Luigi Malerba con le branchie e senza

30 Dicembre 2025

È con grande piacere che saluto l’esordio di un nuovo ottimo critico dell’opera di Luigi Malerba (e per esteso della letteratura italiana contemporanea). Di Malerba Michele Farina aveva già proposto interessanti e precisi interventi saggistici; ma ora si presenta con un libro di ampio e profondo respiro in cui mette a fuoco le ricerche e i risultati derivati anche dalla sua tesi di dottorato all’Università di Milano sotto la magistrale guida di Gianni Turchetta (che firma la puntuale prefazione).

Il titolo del libro è Un narratore anfibio. Luigi Malerba e le forme brevi (Mimesis, 2025). Bisogna perciò in primo luogo chiarire il termine «anfibio» ed è bene farlo con le parole dello stesso Malerba:

“Libro anfibio nel senso che va letto dai ragazzi insieme ai genitori. Per i ragazzi sono favolette, mentre per gli adulti sono, come dice Calvino, apologhi zen o aforismi. Due livelli di lettura confermati anche dalla traduzione francese, tedesca e da quella russa, pubblicate in edizioni per adulti. Devo dire che la prima edizione Einaudi delle Galline pensierose è stata pubblicata negli “Struzzi Ragazzi”, ma le successive edizioni sono state pubblicate negli “Struzzi” per adulti. L’errore che facciamo spesso è di considerare i ragazzi un “prodotto finito” mentre in ognuno di loro già si nasconde un uomo, così come negli adulti (quelli migliori) si nasconde il ragazzo, il Fanciullino pascoliano.”

La dichiarazione è tratta dal libro di interviste Parole al vento curato da Giovanna Bonardi nel 2008 per l’editore Manni. L’intervista è di Felice Sanseverino, risale al 1996 e Malerba si riferisce in particolare alle Galline pensierose, pubblicate da Einaudi nel 1980 con quarta di copertina firmata da Italo Calvino.

Anfibi sono dunque quei libri che possono essere letti con stesso e a un tempo diverso profitto da piccoli e grandi, da «ragazzi» e «genitori». Già qui si avverte, in informativo e neutro sottotono, la vocazione spiazzante di Malerba, che rifugge da ogni scontato luogo comune e continua a proporre, come ha fatto dalla Scoperta dell’alfabeto (1963) a Fantasmi romani (2006), i propri inediti «salti mortali».

Farina illumina in modo acuto e sistematico il ricco, variegato e molteplice mondo narrativo di Malerba, soffermandosi soprattutto (come indica il sottotitolo), sulle «forme brevi».

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In Malerba le cosiddette forme brevi si manifestano in più modelli, a cominciare da quello più noto dei racconti, con cui esordisce nel 1963 con la spumeggiante raccolta della Scoperta dell’alfabeto. All’arte del racconto Malerba si è dedicato con tenace diligenza per decenni, sia nella forma singola del testo stampato su giornali e riviste sia nell’allestimento delle numerose raccolte seguenti: Le rose imperiali (1974), Dopo il pescecane (1979), Testa d’argento (1988), Ti saluto filosofia (2004), la postuma Sull’orlo del cratere (2018).

Malerba non ha praticato l’arte delle forme brevi solo nel genere del racconto ma ha rivisitato e ideato una quantità di altre forme brevi e brevissime, giostrando e giocando su molteplici ispirazioni e modelli, tanto che anche il termine anfibio, come ben sottolinea Farina, può essere utilmente usato per più insiemi e sottoinsiemi, alternando titoli, temi e misure (da alcune pagine a poche righe). Ecco un esplicativo e riassuntivo catalogo di opere e titoli: le sette raccolte (anti)cavalleresche di Millemosche (dal 1969 al 1974), composte con Tonino Guerra; il dizionario Le parole abbandonate. Un repertorio dialettale emiliano (1977); Storiette (1977); Le galline pensierose (1980); Storiette tascabili (1984); gli Epigrammi da Pechino in Cina Cina (1985); Avventure (1997); Le lettere di Ottavia (2004, risalenti al 1956); Profili (2012); I neologissimi (2013, usciti sul «Caffè» di Vicari nel 1977); Consigli inutili e Biografie immaginarie (2014). Si tratta di varie forme in cui Malerba mette a frutto la propria inclinazione alla brevità irridente e folgorante, dalla favola esopica al motto medievale, alla facezia umanistica, all’operetta morale, all’apologo, al proverbio, all’aforisma, all’epigramma. Malerba è lapidario, penetrante, sovverte e diverte. Sia quando parla ai grandi sia quando si rivolge ai ragazzi. E questa sua capacità «anfibia» è straordinaria.

«Tornare al “Malerba breve”», scrive Farina, «mi ha permesso di riattraversare gli anni del suo esordio e della sua affermazione, costeggiando e a volte incrociando alcuni dei libri ai quali ancora oggi è più legata la sua memoria, su tutti Il serpente e Salto mortale». Questi ultimi sono i romanzi capolavori degli anni Sessanta, quelli che hanno fatto di Malerba un fecondo, esemplare e felice (anti)maestro del secondo Novecento.

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Romanzi e racconti; racconti brevi e brevissimi; testi per adulti e altri per bambini e ragazzi (Come il cane diventò amico dell’uomo, 1973; Mozziconi, 1975; Pinocchio con gli stivali, 1977); romanzi attuali e romanzi storici (Il pataffio, 1978; Il fuoco greco, 1990; Le maschere, 1995; Itaca per sempre, 1997); scritture letterarie e cinematografiche (al principio la sceneggiatura e la regia del film Donne e soldati, 1954; poi la sceneggiatura di Poveri homini, 1978). L’universo creativo di Malerba si squaderna in affascinanti scaffali di trame e indagini letterarie, assecondando una vena inventiva, a un tempo seria e beffarda, che non conosce confini.

Farina segue con lenticolare attenzione e perizia i tanti ed estrosi percorsi malerbiani, approfondendo e contribuendo alla comprensione dell’opera complessiva e delle opere singole di Malerba: «L’aggettivo anfibio applicato alle scritture di Malerba, dunque, andrà letto non solo in relazione alla querelle sulle differenze fra letteratura per l’infanzia e letteratura per il pubblico adulto, ma anche per indicare la commistione fra diverse forme della brevità». «A mio avviso», sostiene Farina in sede di bilancio, «il vero salto mortale compiuto da Malerba nella narrativa del nostro secondo Novecento è l’aver saputo innestare» nei modi e nelle forme più persuasive «le inquietudini del suo secolo».

Il libro di Michele Farina, asserisce Turchetta, «mostra una robusta maturità interpretativa, capace di unire la padronanza nell’applicazione delle più aggiornate metodologie di smontaggio dei procedimenti formali alla lucidità delle inquadrature panoramiche»; e «quella che Un narratore anfibio ci lascia udire è una voce critica forte, autorevole, che lascia il segno».

In appendice figura un prezioso scambio di lettere tra Malerba e Giambattista Vicari, Cesare Zavattini, Giuseppe Pontiggia, Andrea Zanzotto, Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni. I «tuoi racconti», gli scrive Pontiggia l’11 novembre 1988, «sono pieni di invenzioni, di diversioni, di scoperte. E sono mirabili per “naturalezza” linguistica (frutto d’arte, di sprezzatura) e per scansione narrativa».

Questo Narratore anfibio di Michele Farina è pertanto un invitante preludio all’imminente centenario malerbiano del 2027.

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