Grafica Editoriale / Il libro bello

8 Febbraio 2020

Corso Matteotti è una lunga strada che scende da Anghiari verso la Valtiberina. È qui che Marta Sironi ospita, in una grande stanza soppalcata, la collezione di Sandro Bortone, che fu studioso, bibliofilo, e direttore della biblioteca Civica di Como. Un paradiso per chi ama i libri, ma la Sironi, oltre che amarli, li studia, come ha dimostrato nelle monografie dedicate a John Alcorn e a Giovanni Pintori. Ad Anghiari i libri, seguendo la classificazione di Bortone, sono raggruppati secondo l’autore della copertina. È da qui che prende le mosse il nuovo studio di Marta Sironi, Il libro bello. Grafica editoriale in Italia tra le due guerre (Unicopli), un volume che si occupa non solo di ciò che è enunciato nel sottotitolo, ma che riflette la storia delle trasformazioni del gusto negli anni Venti e Trenta, ricostruendo le vicende di figure di artisti e di case editrici spesso poco praticate.

 

Va detto subito che è un libro pionieristico, da cui c’è molto da imparare perché, a parte alcuni studi di Paola Pallottino, si occupa di cose nuove, con un’attenzione primaria all’oggetto libro. Lo fa scegliendo alcune storie esemplari di illustratori o di case editrici, ma il volume finisce per diventare anche un importante contributo alla storia dell’editoria italiana tra le due guerre.

La Prima guerra mondiale segna una cesura nel campo della grafica editoriale. Sono anni in cui il consumo di immagini, attraverso il cinema e la fotografia, sta entrando nelle abitudini quotidiane. Questo si riflette in campo editoriale con un’attenzione nuova verso le copertine su cui si concentrano gli sforzi estetici e di comunicazione. La prima figura di artista che si incontra nel libro è Giulio Cisari che lavora per Mondadori, Alpes e Hoepli: le sue sono copertine architettoniche che hanno al tempo stesso una funzione strutturale e decorativa, evolvendo dal liberty all’art déco, ma sempre attingendo alla tradizione figurativa italiana (un punto di riferimento sono le copertine della rivista illustrata ‘Emporium’). Alpes è oggi noto soprattutto per essere stato il primo editore di Gli indifferenti di Moravia (1930), ma la casa editrice milanese, retta da Arnaldo Mussolini, fu un luogo dove si misurò, dopo Cisari, Ubaldo Cosimo Veneziani, oltre a ospitare occasionali apparizioni di Felice Casorati e Mario Sironi.

 

Giulio Cisari, Mondadori, 1932.

 

Dopo la morte di Arnaldo Mussolini (1931) per la Alpes cominciò un periodo di decadenza. Cisari emigrò allora in Mondadori, in quel momento la casa editrice più ambiziosa nel nostro panorama editoriale e che stava organizzando il suo catalogo attorno ad autori di bestseller come Virginio Brocchi, o altri di maggiore spessore letterario come Giuseppe Antonio Borgese. Intendimento di Arnoldo Mondadori era raggiungere un pubblico il più vasto possibile come editore al tempo stesso colto e popolare. Cisari tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta è l’illustratore principe per Mondadori a cui si affiancano, di tanto in tanto, il russo emigrato Vsevolode Nicouline, e, più spesso, Benvenuto Disertori. Mondadori è una casa editrice ammiraglia che può permettersi di far convivere nel suo catalogo illustratori diversi tra loro ma che sappiano soddisfare la necessità di eleganza che i volumi devono avere per far bella mostra non solo nelle vetrine delle librerie, ma nei nuovi salotti borghesi, che immaginiamo ‘Stile Novecento’.

Prima di diventare a sua volta editore Valentino Bompiani fu segretario di Arnoldo Mondadori da cui molto apprese (ad esempio che la casa editrice dev’essere davvero una casa ospitale per i propri autori), ma è probabilmente lui il nostro primo editore moderno. Capisce che per mettersi in luce non basta proporre autori nuovi ma bisogna immaginarsi iniziative nuove per allargare il campo dei possibili lettori. Affida a Bruno Munari la grafica dell’annuale Almanacco Letterario Bompiani, che progetta insieme a Cesare Zavattini per farne al tempo stesso uno strumento di informazione culturale e di diffusione del marchio. Munari mescola fotomontaggi, fotoromanzi che si associano a descrizioni del mondo letterario, nel quale gli scrittori divengono personaggi (è nota la passione dell’editore per il teatro). Bompiani affida al tratto di Mario Vellani Marchi molte delle sue copertine, in un catalogo dove la nuova narrativa italiana si affianca agli americani delle ultime generazioni come Steinbeck e Caldwell.

 

Copertina di Mario Vellani Marchi e sopraccoperta di Caro Bernard, Bompiani 1939.


Il giovane editore è consapevole che per aumentare la diffusione del libro è necessario ricorrere alla pubblicità come per qualsiasi altro prodotto. Lo aiuta vivere a Milano che negli anni Trenta è un avamposto di modernità, il laboratorio dove sta nascendo la nostra società dei consumi. Scopriamo che Carlo Bernari, prima di diventare scrittore (Tre operai) disegna alcune copertine per Bompiani, che si conferma editore che precede i gusti del pubblico: Zavattini illustra da sé alcuni suoi libri, le copertine di Alberto Savinio (Casa la vita, Ascolto il tuo cuore, città) sono affidate al gusto di Piero Fornasetti, allora quasi agli esordi. Il forte senso estetico dell’editore, la voglia di sparigliare, si conferma anche nell’utilizzo di pittori novecenteschi come Marc Chagall e Fernand Léger per le copertine di alcune novità.

