Baricco e il tempo del western

28 Febbraio 2024

Con Abel (Feltrinelli) Alessandro Baricco esplora un mondo non ancora contaminato dalla political correcteness e lo riporta alle sue scaturigini cogliendone la Wilderness nella religio che a una intera generazione di boomers come lui ha instillato il mito della frontiera, un misto di altrove, scoperta, mistero e indicibile di cui sono rimaste al presente le ceneri e che costituisce un’epica della memoria storica. Entro questa chiave la sua è un’operazione che, agita oggi, appare di rottura dell’invalente etica dell’eguaglianza sociale ed etnografica, giacché i pellerossa tornano ad essere “i selvaggi” e i pistoleri sono i cattivi, sia pure in un quadro deformato dove i buoni possono essere sceriffi anch’essi pistoleri, donde un’altra rottura di base, stavolta iconografica. 

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Alessandro Baricco ©Anna La Naia, 2021.

Il Far West di Baricco è allora la terra perduta della fantasia che, libera di cascami moraleggianti, galoppa nella prateria della licenza verso il punto di origine della vita. Per questo non solo il protagonista ma anche gli altri comprimari portano nomi biblici, primordiali, ispirati alla “sostanza” aristotelica delle cose. Con un sapiente gioco a decostruire, l’autore cerca, in sostanza come Battiato, l’alba dentro l’imbrunire: va sempre più ad Ovest per trovare il primo uomo che sorge. E quel che esita è un fulminante corto circuito, un romanzo western dove però manca il West di Cormac McCarthy o Leone, perché il suo è uno storyteller che integra un mitologema, entro un’idea immaginifica di una teoria metafisica, come egli avverte. West sì, ma nel senso in cui Vittorini nella sua Conversazione intese la Sicilia, che poteva essere perché no Persia. Tant’è che, se nella bibliografia compare un saggio sul panteismo, è a motivo di una ricerca filosofica dell’autore sottesa a un’astrazione del mondo nel cui ambito il Far West non è che l’ultima terra dello spirito libero, ucronica e acronica, desolata e ricorsiva. 

“Siamo già stati dove non siamo mai stati, e anzi, a dirla tutta, veniamo proprio da lì” scrive Baricco indicando – servendosi come sempre di figure icastiche capaci di evocare suggestioni - quello che chiama “L’Intatto”: il mondo cioè oltre le ultime traversine della Ferrovia che avanza nel profondo West e che circoscrive, oltre agli elementi naturali dell’oscuro e dell’indefinito, anche quello metafisico del destino. È proprio da questo trasfigurato punto spaziotemporale che prende le mosse il racconto di un io narrante che riepiloga la quête di sé stesso di sapore ariostesco ma soprattutto conradiano: il fratello David si lancia improvvisamente oltre il limite e “riga l’Intatto con una crepa al galoppo” quando il padre imbraccia il fucile e spara il primo proiettile che risuona oltre la cortina di civiltà dove gli indiani non sono umani. “Era l’assoluto principio. Tutto poi sarebbe seguito. Era la prima alba di un mondo. Tutto poi sarebbe accaduto”. Per Baricco il Far West comincia al pari del mondo nella narrazione dell’evangelista Giovanni. Con un “principio”, dunque con un atto di creazione: un colpo di fucile sparato da un padre al figlio per dirgli di tornare indietro e non turbare così L’Intatto. In questa Finisterre i Crow mettono radici come contadini e allevatori, trasposizione di Abele e Caino, e assumono la veste di ecisti di un mondo da costruire da zero e di creatori di un’epopea circonfusa tra storia e leggenda. 

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Quel che abbiamo è lo stesso Baricco delle evanescenze e dei retrosegni già visto in Tre volte all’alba per la scomposizione del tempo, in Mr Gwyn per lo scambio delle parti e la scomposizione dell’io, in La sposa giovane per la sindrome dell’attesa, ma anche in saggi come I Barbari e Game dove l’indagine della realtà si traduce in una ricerca epistemologica. È il Baricco che usa il romanzo come mezzo per abbattere nuove dimensioni del reale nella ricerca continua di un’ultronea verità.

Stavolta il romanzo lo ha rotto (una terza concomitante rottura dopo quelle della convenzione politica e della divisione manichea tra buoni e cattivi), portando la struttura narrativa a un grado zero tale che la disarticolazione vorticosa dell’intreccio rende inconsistente la stessa fabula, ridotta com’è a un labile proposito: salvare dal patibolo la madre riunendo tutti i fratelli. La frantumazione dello sviluppo cronologico a favore di una formula diacronica che confonde i tempi e sceglie prolessi e analessi come chiave narrativa, ancor più radicata per l’uso della prima persona quale voce narrante, opera in coerenza con il tema conduttore dell’intero romanzo o metaromanzo che sia: la confutazione da parte del filosofo David Hume del principio di correlazione tra causa ed effetti, principio deterministico che sosterrà tutta la fisica meccanica dopo aver ereditato il pensiero aristotelico. Per Hume non c’è alcuna prova scientifica, se non l’effimero dato empirico, che una causa sia fonte di un preciso effetto reale: non lo sa, ma sta scorgendo gli elementi di quella legge della probabilità che darà le basi alla fisica quantistica. 

