Io la riconosco / Maledetta passeggiata

25 Marzo 2018

Venezia Mestre – Verona, ore 15,30, andata.

 

Non ha fatto in tempo a sedersi di fronte a me che l'ho subito riconosciuta, lei non mi ha vista e neppure sfiorato con lo sguardo ma credo abbia riservato lo stesso trattamento a tutti i passeggeri del vagone. Il taglio dei capelli è diverso, ora sono più corti, forse il colore è meno luminoso ma una faccia così è difficile da dimenticare, – e proprio bella! – la stessa cosa che avevo pensato circa quindici anni fa quando la vidi entrare nella stanza dell'ospedale dove ero ricoverata da qualche giorno. Ricordo che la prima notte per lei non andò molto bene, aveva addosso una rabbia che non le dava pace, credo che avesse chiamato (imprecando) almeno una decina di volte l'infermiera, come vicina di letto era piuttosto impegnativa ma “per fortuna” io ero ancora intontita dall'anestesia e gli antidolorifici avevano fatto il resto regalandomi i sogni di una bimba che avesse incautamente assaggiato del peyote. 

 

La mattina mi sono svegliata di soprassalto, catapultata nella realtà adulta da una sonora bestemmia urlata a “tutto il fottuto reparto” oltre che a quella “troia” di infermiera di notte che non l'aveva assistita. Durante il giorno mi sono resa conto che effettivamente tutte le infermiere la evitavano. A ben vedere, benché io fossi sedata e intontita, avevo riconosciuto subito nella postura, nel linguaggio e nel modo di porsi con il personale una ex tossica. Protetta dalla mia condizione di inferma e contando sul fatto che non avrebbe mai aggredito un povero essere macilento, costretto a letto, bloccato da flebo e catetere, cercai di calmarla consigliandole di attendere il passaggio dei dottori e così domandare loro qualche sedativo efficace, ricordo anche, per sommi capi, ciò che maldestramente aggiunsi – ...si vede che stai male, ti devono per forza dare qualcosa ma, a parte il fatto che le infermiere non hanno questo potere, temo anche che pensino che tu stia simulando – mi fissò intensamente e chiese secca – ma si vede così tanto? – cosa? – dissi io – si vede così tanto che mi facevo? – le mentii dicendole che me ne ero accorta solo perché avevo l'occhio allenato… e perché la mia scuola… la mia città e tutta la mia generazione ne era stata colpita. Mi andò bene, anche il consiglio datole funzionò, infatti dopo aver parlato con calma, quasi con garbo, a una giovane dottoressa ottenne ciò di cui aveva bisogno per non soffrire inutilmente. Così la giornata passò tranquilla fra un sonnellino e l'altro. 

 

Di notte venni svegliata dal bagliore e dall'odore di una sigaretta, era lei, aveva aperto la finestra e stava fumando seduta sul mio letto – ti ho svegliata? – le mentii di nuovo e senza aspettare altro o chiedermi nulla, si mise a parlare ricordando la sua infanzia, partendo da lontano, molto lontano. – Mia mamma è austriaca, una fissata naturista vegetariana. Mio padre friulano, un boscaiolo. Erano tutti due belli, si sono piaciuti e, subito, sposati. Un giorno hanno fatto una passeggiata vicino a Monteaperta e, nel culo del bosco più lontano, hanno trovato una vecchia casa decrepita di cui si sono innamorati e subito l'hanno comprata. Poi siamo nate noi, io e mia sorella, abbiamo un anno di differenza, ma lei è diversa da me. Mio padre era sempre “dietro” (appresso) alla casa, il tetto, le travi, gli infissi... non finiva mai.

 

Da quando sono piccola mi ricordo la betoniera davanti alla porta, l'ho vista arrugginire e invecchiare… quella stronza. Non sono andata all'asilo, troppo lontano e quando sono andata a scuola… La prima festa di compleanno? Un incubo. Mia mamma aveva fatto le torte, ma quelle “biologiche” e aveva caricato sulla Jeep tanti bambini, i miei compagni di classe, per portarli a casa e farmi una sorpresa. Sai che sorpresa! Io mi vergognavo e poi loro, dopo, mica sono più tornati! A scuola mi prendevano in giro, mi chiamavano “il muratore”. Mi sono svegliata in fretta, ho sempre cercato ragazzi più grandi di me, che avessero la macchina per portarmi via da lì, sai che uno aveva più anni di mio padre? Mica ci andavi a piedi in paese! – diede una profonda aspirata e aggiunse – Sarebbe stato tutto diverso se non avessi abitato nel buco di culo di quel maledetto bosco. Ma cosa gli è venuto in testa a quei due di andare a camminare li? Perché sono andati a fare quella passeggiata? Maledetto il giorno in cui l'hanno fatta... quella maledetta passeggiata – il suo sfogo venne brutalmente interrotto dall'accecante luce del neon anticipata per pochi istanti da acuti urli dell'infermiera di turno. 

 

Ora è qui, così vicina, quasi alla stessa distanza di quando era seduta sul mio letto, il suo sguardo casualmente incrocia il mio riflesso nel finestrino, finalmente mi vede! Io non mi lascio sfuggire l'occasione e subito le rivolgo la parola – ti ricordi? – mi guarda fissa e risponde seccamente – cosa? Non la conosco signora! – alla sua bugia rispondo mentendo a mia volta – oh... mi scusi, mi sono sbagliata ma assomiglia tanto a una persona… – e lei, quasi a ignorarmi, voltandosi verso il finestrino mi risponde sottovoce – non importa signora, succede –.

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