Speciale

Mobilità e immaginazione

20 Novembre 2012

Non conosco Davide, l’amico di Matteo, ma cercando una definizione di ciclofficina tra le parole di chi ci va e gli scritti di chi ci è stato, sceglierei l’acronimo che ha inventato questo ignoto ciclista: Ciclofficina di Irriverenti Ciclisti Liberi, Offriamo Fantastiche Feste, Inizitive Cicloattive, Inventiva Naturale e Assistenza.

 

Una parola per ogni lettera, in fila come ciclisti che resistono al traffico contro ogni aspettativa, per dire che ognuno di loro crea la Ciclofficina e che senza di loro non esisterebbe. Qui si condividono conoscenze ed esperienze sulla meccanica e la riparazione della bici, come recita il cartello affisso nella sede nel centro di Roma, e il lavoro di ogni persona è volontario. Se ti si rompe la bici o se hai una bici vecchia tristemente esiliata in cantina la puoi riparare gratuitamente. Devi farlo tu, ma c’è qualcuno che t’insegna e ti offre strumenti, ricambi e... fette di ricotta salata.

 

L’ultima volta che sono stata nel seminterrato di via Baccina è andata così. Altre volte c’era chinotto e kebab. Un po’ si lavora un po’ si mangia. Come esige l’atmosfera romana. Poi si finisce seduti intorno al tavolo di legno a parlare di catene, forcelle, scatti fissi e altre strabilianti invenzioni che non si possono né vendere né comprare, non qui. Per me, che vengo da Milano e pedalo quasi tutti i giorni da quando ho imparato a farlo, è stato come entrare nel paese della cuccagna. Cioè, veramente posso usare tutto, smontare tutto, imbrattarmi fino alle caviglie e poi mi offrite pure... la ricotta salata?! E il chinotto!!! Per il chinotto sono due euro, mi dicono. Sta nel frigo. Gliene darei venti. Se li meritano perché hanno il chinotto. Quello buono. E poi perché hanno una collezione di libri con percorsi ciclabili in tutto il mondo e un armadio degli attrezzi ordinato, con cassetti realizzati da contenitori di plastica tagliati sulla sommità. Tutto si riusa qui. Riutilizzare è meglio di riciclare, non servono camion per la raccolta differenziata, inceneritori o loschi smistamenti di rifiuti ingombranti, serve solo un po’ di immaginazione e qui ce n’è da far girar la testa. L’hanno scritto anche nel loro statuto: l’Associazione Culturale Ciclonauti, crede nella bicicletta come strumento di mobilità e di immaginazione. T’immagini andare in bicicletta sulla tangenziale?! T’immagini una pista ciclabile che ti porta dove vuoi?! T’immagini intrufolarsi nella discarica cittadina e salvare una bici da rottamazione certa?!

 

L’immaginazione scaraventa le possibilità oltre il limite del buonsenso, a volte. Ma il concerto della collettività può sempre trovare soluzioni civili. Che promuovano l’amore per la città e il rispetto di tutti i cittadini. La bici lo fa. Ma è necessario uscire dalle ciclofficine per farlo presente alle automobili che abbruttiscono le strade, l’aria e gli stessi automobilisti. Ed è necessario essere in massa, una massa critica. Abbastanza ciclisti da fermare le macchine.

 

L’idea è venuta a Chris Carlsson, a San Francisco nel 1992. Voleva andare al lavoro in bicicletta in una città pensata solo per le automobili. Ne ha parlato con i suoi amici chiedendo loro di darsi un appuntamento e pedalare compatti, così sarebbero stati più visibili e protetti. Ma erano pochi e un po’ impauriti. Così ha messo volantini su tutte le biciclette che incontrava dando appuntamento a ognuno per il 25 settembre, alle ore 18 a Market Street. Ha funzionato. La prima volta erano poco più di quaranta, nei mesi successivi sono diventati un migliaio e hanno mandato in tilt il traffico. Il sindaco ha provato a fermarli in molti modi, non tutti gentilissimi, ma non c’è riuscito. Né lui né quelli di tante altre città dove la Critical Mass è diventata un appuntamento settimanale. A Parigi si chiama Vélorution, a Madrid Criticona, a Roma Ciemmona. Per essere esatti la Ciemmona si fa una volta l’anno, raduna migliaia di bici e... si pedala sulla tangenziale! Con la Città Eterna che sospira sotto le ruote e i campanelli che rispondono ai campanili felici di essere più piccoli. Lì ho visto l’uomo che inventava piste ciclabili. Aveva montato sulla bici una sorta di pennarello a vernice che sporgeva qualche centimetro dalla ruota anteriore e disegnava una striscia bianca sull’asfalto accanto a lui, delimitando progressivamente il proprio spazio. Nessuno l’ha imitato, né sgridato, era un signore anziano e si deve rispetto a chi ha pedalato tanti anni su una bicicletta a due marce, ma gli abbiamo fatto un applauso. Per l’immaginazione. E poi siamo andati nelle discariche a salvare le biciclette abbandonate. Ci siamo messi d’accordo con l’AMA e le abbiamo portate in ciclofficina dove i loro genitori adottivi le stanno trasformando con grandiosa immaginazione.

 

Noi, si pensava di iniziare da una bici, per aggiustare il mondo. O almeno la nostra città. Vorrei che Roma fosse una città fatta per pedalare. Una città che non conosco. Ma me la immagino.

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