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Non essendoci nella realtà un prima e un dopo, potendo un effetto apparire addirittura una causa, Baricco concepisce allora un romanzo che, stravolgendo il credo aristotelico di “atto” e “potenza”, dà applicazione alle intuizioni humiane offrendo il più congeniale palco di rappresentazione: quel Far West dove la “bruja”, la squaw sciamana, può dire al giudice razionalista che il tempo non ha un prima e un dopo ma è il respiro del presente. Lo sa bene Abel Crow che divide la sua vita tra un tempo lineare e un altro curvo, tanto che – in rispondenza a principi einsteiniani di astrofisica ancora lontani – parla di “curvatura del mondo” quando richiama il senso di compenetrazione condiviso con uno sfidante: lui che è il migliore pistolero del West cade nell’inganno di credere l’effetto una causa e si prende una pallottola in corpo, ciò che lo porta a deporre le colt, salvo poi riprenderle l’ultima volta nel raid di famiglia per salvare la madre dalla forca.  

Dei tanti romanzi scritti, Abel è quello che Baricco ha in più occasioni detto di amare particolarmente. E si capisce perché, se letto almeno due volte per rintracciarne i fili segreti: l’annullamento della legge newtoniana fondata sul determinismo, così come la prevalenza della dottrina della natura (il libro sacro della bruja preferito alla Bibbia) sulla conoscenza libresca di derivazione aristotelica, quindi la soppressione della freccia del tempo, apre la strada all’inconcreto e alla irrealtà, quindi all’immaginazione e per questa via a un perenne presente (già teorizzato in Game) nel quale regola del mondo diventa la storia, ovvero la narrazione. “Il senso del lungo andare nella vita, scoprire quante storie camminano con noi” è infine la formula segreta del romanzo. E non per caso il padre di Hallelujah, per raccontare la storia della figlia ad Abel, chiede in cambio non denaro ma un’altra storia. Che diventa perciò merce di scambio, moneta per comprare e acquisire il passato come per prenotare il futuro, tempi che non esistono più.

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E questo fa Baricco: racconta storie sparse nel diario personale di un pistolero che conosce Aristotele, Platone e la cultura europea perché è divenuto lettore del suo “Maestro” cieco e appassionato di letture impegnate. Storie disgiunte da quella mainstream, tali da minare il romanzo di disunità e spiegare perché le librerie non lo hanno premiato secondo le aspettative, eppure carsiche e motivazionali, quasi quadri d’epoca: l’assalto piratesco al villaggio Magdalena ricostruito con i colori di un Márquez, l’avanzata a cavallo sotto la tempesta con un misterioso pellerossa che fa da guida, la sventata rapina alla banca, la sparizione di un villaggio minerario per colpa di oscure apparizioni di indiani Nootka, l’enigmatica storia della sella del nonno materno di Abel. Aleggia dappertutto, sull’intero West baricchiano, come uno spirito di rarefatta sospensione, di suggerito anziché pronunciato, quasi un’aria di familiarità frammista a un’altra di estraneità. Ne sono testimoni i dialoghi, numerosi e fitti. Esemplare quello a letto tra Abel e Hallelujah, profilato in un nonsenso che sa di pleonastico e di non detto. Senonché è in quelle interiezioni, nelle frasi sincopate, nei rimbecchi franti il Baricco più riconoscibile, dallo stile personalissimo, che ama complicare la scorrevolezza di dettato elidendo i segni di punteggiatura e gli elementi di lettura, nell’intento forse di dare maggior peso all’oralità ma ottenendo di rendere faticosa l’attenzione.

Ma non per questo Abel ha sudato a tenersi in classifica. Le tante implicazioni gnoseologiche che comporta lo hanno tenuto distante dal gusto mass-cult che oggi predilige il romanzo di facile consumo, né gravoso né fumoso, magari politicamente corretto e interpretabile senza sforzo nella distinzione degli eroi. Il genere sapienziale e dottrinale mal si accorda con il nostro tempo e Abel paga il prezzo dell’attuale scontento. Ma questo Baricco lo sapeva già meglio degli altri prima di mettere mano al suo conte philosophique. E ora non fa che compiacersene. A ragione.

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