Speciale
Paesi e città. Celle Ligure
“– Ha visto che mare?
Quando è così, al mio paese dicono che prega.
Il sole si era abbassato sul mare, la luce serrava un cielo che componeva poco a poco un’immagine del morire.”
Una domanda che resta sospesa sulla luce del tramonto mentre le parole di Francesco Biamonti si aprono a panorami esistenziali.
Solo il suono delle parole è lo stesso. “Ha visto che mare?” è una domanda tra le più comuni tra turisti di un giorno o di una stagione; può essere un preambolo di conversazione, introduzione a una giornata che ci aspettiamo perfetta.
Il panorama in questo caso non è esistenziale né inaspettato: tutto a portata di lettino e ombrellone; il bar, appena dietro, già vive tra bibite e croissant, gli spritz e il ristorante sono più distanti solo poche ore. Davanti c’è solo un lembo di mar ligure ma che nelle aspettative di quella domanda ha la superficie piatta e leggermente increspata da un refolo di tramontana, il fondo ancora visibile a qualche metro dalla riva.
Francesco Biamonti quel mare lo guardava dall’alto, da colline rocciose, da bricchi non molto diversi da quelli dietro Celle Ligure, solo poche decine di chilometri ad Ovest.
Da lì poteva chiedersi: “Non sta a me dire cosa è il mio mare… Per un ligure credo sia sempre stato un elemento del paesaggio. È un varco ma anche un deserto”.
Varco e deserto, è esattamente la sensazione e il fascino che il mare d’inverno esprime durante una giornata qualunque, quando cabine e ombrelloni sono riposti e la costa è come è sempre stata.
Mi viene spesso a mente lo sguardo di Biamonti quando mi interrogo sul luogo dove abito, ormai da più di vent’anni. Celle Ligure, è un paese di quasi cinquemila abitanti sulla riviera ligure di ponente in provincia di Savona. Conta diverse frazioni aggrappate ai monti che circondano il borgo marinaro: Pecorile, Cassisi, Boschi, Ferrari, Bottini Sanda, Brasi, Costa, Natta evocano con i loro toponimi un antico, seppure ancora recente passato fatto di terra e fatica, di ulivi, orti, viti, bestiame, legname, transiti di materiale ferroso verso le foreste che ne consentivano la lavorazione. Un’economia antica, tramontata ovunque, tanto più rapidamente dove una grande città o il mare facevano da irresistibili attrattori per una nuova economia costruita su industria e beni di consumo, facilmente acquistabili, facilmente sostituibili. È in quegli anni, quelli del boom economico, che nasce la figura del turista di un giorno o di una stagione e la vacanza diventa un nuovo consumo.
Celle Ligure e altri comuni limitrofi hanno avuto queste nuove possibilità, Genova a una trentina di chilometri e spiagge mediterranee sulla porta di casa. Spiagge su cui i turisti – cos’altro se non consumatori fuori casa? – godono e consumano la loro giornata.
Se ci si interroga su luoghi come Celle Ligure è impossibile non interrogarsi come non ci sia solo una forma e sostanza per descriverli. Non più borgo marinaro (solo un pescatore è ancora attivo), non più borgo agrario, vive di turismo quattro mesi all’anno, gli altri sembrano vissuti in attesa che la stagione estiva e la sua economia ricomincino. Così c’è la storia di un paese e il suo presente completamente diverso, c’è un paese d’estate e un altro d’inverno, quando tra novembre e gennaio non mi appare così diverso dal “vuoto” del mio sulla montagna tosco emiliana: locali chiusi ovunque, nei rari bar rimasti aperti (…e io che rimango qui sola a cercare un caffè) poche persone si muovono tra un bicchiere di bianco e quello successivo.

Paese con architetture rimaste pressoché integre, paese di seconde case, molto amato dai turisti lombardi e milanesi, in estate sembra galleggiare in un benessere che non vuole domande e non cerca risposte. Del resto la vacanza è vacanza, dal verbo latino vacare, approssimativamente essere vuoto, senza occupazioni.
Giusto così, soprattutto per i turisti che riempiono le spiagge e i locali. Si può essere turisti di un giorno o di una stagione ma prima e dopo ci sono e ci saranno il lavoro, la vita sempre complessa della città, le ansie globali mai così pressanti come in questa nostra contemporaneità. E allora anche la vacanza “spritz lettino e ombrellone” sembra avere un senso; anche i ristoranti sempre pieni hanno un senso profondo. Per tradizione l’italiano non trova forse nel cibo e nella convivialità una certezza e un rifugio? E peccato se il prezzo medio di un primo piatto viaggia ormai verso i 20 euro quando non li supera, quando un piatto di trenette al pesto (irrisorio il costo delle materie prime) si aggira sui 15 euro. La vacanza è vacanza e non è quando sei turista che ti fai domande, tanto meno cerchi risposte.
Così, provare a descrivere cosa sia un paese in riviera tocca agli altri, a quello che restano e che hanno un rapporto con l’ambiente e con le persone che non si limita alla spiaggia.
Comunque sia resta difficile se si pensa che in paese esistono due parole per designare chi vive a Celle; Cellaschi per quelli che ci sono nati, Cellesi quelli che ci risiedono. Una distinzione perlomeno insolita se il primo termine volesse indicare una sorta di quarto di nobiltà rispetto agli altri abitanti. O forse questa distinzione è ciò che resta di un’antica tradizione e un’antica economia, quando in fondo tutti erano Cellaschi.
Paese di mare scampato all’overtourism credo per la fedeltà dei turisti milanesi alle loro seconde case; il mare d'inverno si sa “…è un concetto che il pensiero non considera, è poco moderno…” e quindi non c’è richiesta di affitti brevi in quei mesi, mentre d’estate quelle case sono gelosamente godute dai rispettivi proprietari. Paese meta delle vacanze della prima moglie di Silvio Berlusconi, in cui è stato per molti anni cellese Fabio Fazio e altri personaggi dello spettacolo, Celle Ligure, almeno per chi la sceglie come meta di vacanze, sembra differenziarsi da altri paesi di questa parte di riviera. Sarebbe una sorta di allure che credo sia eredità abbastanza casuale della sua storia e dalla sua geografia. Un paese che vive di un turismo fedele, un mare pulito, un’architettura scampata agli anni del boom economico le sue principali attrattive, nell’insieme un equilibrio in gran parte “involontario”.
Ma un paese è quello che si vede nei tre quattro mesi estivi? Certo, lo può essere se lo si guarda con la lente economica, legata a una stagionalità schizofrenica quanto apparentemente immutabile.
“Il mare tirerà sempre”, mi dice il mio amico Francesco incontrato per le vie del paese.
Ma davvero sarà sempre così? Davvero sarà questo un nostro panorama comportamentale immutabile?
Non ho risposte mentre cammino nelle strade del paese al culmine dell’estate. Non ho risposte quando salendo verso casa, vicino a oliveti secolari, due alberi di banano, per diversi anni stentati e a rischio di gelata ora vegetano rigogliosamente.
La sensazione è che tutti restiamo come dentro a un limbo di confort che non vuole domande, un limbo appeso all’ombra degli ombrelloni.
Una sensazione che forse non deve essere stata molto distante da quella vissuta da Enrico Ruggeri quando compose “Mare d’inverno”:
…Passerà il freddo
e la spiaggia lentamente si colorerà.
La radio e i giornali e una musica banale si diffonderà,
ma verso sera, uno strano concerto e un ombrellone che rimane aperto.
Mi tuffo perplesso in momenti vissuti di già…
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