Se Bompiani è una punta nel panorama editoriale italiano, nel volume, che ha il pregio di allargare il campo di osservazione al di fuori del conosciuto (la grafica modernista), non vengono trascurati editori popolari come il milanese Vitagliano, sorto nel tumultuoso dopoguerra, dove spicca l’estro inquieto di un artista come Renzo Ventura. Sempre milanese sono la casa editrice Modernissima e la rinnovata Sonzogno, editori popolari ma con una precisa proposta estetica. Comune è la scelta di mettere la donna in copertina. Come spesso accade dopo una guerra, la società non torna quella di prima, così donne sempre più svestite in copertina indicano il cambiamento del senso del pudore.

 

Gino Boccasile, ‘Le grandi firme’, 1938.


L’unica editoria che raggiunge trasversalmente in tutto il Paese ogni classe sociale è quella musicale. Al tramonto dell’età del melodramma corrisponde l’affermazione della canzone napoletana diffusa da un’editoria locale, poi spesso trasferitasi a Milano. L’editoria musicale veicola poi i nuovi ritmi e i nuovi balli (fox trot, charleston, tango), per giungere, nel corso degli anni Venti, alle canzonette e al jazz. Gli spartiti, poi i primi dischi, hanno, qualche volta, illustratori d’eccezione (Manlio Rho, Mario Radice).

Anche l’editoria popolare, “da bancarella”, come Barion di Sesto San Giovanni che ha tra i suoi autori Jack London, o la Casa Editrice Sociale, punta su copertine di immediata riconoscibilità. Deus ex machina di Barion è Ugo Fabietti, un toscano di idee socialiste, che per quarant’anni si batte per un’editoria davvero popolare in Italia. Una figura che meriterebbe di essere studiata meglio e le cui idee sono riprese da Luigi Rusca quando mette mano alla BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) nel secondo dopoguerra. Fabietti cerca di spingere Mondadori a diventare l’editore italiano per il popolo: afferma che è l’unico che ha la forza per farlo, ma l’editore milanese preferisce cercare il suo pubblico di riferimento nella nascente borghesia. A essa sono indirizzati i “Gialli”, un genere di importazione anglosassone che sbarca da noi nel 1929. Mondadori cerca poi di differenziare le sue collane seconda una scelta cromatica: gli “azzurri”, i “verdi”, i “rossi”, i “neri”. Un’idea che funzionerà solo in parte, ma i suoi principali collaboratori, Lorenzo Montano e Luigi Rusca, riescono a indirizzare, nel corso degli anni Trenta, il pubblico verso un’offerta precisa.

 

Copertina di Mario Vellani Marchi e sopraccoperta di Caro Bernard, Bompiani 1939.


Gli anni Trenta sono il primo decennio “a colori” per la diffusione delle pellicole Kodachrome, subito utilizzate in campo editoriale e pubblicitario. ‘Le vie d’Italia’, il diffusissimo periodico del Touring Club, affida le proprie copertine in quadricromia a noti illustratori che fanno conoscere le bellezze del Belpaese, una scelta intermedia tra tradizione e innovazione. Nel corso del decennio emergono due illustratori di grande personalità come Giorgio Tabet e Walter Mollino che sono già figli del XX secolo e percorreranno una lunga carriera nei periodici italiani. Tema comune a tutti è la donna in copertina: si passa dalle donne provocanti degli anni Venti, alla madre di famiglia voluta dal fascismo, un’iconografia che però non aiuta a vendere copie, come dimostra a contrario ‘Grandi firme’, la rivista di racconti in concorrenza a ‘La Lettura’ del Corriere della Sera, ma che conosce una vera popolarità per le copertine ammiccanti di Gino Boccasile (come si celiava all’epoca: “Signorine grandi forme”).

 

Guido Gregorietti, Il tempio della Concordia, ‘Le Vie d’Italia’, maggio 1937.


In generale le copertine dell’ultimo scorcio del decennio sono influenzate dalla diffusione sempre più capillare del cinema, in particolare hollywoodiano. I distributori italiani delle case di produzione di Hollywood mettono a disposizione gratuitamente le fotografie dei film che vengono prontamente riutilizzate nel mondo delle riviste e diffondono la malìa di un mondo lontano, ora a portata di mano. La via italiana all’illustrazione sta cambiando: i rotocalchi che nascono nel corso della Seconda guerra mondiale e subito dopo, sull’esempio di modelli stranieri fanno cercare altre strade all’illustrazione, anche se il successo delle copertine illustrate della ‘Domenica del Corriere’ per tutti gli anni Cinquanta (un milione di copie!) e il lento declino successivo, quando arriva il tempo della TV, fanno capire che i gusti del pubblico sono lenti a cambiare. L’illustrazione è una porta spalancata verso l’immaginazione, cosa che strumenti e media nati più tardi faranno più fatica ad essere.

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