Cruciverba Sanguineti
Oggi, 9 dicembre, Edoardo Sanguineti avrebbe compiuto 95 anni. Intanto avanza un altro possibile compleanno: nel 1956 usciva presso l'editore Magenta di Varese Laborintus, un'opera che ancora ci interroga con la forza enigmatica ed enigmistica della sua indagine sulla lingua: non a caso il cruciverba è una delle immagini a lui più care, nonché l’oggetto di una mostra e di un convegno tenutisi lo scorso anno a Torino, città della sua formazione e sede oggi dell’importante Centro Studi Interuniversitario a lui dedicato. Edoardo Sanguineti nella città «cruciverba» è infatti il titolo dei due volumi (il primo a cura di Clara Allasia, Donato Pirovano, Lorenzo Resio, Erminio Risso e Chiara Tavella; il secondo a cura di Clara Allasia, Valentina Corosaniti, Calogero Giorgio Priolo, Lorenzo Resio, Erminio Risso, Chiara Tavella e Saverio Vita) pubblicati sul numero XXXIII della rivista «Sinestesie», che raccolgono gli studi derivati dal convegno torinese e il catalogo di una mostra che rende disponibili al pubblico le carte del lavoro sanguinetiano. Lo spettatore può così esplorare il suo laboratorio come l’enigmista che risolve un cruciverba, muovendosi in più direzioni.
Il cruciverba in effetti contempera l’ordine della numerazione e il disordine dei molteplici e casuali percorsi che possono percorrerlo: ma soprattutto è immagine plastica di un ampio patrimonio di conoscenze che si offrono come specchio ed essenza del mondo. Ogni percorso, ogni parola, ogni definizione è una rifrazione di quel mondo e attiva uno degli infiniti percorsi che consentono di esplorarlo. Non stupisce, dunque, che un poeta bricoleur come Sanguineti lo abbia scelto come uno degli emblemi del suo lavoro (lo raccontava nel 1987 in La missione del critico) e della città in cui vive e lavora a due monumentali progetti lessicografici: il Grande Dizionario della Lingua italiana, diretto da Salvatore Battaglia, e il Grande Dizionario Italiano dell’Uso, diretto da Tullio De Mauro.
Grazie a queste due importanti collaborazioni, Sanguineti accumula settantamila schede lessicografiche e circa ottomila pagine di giornale (fonte inesauribile di quei neologismi di cui il poeta era avido cacciatore e indispensabile strumento per un dialogo con l’attualità ritenuto vitale da chi voleva essere prima di tutto critico militante): la passione per la parola che esplora tutte le possibilità della lingua e fa tesoro di tutte le esperienze del passato non è dunque fatuo o maniacale collezionismo, bensì via per realizzare quella storia delle idee e delle ideologie che è una vera e propria costante dell’operare di Sanguineti. Siamo dunque di fronte a un singolarissimo anti-Bembo (è Vittorio Coletti a ricordarlo), un oppositore strenuo del letteraturese, a cui veniva contrapposto uno spazio letterario aperto alla sperimentazione più che chiuso dalla norma. Di conseguenza la lessicografia è strettamente legata all’invenzione poetica (lo rileva anche il poeta e critico Enrico Testa, che mette in evidenza il rapporto strettissimo tra operazione poetica, critica e ideologica) e a quella visione avanguardista della letteratura che Sanguineti stesso contribuì a costruire e diffondere partecipando attivamente alla fondazione del Gruppo ’63. Si chiarisce così, senza ombre, l’insegna autoriale “Ideologia e linguaggio”.

