Il giornalismo cooperativo

20 Settembre 2013

Cos’ha di speciale un albero di fico detto “Baniano”, tra tutti gli alberi che popolano il nostro pianeta? “Come il World Wide Web, si sviluppa dove e quanto la fertilità del terreno lo permetta, limitato solo dal suo proprio DNA”: è la ragione per cui il giornalista e imprenditore americano Tom Stites ha dato il nome di Banyan Project al suo progetto di giornalismo comunitario, inaugurato nel 2010. La metafora, secondo il creatore del progetto, “è un’ottima maniera di ricordarci costantemente che il business model di Banyan deve adattarsi perfettamente al Web: ogni divergenza ne limiterebbe la crescita”.

 

Elaborato durante il suo soggiorno al Berkman Center for Internet and Society dell’università di Harvard, nel 2010 e 2011, il progetto di Stites consiste nel creare un insieme di cooperative di giornalismo, i cui azionisti e membri sono gli stessi lettori. Per mezzo dei loro contributi diretti al finanziamento del giornale, i lettori ne assicurano l’integrità e l’indipendenza rispetto ai grandi attori del mercato e della politica.

 

Tom Stites

 

Gli editori e i redattori mantengono il potere decisionale sulla scelta degli argomenti di attualità da trattare, ma si dimostrano molto attenti agli argomenti che interessano il loro lettorato; questi sono identificati tramite il feedback dei lettori, ottenuto tramite un programma informatico dedicato specificamente a tale scopo. Nonostante gli articoli siano accessibili gratuitamente, online, per tutti, i lettori hanno un interesse duplice a divenire membri paganti della cooperativa.

 

Se da un lato possono così continuare ad assicurarsi che argomenti poco o non trattati dalla stampa generalista e dai mezzi d’informazione mainstream continuino ad essere seguiti e pubblicati, possono d’altro canto esprimere i loro suggerimenti, bisogni, e preferenze, con l’assicurazione che questi saranno effettivamente presi in considerazione e posti al centro delle attività della cooperativa.

 

Per questo modello, Tom Stites ha tratto ispirazione dalle sperimentazioni di cooperative nel settore del giornalismo che vengono dall’Italia, dalla Germania, dal Messico - adattandole alle specificità americane. Un esempio è l’italiano Il Manifesto: gestito da un collettivo di giornalisti, questo giornale non distingue tra proprietari, redattori e editori. I dipendenti sono tutti soci e membri della cooperativa, compreso il personale tecnico, e percepiscono lo stesso salario.

 

Il manifesto

 

Nell’attuale congiuntura economica e sociale, in cui il giornalismo classico è, come impresa - e come ogni altro mestiere dell’editoria - messo alla prova dal digitale, numerose sperimentazioni di giornalismo comunitario e cooperativo hanno luogo in più parti del mondo. Sovente, possono contare sul Web come principale strumento d’organizzazione, raccolta, disseminazione di notizie - e sfuggono per la maggior parte ai circuiti mainstream dell’informazione e del giornalismo. Come spiega il sociologo francese Sylvain Parasie, “l’innovazione è stata in massima parte condotta al di fuori della stampa tradizionale (…, è) all’interno di strutture relativamente modeste che i giornalisti hanno innovato, cercando al tempo stesso dei nuovi business model.”

 

Se può essere relativamente semplice cominciare un’attività nel campo del giornalismo comunitario, grazie alle deboli barriere all’entrata proposte dal Web, è però meno facile rimanervi, e ancora meno prosperarvi. Dopo che l’interesse per il giornalismo comunitario ha passato, alcuni anni fa, lo stadio di qualche piccola impresa pioniera, la ricerca di business model sostenibili e riproducibili è ormai sempre più diffusa. Con un successo limitato: come spiega Jan Schaeffer, il primo autore di un rapporto su 46 start-up di giornalismo sul Web presentato nel 2010 dall’American University, “i siti comunitari di giornalismo non sono ancora un affare.”

