Rigoni Stern ecologista
È difficile misurarsi con un presente storico pieno di crepe e scossoni, c’è un gran daffare intorno al frantumarsi dei paradigmi e alla ricerca di nuovi orizzonti gnoseologici, le discipline sono in pericolo, e l’AI rompe, rompe sempre più. Conclusione, si fa per dire, si dorme male e ci si sveglia con angoscia. Come ha detto l’ottantacinquenne Margaret Atwood qualche giorno fa: «Siamo nel pieno di una tempesta perfetta. […] Come possiamo farcela? Gli unici che staranno benone nel futuro saranno gli scarafaggi» (Vite da Atwood, intervista a Repubblica-il Venerdì, 31ottobre 2025). Questo è l’autobus in cui ci è toccato salire.
Ci rimane, tuttavia, il laboratorio interiore in cui è depositata la nostra vita vissuta e dove si costruisce il possibile di quella che ci resta, e questa è la vera area di gioco in cui possiamo misurarci concretamente. Un gioco molto serio, dove fantasia e eros possono ancora generare il desiderio di vivere. C’è qualcosa di più importante? Ma andiamo con ordine.
Guardandoci in giro, fiutando l’aria che tira, ascoltando i suoni si intercettano le cose preziose che ci stanno attorno, soprattutto certe riflessioni che diventano delle vere officine in cui lavorare con i nostri propri attrezzi e farle diventare strumenti per costruire a nostra volta il nostro personale percorso. Nella “tempesta perfetta” bisogna stare, ma diciamo che ci si può stare anche un po’ meglio. È questa la riflessione offerta dalla mostra Mario Rigoni Stern. Ecologia, impegno civile e cura dei luoghi allestita al Palazzo Bomben di Treviso dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche (fino al 21 dicembre 2025) a cura di Massimo Rossi, direttore della Fondazione, e di Gianbattista Rigoni Stern, figlio dello scrittore. È un rinnovato invito (dopo quello di Asiago del 2023) a riscoprire l’impegno civile di Rigoni Stern (1921-2008) per un corretto rapporto con il mondo naturale e animale, attraverso la sua attività intellettuale, il rapporto con gli artisti, i numerosi interventi su quotidiani e riviste, le lezioni magistrali, le interviste, la collaborazione con la Regione del Veneto. Con un fitto calendario di eventi paralleli dedicati alle molteplici sfaccettature del suo attivismo, a partire dalla letteratura (molto significativa la sezione dedicata al rapporto con Primo Levi).

La ricchezza della mostra ci fa vedere la ricchezza del seminato di Rigoni Stern, della sua profondità etica che non si ferma a una facile “ideologia ecologica”, perché la sua prospettiva è di tipo antropologico in cui l’ambiente assume dimensioni costitutive. “Mai come oggi – scriveva – l’uomo che vive in Paesi industrializzati ha sentito la mancanza di ‘natura’ e la necessità di luoghi: montagne, pianure, fiumi, mari, dove ritrovare serenità ed equilibrio; al punto che viene da pensare che la violenza, l’angoscia, il malvivere, l’apatia e la solitudine, siano da imputare in buona parte all’ambiente generato dalla nostra civiltà” (Uomini, boschi e api, Einaudi, 1983, p.VI).
In un presente tellurico lui era uno che si concentrava sull’elenco delle cose indispensabili da salvaguardare, uno che, mentre la nave affonda, non pensa ad altro che a caricare dell’essenziale la scialuppa di salvataggio. Con l’occhio sempre attento soprattutto ai più giovani. “Ma qui – diceva – nella casa sul monte è più semplice trovare la misura della vita perché le stagioni volgono e hanno un senso, e la notte pure, e l’alba. Anche il lavoro: le patate, la legna, il fieno, gli animali domestici. E i prodotti non hanno il prezzo in denaro ma in vita e infine costano meno, tanto di meno, dei prodotti del Supermercato che non si pagano solo in moneta ma anche con la libertà e la fantasia” (Ecologia non è una moda (1976) in Ecologia, impegno civile e cura dei luoghi p.31).
Osservato in questa dimensione il “dettato” di Rigoni Stern appare come una sorta di subconscio che lavora dentro. Che aiuta a elaborare, a suggerire, a impedire, come l’Arte di cui lo scrittore di Asiago era rappresentante e generoso “attivista” (intensissima la sua collaborazione soprattutto con i pittori). Se è vero, come scrive Umberto Galimberti, che “l’orizzonte antropocentrico è completamente dissolto perché il potere non è più dell’uomo, ma della tecnica che dètta al presunto detentore del potere (l’uomo) la sua utilizzazione, rendendo quest’ultimo mero esecutore delle possibilità tecniche, le quali si esercitano sulla natura e sull’uomo che passivamente le subiscono” (U. Galimberti, Le disavventure della verità, Feltrinelli, 2025), quel subconscio non può che assisterci e difenderci dalle voragini antropologiche del presente. Questo mi pare sia il valore più genuino del lavoro di Mario Rigoni Stern, è come se avesse costruito una vera interiorità fatta di natura in senso stretto che ora si è depositata e sedimentata nella nostra “anima” e da lì agisca.

Rigonistern è il nome dell’asteroide n.12811 scoperto dagli astrofisici dell’Osservatorio di Asiago nel 1996 e dedicato allo scrittore. Un riconoscimento, conferito in vita, proiettato nel futuro a significare l’importanza che l’autore di Il sergente nella neve ha acquisito in una esistenza dedicata al naturale. Come se da lì, in un’estremità dell’universo, egli continuasse a suonare la nostra musica umana. Invitando noi a un esercizio dell’immaginario che lui stesso amava fare: “Ogni tanto – scrisse nel 2004 – vado a rivedere una bella fotografia ripresa da novecentodieci chilometri sopra la nostra testa dal satellite Landsat e la osservo nel silenzio della mia stanza. […] Guardo, ricordo, immagino: come sarà stato questo paesaggio due o tremila anni fa? Mille? Già nella mia lontana infanzia, visto da quest’altezza sarà stato diverso. Come sarà tra cento anni?” (Uno sguardo dall’alto, in Ecologia, impegno civile e cura dei luoghi, Fondazione Benetton Studi Ricerche-Antiga, 2025, p.33).
Ecco l’elaborazione che ci serve, una riflessione che Rigoni Stern ci suggerisce a partire da un “ambientalismo interiore” capace di mettere in moto gli ingredienti fondamentali della fantasia e del desiderio, come si diceva prima. E quel suo subconscio ci serve di fronte a una realtà in qualche modo diseredata/detronizzata dalla tecnologia. La mostra lo conferma. E da un laicissimo lassù, dall’asteroide Rigonistern, lo scrittore di Asiago ci sprona: “Veneto: pianura intensamente popolata che da agricola è diventata industriale, passaggio tra Nord e Sud e tra Ovest ed Est dell’Europa, la prima regione turistica d’Italia, ora terra di immigrati e di multi produzione; alle spalle le montagne. Saranno le montagne la salvezza?” (Uno sguardo dall’alto, p.40).
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