Le recenti acquisizioni del Centro Studi e del convegno torinese confermano dunque il carattere “multimediale” dell’attività intellettuale di Sanguineti, il suo essere un artista “totale” che inventa un linguaggio per trasformare la realtà, per montarne una nuova (e migliore) sulla base dei materiali dispersi nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Si chiarisce così perché per il poeta genovese l’esperienza della poesia fosse da intendere come «vita clandestina»: da un lato per la sua natura continuamente soggetta a trasformazioni, travestimenti, traduzioni inventive (Sanguineti stesso si dedicò con passione all’arte del rifacimento, proponendo importanti e clamorose riletture del Satyricon di Petronio, delle Baccanti di Euripide, oltre che di Shakespeare e Molière). Ma dall’altro, la clandestinità della poesia emerge con chiarezza dal laboratorio che, a partire dal 1951, impegnò Sanguineti nell’elaborazione di Laborintus, di cui Clara Allasia ha evidenziato la lunga e sotterranea gestazione, nonché le fonti che l’autore lasciò volutamente sottotraccia. Attraverso i documenti del Fondo Eredi, ora depositati presso il Centro Studi, emerge infatti un apprendistato poetico di lungo corso (avviato già nel 1945, e poi segnato nel giugno ’49 dalla lettura di un trafiletto di un quotidiano torinese che commentava l’esecuzione capitale in Nevada del giovane Laszo Varga, da cui sarebbe poi derivato il primo titolo del futuro Laborintus). Ma la cronologia nota (Sanguineti stesso raccontava di aver iniziato la composizione di Laszo Varga nella notte tra il 31 dicembre 1950 e il primo gennaio 1951) deve ora essere almeno in parte rivista alla luce dei numerosissimi materiali (talvolta singole varianti appuntate su fogli volanti) che stanno emergendo dal Fondo Eredi. In realtà l’elaborazione della prima raccolta poetica sanguinetiana (che doveva nelle intenzioni dell’autore chiudere e liquidare la letteratura della prima metà del secolo) è molto più magmatica di quanto non si immaginasse e rivela una lunga fase di incubazione e affinamento del progetto. A partire dal 1953 abbiamo infatti un corpus molto ampio di liriche (raccolte sotto il titolo Laberinthus), che per tagli e selezioni successive giungerà nel ’56 ai definitivi 27, e che porta segni evidenti del lavoro che Sanguineti aveva avviato già nella raccolta Composizione, rimasta inedita.
Questi nuovi sondaggi confermano Laborintus come opera tesa a definire una nuova funzione della parola poetica (celebre la sua denuncia del «poetese») e da un alto livello di entropia; tuttavia, proprio come nei capolavori del modernismo europeo, all’effetto di spaesamento e anarchia si accompagna un disegno complessivo che si chiarisce proprio nel confronto coi materiali d’archivio, che confermano la dialettica tra ordine e disordine. La crisi della ragione illuministica (ormai degradata irrimediabilmente a ragione strumentale, come rilevato da Risso) conduce a una disumanizzazione che Sanguineti assume come dato di partenza della sua inchiesta: di qui deriva l’idea di un mondo ridotto a rebus (nel duplice significato di rovello enigmistico e di insieme incondito di cose, dall’ablativo latino di res) rispetto al quale, come ha notato Vittorio Coletti, al poeta non resta che «esibire sé stesso» con la propria «fisica e verbale, delimitata realtà».
Da questa esibizione deriva il mosaico, o meglio il complesso labirintico degli interessi sanguinetiani: dalla politica alla musica, dalla lessicografia all’arte, sempre più emerge il profilo di un artista onnivoro, pienamente novecentesco, aperto e curioso dell’infinita varietà del reale, finanche dei linguaggi giovanili. La lessicomania è l’esito più rappresentativo di questa attitudine inclusiva e moltiplicativa, tra labirinto e modularità. La mera elencazione senza il montaggio perderebbe in effetti gran parte della sua ragion d’essere: Sanguineti lo dichiara in Stracciafoglio 39, dove il suo «progetto di inventario globale» è sì un «catalogo permanente», ma «(da classificare): (da ordinare / e riordinare)». Riordinare significa anche collocare in una prospettiva storica, di cui sono testimonianza le migliaia di schede di retrodatazione del suo schedario lessicografico, strettamente connesse con la passione per i neologismi. Sanguineti incrocia continuamene passato e presente, si interroga sullo statuto stesso delle parole, sul loro incessante farsi e dis-farsi: per questo il cruciverba (e la sua restituzione in forma di scambi ferroviari realizzata per la trasposizione televisiva dell’Orlando Furioso nel 1975 è in questo senso particolarmente efficace) è l’emblema che più compiutamente racchiude la statura intellettuale del poeta genovese che come un cavallo nei romanzi di Sterne o Fielding (l’immagine è di Enrico Testa) percorre instancabile, in sincronia e in diacronia, in orizzontale e in verticale, le stazioni di posta della lingua e del mondo, perché la storia delle parole è la storia dell’uomo nel mondo.
In copertina, fotografia di ©Mauro Dondero.