Speciale

Tavoli | Massimo Recalcati

20 Gennaio 2014

Il luogo di lavoro di Massimo Recalcati non è il tavolo, ma lo studio dell’analista. L'analista non procede con l'addizione e l’accumulo, ma con la sottrazione. Il suo lavoro è quello di operare dei tagli e delle interruzioni nel discorso dell'analizzante in modo che il flusso di pensieri acquisisca una punteggiatura inedita.

 

Il tavolo dell'analista non è dunque il tavolo di chi prova a produrre l'evento del pensiero con l'accumulo del sapere è invece il tavolo di chi opera coi detriti dell'atto analitico: quel sapere che viene fatto in frantumi durante l'analisi. Se infatti l'analisi produce un pensiero non è dell'ordine del sapere, ma di quello della verità. E su questo tavolo vediamo tanti libri che hanno attraversato in modo singolare quella particolare esperienza del pensiero che è la psicoanalisi: Victor Tausk il cui suicidio a quarant'anni fu una pietra dello scandalo del primo movimento psicoanalitico; un lacaniano "militante" e di sinistra come Jorge Aleman; una žižekiana à la page come Alenka Zupančič, ma anche un filosofo molto vicino alla psicoanalisi come Silvano Petrosino. Ma vediamo anche ampiamente rappresentata quella procedura di verità eterogenea al sapere che è l'arte con Kounellis, le interviste ai protagonisti del movimento dell'Arte Povera, il libro sulla mostra dei post-classici e il Salò di Pasolini.

 

Il tavolo dell'analista è quello di chi si siede al tavolo dopo aver finito di lavorare, quando i cocci dell'atto analitico (e di quella posizione destinata allo scarto che è l'analista) chiedono che di loro si faccia qualcosa. Forse è per questo che questo studio è attraversato da una luce diagonale e pomeridiana. Ha proprio ragione Žižek a dire che lo psicoanalista è come il filosofo hegeliano: si siede al tavolo a pensare solo quando si fa sera.

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