 

Ciò che è particolarmente interessante nel caso del Banyan Project è per l’appunto che il suo creatore mette l’accento sulla necessità di un modello economico sostenibile per garantire il suo successo. Al di là dei suoi aspetti più esplicitamente politici - l’empowerment tramite l’informazione, e una più grande qualità del coinvolgimento del cittadino nella vita democratica, entrambi ben presenti nella visione di Stites - è dunque l’esplorazione di business model per l’informazione futura a costituire la vera novità e il punto d’interesse centrale del progetto. Dan Gillmor, giornalista e imprenditore ben conosciuto negli Stati Uniti per le sue esplorazioni alla frontiera tra edizione e digitale, nonché “mentore” per il Banyan Project, ha pochi dubbi sull’interesse del progetto: “se il futuro dell’informazione comunitaria vi interessa, (questo progetto) è davvero importante.”



In un settore profondamente scosso dai nuovi usi dell’informazione e dalle nuove pratiche professionali, il giornalismo cooperativo rivisita un modello economico che sta dando buoni risultati in diversi altri campi, dalle cooperative di credito che appartengono a chi deposita danaro, alle cooperative alimentari appartenenti a chi acquista. Un potenziale innovativo che non è peraltro sfuggito alle Nazioni Unite, le quali hanno proclamato il 2012 l’anno internazionale delle cooperative per “rendere il pubblico cosciente dei preziosi contributi delle imprese a modello cooperativo nell’ambito della riduzione della povertà, della creazione di posti di lavoro, e dell’integrazione sociale (…sottolineando) i punti di forza della cooperativa come business model, modo alternativo di far parte del mercato, e servire la causa dello sviluppo socio-economico.”

 

In cosa consiste, dunque, il modello economico proposto dal Banyan Project per le “cooperative d’informazione” comunitarie e appartenenti ai lettori? Per Tom Stites, due aspetti sono fondamentali: la stabilità nel tempo e la replicabilità su scala più ampia, comunità dopo comunità. Il fatto che l’impresa appartenga ai suoi lettori garantisce l’integrità degli editori Banyan, e rende loro più facile tenere in considerazione prima di tutto le esigenze del lettorato piuttosto che quelle degli inserzionisti o d’investitori… poco investiti. Stites fa affidamento sulla rilevanza, l’affidabilità e il “valore civico” del giornalismo che risultano da tale modello, proposto alla comunità Web in maniera gratuita, per convincere un numero importante di lettori fedeli e sufficientemente coinvolti per aderire alla cooperativa come membri/co-proprietari, nonostante la pubblicazione delle notizie abbia luogo in maniera gratuita per la totalità del pubblico.



Le cooperative Banyan sono destinate a essere finanziate principalmente grazie ai regolari contributi dei lettori/membri. Questi contributi sono di un ammontare modesto, è perciò necessario raggiungere una massa critica di lettori per assicurarne la durata nel tempo. A ciò si aggiungono altre fonti di reddito secondarie, come la pubblicità, i contributi degli “Amici di Banyan” (degli attori militanti per il “rafforzamento della democrazia” e interessati al giornalismo alternativo), il crowdfunding, delle donazioni provenienti da diverse fondazioni, eccetera.



La città di Haverhill, nel Massachusetts, Stati Uniti, sessantamila abitanti, è stata scelta come luogo del progetto pilota grazie al suo forte “potenziale cooperativo”: a seguito del declassamento del suo solo giornale quotidiano a un settimanale insufficientemente finanziato, e della chiusura della sua unica stazione radio, Haverhill è diventata ciò che Tom Stites chiama un “deserto di notizie”. La sua vita civica quotidiana potrebbe dunque beneficiare molto di reportage dettagliati e attenti alla dimensione locale; inoltre, rappresenta un terreno fertile per il reclutamento di membri/lettori/proprietari agguerriti e inclini alla sperimentazione.



Nel giornalismo, così come in altri settori, le cooperative portano una risposta “dal basso” alle nuove pratiche dei lettori e dei professionisti dell’informazione, nel momento stesso in cui le grandi imprese esitano spesso a rinnovarsi al ritmo sostenuto da loro imposto. La necessità di una pluralità di fonti d’informazione di qualità, rapide e rilevanti “a livello locale” da un lato, e la possibilità di condividere e pubblicare queste informazioni in maniera quasi istantanea sul Web, dall’altro: ecco ciò che potrebbe, nella congiuntura economica attuale, rendere la cooperativa un modello duraturo e flessibile per il giornalismo.

 

Il presente articolo è apparso in francese su Labs Hadopi (“Le journalisme coopératif: un modèle économique durable pour les futures sources d’information?”)

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