Sepúlveda, la versione intima del golpe

11 Settembre 2023

11 settembre 2023. Cinquant’anni dal golpe cileno. Una data, questa, che ha cambiato per sempre la vita di Luis Sepúlveda, così come quella della poetessa Carmen Yáñez, sua compagna. La vita, e anche l’opera: una produzione che, a parte i testi poetici tenuti da Lucho in un cassetto, e quindi pubblicati postumi, si può dire quasi interamente narrativa. Perché Luis Sepúlveda era, essenzialmente, racconto, e i lettori hanno certo colto questo tratto. Ogni occasione per lui si trasformava in racconto.

Le sue stesse uscite in pubblico, molto frequenti in Italia, diventavano regolarmente narrazione. Ricordo che quando, alla festa milanese per i suoi settant’anni, gli si chiese di dirci qualche parola, lui semplicemente s’inventò una storia, che ben poco aveva a che fare con la sua biografia, personale e autoriale. E ricordo anche, qui, le sue specialissime qualità di narratore orale. Lucho non avrebbe potuto o voluto scrivere qualcosa di programmato e sistematico su quella che è stata una tragedia collettiva e individuale.

Senza nulla togliere alla valenza politica della sua testimonianza, si può dire che Sepúlveda ha scritto la versione intima della vicenda storica cilena, intima perché l’ha narrata attraverso la propria, e il proprio sentire. Certo, i riferimenti al colpo di stato del ’73, e a tutto quel che segue e precede, sono frequenti, espliciti e puntuali. Puntuali, cioè necessari e motivati in un certo momento e in un certo contesto. Ecco quel che gli dà verità e corpo. E tutti o quasi a carattere narrativo. Cito a memoria e senza la minima pretesa di completezza. Penso intanto a quel testo, proprio all’inizio del Potere dei sogni, così fitto di nomi dei compagni perduti, un testo che salda il tema resistenziale a quello per lui essenziale della amicizia. Penso all’evocazione molto soggettiva, in uno dei suoi racconti più famosi, degli orrori carcerari di Villa Grimaldi.

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Poi, un altro libro di racconti, Ritratto di gruppo con assenza, tutto marcato ancora da un bisogno di trasmettere, di testimoniare. E un romanzo come L’ombra di quel che eravamo, capace di dare una coloritura nuova allo sdegno e al compianto. E, ancora, la cronaca fremente, nel Generale e il giudice, dell’arresto londinese e del processo intentato a Pinochet per crimini contro l’umanità (formula norimberghiana, vien da dire).  Un episodio, questo, che ha alimentato in lui un’estrema speranza di giustizia, poi delusa. Ma, appunto, non si chiude certo qui la serie degli scritti in cui rivive la vicenda cilena. In un certo senso, è come se lungo tutta la sua produzione scorresse un testo franto, ma tenace, interrotto e sempre ripreso, segnato dall’urgenza, dal trasporto emotivo, da una esigenza morale e insieme dalla spinta narrativa, perché alla fine è poi il narratore a prevalere.

Un narrare, verrebbe da dire, in piena coerenza e continuità con tutta l’opera. Perché Sepúlveda, scrittore di resistenze, avrebbe certamente definito resistente anche il protagonista, davvero memorabile, di quello che resta forse il romanzo più bello, il primo pubblicato in Europa: Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Come non ricordare, d’altronde, che Luis Sepúlveda ha fatto propria (sino a porla in esergo a un suo libro) una frase di Guimarães Rosa: Raccontare è resistere?

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