Il secolo di Marisa Bulgheroni
“Cient'anne!” è l’augurio di lunga vita che si fa a Napoli in occasione di un compleanno. Raggiungerli poi, è un altro paio di maniche. Capita oggi a Marisa Bulgheroni che, vigile, vive a Milano in un appartamento dietro piazza Sant’Ambrogio. Marisa è stata la nostra più grande americanista, quando l’America ancora significava sogno, libertà, infiniti spazi. Chissà se i ricordi le fanno compagnia? Cresciuta in una famiglia della buona borghesia comasca, educata insieme alle sorelle a un’idea tradizionale di società ma ribelle per istinto a un destino assegnato: matrimonio, figli, la prigione delle convenzioni sociali tipiche dell’epoca. Inevitabile per lei identificarsi in Jo di Piccole donne, “modello di femminilità irrequieta”. Le vicende della guerra, il tramonto del fascismo e l’Italia nata dalla lotta partigiana, li ha rievocati in un romanzo familiare composito e affascinante come Un saluto attraverso le stelle (2007), un unicum nella produzione di Marisa. Come altre ragazze intellettuali della sua generazione, la Bulgheroni si è laureata con Antonio Banfi alla Statale di Milano, per poi collaborare con la Mondadori, ma la sua vera università sono stati gli anni di redazione nella rivista olivettiana “Comunità”, a metà tra il rigore di Renzo Zorzi e la fantasia di Giorgio Soavi.

Qui ha respirato l’aria del mondo nuovo immaginato da Olivetti traducendo i saggi di Lewis Mumford con la sorella Luciana, conoscendo di prima mano le scienze sociali che arrivavano dagli Stati Uniti, compiendo ardimentosi reportage tra Egitto e Israele. Ma è stato Arturo Schwarz, che allora aveva aperto una piccola casa editrice, ad orientare il suo destino, chiedendole un libro di testimonianze sulla letteratura americana contemporanea. E così Marisa, nell’autunno del 1959, si imbarca a Cherbourg sulla Queen Elizabeth per sbarcare a New York, da poco capitale del XX secolo. Prima di partire era stata a trovare Vittorini (“un uomo bellissimo”) per chiedergli qualche consiglio, ma la sua era già un’altra America. Dopo la generazione dei Faulkner, Fitzgerald ed Hemingway, si annunciava una nuova letteratura americana. Attraverso Dwight MacDonald conosce e intervista, ma è più giusto dire conversa, con Norman Mailer, Ralph Ellison, James Baldwin, l’inaccessibile Carson McCullers, il giovanissimo Philip Roth, ritrova Edmund Wilson conosciuto in Europa, flirta con Saul Bellow, trascorre un weekend con i Lowell. Leggendo quei ritratti sulle vecchie annate de ‘Il Mondo’ proposi a Marisa, che non ha la natura della raccoglitrice, di metterli insieme.
Ne nacque un libro bellissimo, Chiamatemi Ismaele (2013), in cui la Bulgheroni racconta e fa i conti con la sua America dalla fine degli anni Cinquanta fino all’alba del nuovo secolo, attraverso gli incontri con scrittori negli sperimentali anni Sessanta, negli impegnati Settanta e così via. Tornata dagli Stati Uniti intraprese la carriera universitaria (Pavia, Genova, Catania), formando un manipolo di valenti americanisti, affezionatissimi a una docente così anticonvenzionale, capace di metterli a tu per tu con il testo senza trascurare il contesto. La scrittura della Bulgheroni non è mai stata accademica, ma fin dall’inizio comprendeva un soffio narrativo, una nota personale, un grado di speculazione che andava oltre l’occasione. Tutte qualità che si ritrovano nel suo capolavoro critico: Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson (2001, poi ristampato nel 2023 dal Saggiatore per volontà dell’editore amico Luca Formenton), quasi una detection story sulle tracce, in un gioco di specchi, dell’inafferrabile poetessa del New England.

Alla Dickinson la Bulgheroni ha dedicato l’organizzazione di un Meridiano, tutt’ora il bestseller della collana dei classici mondadoriani. L’ultima sua opera Stella Nera (2020) è un dialogo privato e universale col marito, Ennio Valentino, complice e compagno di vita, da poco scomparso.
Aver ascoltato i racconti di Marisa non significa soltanto attraversare il meglio del nostro Novecento: l’azzurro chiarissimo degli occhi di Adriano Olivetti, Eugenio Montale seduttore (intellettuale) e sedotto, le chiacchiere in cucina con Grace Paley, la dissipazione alcolica di John Kerouac, ma anche la restituzione di brandelli di paesaggio scoperti prima del turismo di massa: le isole primitive della Dalmazia, il bianco e il nero della Sicilia barocca, le discese alpine in valli ancora intatte e così via. Istantanee che Marisa sa fissare con un aggettivo definitorio a cui segue una risata che ridimensiona ogni mitologia personale, anche se può ben dire: “Eh sì, ho vissuto”.
