Enrico Macioci. La dissoluzione familiare

22 Maggio 2012

Viene da chiedersi: La dissoluzione familiare di Enrico Macioci (Indiana, 331 pp, 24,50 €) è un romanzo? La domanda sembra il titolo di un quadro di Magritte, visto che sulla copertina, sotto l’immagine di un libro apparentemente privo di parole ma consunto ai margini come se fosse stato letto, compare la scritta Romanzo, come a dissolvere un dubbio legittimo e prevedibile.

 

È proprio il concatenarsi continuo di ambiguità semantiche e metaletterarie che permette all’autore di giocare con il lettore proponendo innumerevoli “exercises de style”, narrazioni contenute in altre narrazioni che suggeriscono divertenti regressioni all’infinito, elenchi borgesiani in cui le categorie che tengono insieme gli elementi sono prive di qualsiasi criterio intellegibile e la cui lunghezza non può che suscitare una sincera risata, come a chiedersi: “Ma veramente la lista continua per due pagine?”. E tuttavia, da questo proliferare barocco di testo, quasi indipendente da qualsiasi principio di unità e utilità, deriva un’opera interessante, stimolante e divertente, che invita a non perdersi neanche un rigo di questa singolare scrittura fatta di un apparato fittissimo di note, disegni, poesie e spazi vuoti. Il testo si sviluppa come l’infiorescenza di un arbusto infestante, che si estende dove può, senza preoccuparsi di rispettare alcuna gerarchia testuale come quella che esiste fra narrazione e note, tra trama e digressioni, fra personaggi principali e secondari, fra l’oggetto di una descrizione e i suoi minimi particolari.

 

Ma se l’esercizio fosse fine a se stesso, se si trattasse di un semplice divertissement seppur acuto e intelligente, non si arriverebbe alla fine del libro: invece una storia c’è, la direzione di uno sviluppo esiste ed è sancita dai titoli delle tre parti in cui è diviso il romanzo: “Concentrazione”, “Esplosione”, “Dissoluzione”. E il senso del titolo, La dissoluzione familiare, si fa via via più chiaro, iniettando nella trama comica e grottesca l’ambizione, dal mio punto di vista serissima, della comunicazione di contenuti politici ed esistenziali profondi e urgenti.

 

Il romanzo è ambientato in un futuro non così lontano, in un paese dove è avvenuta la Grande Scossa, un terremoto violentissimo che ha segnato una profonda cesura nelle vite degli abitanti della Città. Enrico Macioci, aquilano, ci ripropone dunque gli eventi del 2009, trasfigurati come fossero in un sogno, in cui elementi reali e immaginari si ricompongono in un mondo parallelo e “coerente” che rispecchia l’Italia e gli italiani, i loro vizi e le loro esigenze più inconsce. La vicenda è molto semplice: nell’OSF, l’ospedale tentacolare della Città, luogo di cura e al contempo di internamento di qualunque soggetto “deviante”, nasce un bambino: è Poppy, figlio di Ham Bank (il nome richiama Hamlet, e i suoi infiniti dubbi metafisici) e Madame Kaos. La visita del neonato è l’occasione per i parenti dei genitori di incontrarsi dopo anni di litigi, scandali e silenzi di cui ormai non si conosce più la causa. Si intrecciano così le biografie più strampalate, estreme e divertenti che, proprio in virtù di questa radicalità, rappresentano in modo nitido tendenze umane molto diffuse, anche se sclerotizzate in caratteri distinti. La comédie humaine che Macioci ci propone ha lo scopo di rivelare le dinamiche più vischiose e soffocanti dei legami familiari ravvedendo in essi l’origine, esistenziale e al contempo politica, della nostra scarsa affezione alla libertà. La famiglia è la vera prigione dell’anima, vero ostacolo all’individuazione e avamposto di tutti i poteri forti, che sanno di poter far leva su certi tipi di sentimenti ambivalenti e paralizzanti che, coltivati con cura nel fertile terreno della famiglia italiana, si rendono disponibili alla propaganda del regime di Catodic Man, capo del Governo e sovrano assoluto di un’invasiva macchina mediatica ormai ridotta a pornografia psicologica.

 

Alla cerchia parentale si aggiungono altri personaggi: San G., mistico alle prese con la cura del mondo e della sua anima denutrita e Don Sisma, la cui intelligenza visionaria lo spinge a recarsi all’ospedale per battezzare Poppy, suggerendo così la portata messianica della nuova creatura e del suo ruolo nel mondo. Nel frattempo raggiungono l’OSF Catodic Man in persona, il suo braccio destro Bert Lassative e Viper, il presentatore del programma Fuco, dove si ricostruiscono, con l’aiuto di plastici e comparse sottopagate, le dinamiche del sisma e si celebra la celere ricostruzione della città da parte del Governo (a chi legge l’arduo compito di scoprire a chi si riferiscono, per pura casualità, questi inquietanti personaggi).

 

La parabola del disastro familiare e politico raggiunge il suo culmine nell’incontro di tutte queste esistenze che, al cospetto dell’innocenza di Poppy, si scoprono povere e infelici; una volta sollevato il velo di maya che avvolgeva le credenze dei personaggi e, giocoforza, del lettore, si assiste a una catartica Esplosione, guidata da San G., che sa che dalla crisi più tremenda non può che venire la Soluzione più profonda. La Dissoluzione, ultimo brevissimo capitolo, è dunque l’utopia dell’avvento di un’altra società, che non riusciamo ancora a immaginare ma che intravediamo nelle ultime descrizioni, libera dalle pratiche anguste della tecnica e dai ricatti dell’oikos, la famiglia tradizionalmente intesa, la cui etimologia suggerisce la sua profonda connivenza con un’economia che stritola l’uomo, che senza alcuna consapevolezza le si offre in sacrificio tentando così inutilmente di dare un senso alla propria esistenza e redimersi.

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