne molte), il continuo slancio per una vita che sia alla giornata ma sempre intensa, fatta di esplosioni emotive e sorprese.

 

E il dottorando, di cui mai sapremo il nome, non può che lasciarsi andare – pazienza per lo studio! – a questo ritmo forsennato e vitale. Insieme passano pomeriggi e sere al Cafè Algiers, nottate indimenticabili, conoscono nuovi amici e tantissime ragazze, trovano sempre il pasto e il vino più economici, ma soprattutto condividono la nostalgia di una casa lontana, di una “francesità” tutta inventata, di un mondo arabo che forse non esiste. Loro che, ce lo dice anche il narratore, probabilmente nei rispettivi Paesi non si sarebbero neanche parlati, nel deserto di Harvard, mentre tutti sono partiti per le vacanze, diventano inseparabili.

 

Il romanzo è tutto qui, nell’elastico sempre teso tra vitalismo e nostalgia, nel desiderio del narratore di vivere ed essere come Kalaj, salvo poi tornare alle abitudini ordinate da studente. Gli eventi che dovrebbero costituire l’ossatura della vicenda sono in realtà quasi insignificanti, le situazioni ripetitive e anche le dinamiche tra i due personaggi, arrivati a metà libro, risultano prevedibili. Certo, questi elementi si possono leggere non come criticità ma come scelte, all’insegna di una mimesis in grado di riportare alla luce i ricordi nella loro ripetizione, di mettere a fuoco la banalità dei gesti che, giorno dopo giorno, hanno costruito l’amicizia viscerale tra i due protagonisti. Eppure, leggendo, rimane il dubbio che alla lunga si perdano intensità e tenuta, e viene da chiedersi se un racconto lungo non sarebbe stata la dimensione ideale per la storia di Kalashnikov.

 

Come già nei precedenti romanzi di Aciman, tuttavia, quando la narrazione pare incedere con meno energia, c’è un aspetto che dà una potenza sempre nuova alla vicenda, una sostanza e una forza diverse ai personaggi: la carica erotica che attraversa questa storia fino alla fine. Intere pagine, sia nei dialoghi tra Kalaj e il narratore sia nei pensieri di quest’ultimo, vanno a formare una spassosa – e al contempo serissima – riflessione sulla drague, parola in francese anche nel testo originale, perché quasi intraducibile. Per Kalaj rimorchiare è uno stile di vita: vale sempre la pena e non è mai il momento sbagliato per parlare con una donna, corteggiarla, sedurla. Ed è ciò che cerca a più riprese di trasmettere al dottorando – che in questo è un buon allievo –; non importa la situazione, non contano i timori, le incompatibilità: nella vita tutto «is always about sex». E i passaggi in cui seguiamo questi due improbabili compagni di avventure nelle loro scorribande notturne sono forse i più riusciti del romanzo. Anche su questo fronte, però, è forse lecita una domanda: condensando in una misura più breve la sensualità di alcuni episodi, i dubbi che li nutrono (uno su tutti: «Sex is how we reach the world when we have nothing else to offer to the world?») e le battute di dialogo più sferzanti, questa storia non sarebbe arrivata molto più forte alle teste e alle pance dei lettori?

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