E la cultura sociale? / Digitale

7 Dicembre 2018

Gli scienziati sociali hanno spesso tentato negli ultimi decenni di coniare delle etichette allo scopo di definire sinteticamente le principali caratteristiche delle società contemporanee. Tali etichette però di solito hanno incontrato delle difficoltà, a causa della natura sfuggente dei sistemi sociali odierni. Pertanto, si è continuato a cercarne delle nuove. Tra queste, negli ultimi anni il concetto di “digitale” e la sua contrapposizione con quello di “analogico” hanno conosciuto un certo successo. Addirittura alcuni autori hanno parlato dell’esistenza di una “rivoluzione digitale”. L’universo digitale oggi è sicuramente importante socialmente, anche se non è possibile racchiudere in esso le multiformi dimensioni delle società contemporanee. Il concetto di digitale merita comunque di essere attentamente considerato. 

Sulla natura del digitale si è interrogato, nel recente volume The Game (Einaudi), lo scrittore Alessandro Baricco, il quale spiega come il termine derivi dal latino digitus, cioè dito, e rimandi fondamentalmente al concetto di “numerico”, in conseguenza della capacità delle dita di consentire agli esseri umani di contare. Ma per Baricco il termine digitale corrisponde anche a un sistema estremamente efficace per tradurre in un dato numerico qualsiasi cosa esista nell’universo. Si tratta infatti di un geniale metodo grazie al quale è possibile trasformare, ad esempio, i suoni dell’universo oppure i dipinti della storia dell’arte in qualcosa che può essere facilmente stoccato, modificato e diffuso socialmente. 

 

 

In effetti, il digitale è estremamente potente, ma va considerato anche che non è in grado di registrare tutte le infinite sfumature che appartengono a ciò che esiste nel mondo reale. Questo infatti viene registrato “a salti” e dunque nella traduzione digitale si perde inevitabilmente una seppur limitata porzione del mondo. L’analogico consente invece di ottenere una maggiore precisione e una maggiore completezza nella registrazione della realtà. Si pensi al long playing in vinile, la cui qualità dal punto di vista della capacità di registrazione e riproduzione del suono è considerata dagli esperti decisamente superiore rispetto a quella del digitale. Baricco ammette questo e altri limiti, però si schiera apertamente dalla parte del digitale. L’aveva già fatto nel suo precedente libro I barbari. Saggio sulla mutazione (Feltrinelli), ma in The Game a volte arriva anche a sostenere delle posizioni discutibili. Si pensi, ad esempio, alla sua difesa dei grandi operatori monopolisti del Web. Afferma infatti esplicitamente che «in un mondo in cui c’è Google, il monopolio di Google non è così pericoloso.

 

In un mondo in cui c’è Facebook, che Facebook sia ovunque non è poi così preoccupante. In un mondo che scarica ogni minuto 400 ore di video su YouTube, il fatto che YouTube esista e sia sostanzialmente un monopolio è una cosa singolare e non tragica» (p. 237). È evidente però che qui viene messo in discussione uno dei principi fondamentali del mondo democratico, un principio al quale non è possibile rinunciare e cioè quello della libertà commerciale. I monopoli ostacolano il libero funzionamento del mercato e, alla lunga, come è stato ampiamente dimostrato, penalizzano i consumatori, imponendogli costi e vincoli maggiormente elevati. Baricco, anche se non cita nessun autore e rende impossibile perciò sapere quale fondamento scientifico abbiano le sue affermazioni, probabilmente non ignora tutto ciò, eppure difende le grandi aziende monopoliste del Web. L’argomentazione che porta a supporto della sua posizione è che non possiamo fare a meno di tali aziende perché esse ci danno la possibilità di avere il mondo digitale, il quale rappresenta «la nostra assicurazione contro l’incubo del ’900» (p. 317). Vale a dire che a suo avviso il digitale ci eviterà tutte le guerre e le stragi di innocenti che si sono presentate durante il secolo scorso. Chi ci garantisce però che la storia che verrà sarà necessariamente migliore di quella che l’ha preceduta? E che aziende diventate economicamente più potenti di molti stati nazionali, ma, come sappiamo, anche in grado d’influenzare i risultati elettorali e molti dei nostri comportamenti, non possano non avere un ruolo negativo in quello che potrebbe succedere? 

 

Al di là di quello che può essere il futuro ruolo del mondo digitale e delle aziende che lo rendono possibile, è evidente che già oggi non possiamo rinunciare al digitale. È necessario interrogarsi seriamente sul ruolo sociale rivestito dal digitale e su quali conseguenze stia producendo questo nuovo e importante modello culturale all’interno delle società contemporanee. Non per rinunciare a esso, ma per correggerne gli eccessi. Per stabilire delle norme e farle rispettare, affinché il digitale non reprima lo sviluppo della cultura sociale, ma stabilisca un rapporto equilibrato con questa e le consenta nello stesso tempo di beneficiare delle numerose possibilità che è in grado di offrire. 

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