Viaggiatori folli e sonnambuli

2 Ottobre 2022

“Fare caso, è prendere in considerazione una situazione, ricostruirne le circostanze – i contesti – e così reinserirli in una storia, che è chiamata a rendere ragione della concatenazione particolare che di una singolarità fa un caso”, scrivono Jean-Claude Passeron e Jacques Revel in Penser par cas. Proveremo ora a fare caso al caso, una modalità specifica della narrazione che negli ultimi due secoli ha goduto di particolare fortuna. Senza affrontare la questione, impegnativa, scivolosa e problematica, se lo studio di caso debba considerarsi un genere letterario, proviamo a individuarne qualche carattere, e a indagare la ragione del suo fascino e della sua indubbia fortuna.

Una prima caratteristica è l’intersezionalità curiosa che lo caratterizza. Non solo quelle consuete nel tempo presente tra genere, classe, razza, abilità. Non che non siano presenti, evidentemente, ma l’embricazione dei discorsi che costituiscono lo studio di caso è prevalentemente quella tra discorso medico, discorso giuridico e letteratura. Spesso il caso clinico è anche un caso giudiziario che mobilita il sapere psichiatrico, la forma della sua presentazione trascende in molti casi la nuda esposizione dei fatti, si pensi alla potenza della scrittura della memoria del pluriomicida Pierre Rivière, ventenne pressoché analfabeta.

Il caso si presenta come biografia, o autobiografia, esemplare, e in quanto esempio, raccoglie lo specifico di una configurazione particolare, di una tipologia di devianza. Nel primo volume della Storia della sessualità, Michel Foucault ci ricorda che, in Occidente, l’uomo è divenuto una bestia da confessione. L’ostensione dell’anima è in effetti la pratica di scrittura del caso clinico, la verità singolare resta garante della verità della sua interpretazione.

Per tornare alla storia della sessualità, è esemplare il fortunato genere ottocentesco della Psychopathia sexualis, di cui la versione più nota è quella di Richard von Krafft-Ebing. Si presenta come “studio medico-legale”, tale è la sua funzione originaria, mappare la sessualità umana a uso di chi è preposto a sanzionarne le forme socialmente problematiche, non di meno, e sempre più nell’accrescersi del volume nelle successive edizioni, fino alla tredicesima, curata da Albert Moll, è un testo meraviglioso per l’infinito proliferare delle storie di vita che racconta, che eccedono l’intenzione degli autori di fissarle come farfalle con uno spillo tra le ali. A testimonianza di questa eccedenza letteraria resta la recente operazione editoriale di dubbio senso della pubblicazione dei casi clinici della Psychopathia sexualis scorporati da tutto il discorso interpretativo, psichiatrico e giuridico, che li aveva raccolti, come Biografie sessuali. Altra testimonianza del valore letterario del libro è la sua revisione in parodia da parte di due scrittori straordinari e divergenti come Oskar Panizza, autore di una Psychopathia criminalis, e Albert Caraco, che scrisse i Supplementi alla Psychopathia sexualis.

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Il caso Panizza è qui particolarmente interessante per le curiose ricircolarità delle sue circostanze di vita. Di formazione psichiatrica, era compagno di studi di Emil Kraepelin, con cui seguiva le lezioni di Bernhard von Gudden, luminare che concluse i suoi giorni con Ludwig di Baviera nel lago di Starnberg. A seguire assecondò la carriera letteraria, perseguitato da accuse di blasfemia e sovversione dell’ordine costituito, fino al manifestarsi di un’instabilità psichica che lo portò a concludere i suoi giorni nel manicomio di Bayreuth. Questa digressione su Panizza si giustifica perché i suoi ultimi, bellissimi, testi, lodevolissimamente pubblicati in italiano da Chersi libri, sono esempi meravigliosi di storia di caso in prima persona, Imperialja, ad esempio, è un delirio paranoico con oggetto la dinastia Hohenzollern.

Altro esempio di ostensione dell’anima che si riprende in caso, sono le Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber. A differenza dei casi riportati da psichiatri o giuristi, i commentari alle Memorie sono arrivati successivamente, ad opera, tra gli altri, di Sigmund Freud, di Elias Canetti e di Morton Schatzman. Nelle Memorie, la dimensione giuridica, erano state scritte da un ex Presidente della Corte d’Appello di Dresda con l’intenzione di fare decadere l’interdizione, quella psichiatrica, è lo strabiliante racconto di un delirio paranoico vissuto in prima persona e, oggettivamente, quella letteraria, sono congiunte in modo esemplare.

Il caso clinico è uno dei cardini epistemici della psicoanalisi, non solo Schreber, anche Anna O., l’uomo dei topi, Sergej Costantinovič Pankëev, ovvero il meraviglioso uomo dei lupi, nobile russo decaduto e, caso unico nella storia, pagato dagli psicoanalisti successivi in quanto icona vivente della storia di una nevrosi infantile. È lo stesso Freud a cogliere negli Studi sull’isteria la dimensione letteraria dello studio di caso: “Non sono stato sempre psicoterapeuta, e ho fatto la mia esperienza medica con le diagnosi locali e con l’elettroprognosi, al modo stesso di altri neuropatologi, cosi che sento ancora io stesso un’impressione curiosa per il fatto che le storie cliniche che scrivo si leggono come novelle e che esse sono, per così dire, prive dell’impronta rigorosa della scientificità”.

Tornando all’epoca d’oro del racconto dei casi clinici, quella tra Otto e Novecento, due parole sull’interazione tra osservatore e osservato. Spesso paziente e psichiatra si ritrovavano vincolati uno all’altro, e spesso la loro relazione è durata decenni, le trame di vita dei due protagonisti del racconto clinico si sono intrecciate, le interpretazioni sono evolute attraverso lo scambio, si pensi a Blanche Wittman e Jean-Martin Charcot, Madeleine e Pierre Janet, Félida e Eugène Azam, Albert Dadas e Philippe Tissié.

L’ultima coppia è protagonista di Il caso clinico del viaggiatore sonnambulo di Philippe Tissié, edito da Quodlibet, raccolta di quanto il clinico di Bordeaux ha scritto sul “viaggiatore folle” Albert Dadas.

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L’epistemologo Ian Hacking aveva ripreso la storia di Dadas il I viaggiatori folli, la sua finalità era contestualizzare le transient mental illness, le malattie mentali transitorie, con una data di nascita, l’individuazione di una condizione, uno sviluppo che spesso trascende lo stretto ambito medico per intramarsi con le contingenze epistemiche del periodo della sua fortuna, e una morte, con la dismissione della categoria. Una tematizzazione ulteriore, complementare e decisamente interessante, del caso clinico di Tissié della traduttrice e curatrice Valeria P. Babini, Storia di un curioso incontro scientifico di fine secolo, chiude il volume.

Albert Dadas era un captivé, “prigioniero di un pensiero” che, per evocazione di un luogo, lo costringeva a lasciare casa, lavoro e famiglia per recarvisi. Compulsione al viaggio che, in tempi in cui il turismo era riservato a chi potesse permettersi il Grand tour, non poteva che inscriversi nel patologico, “dromomania”. Una vita avventurosa, camminata per migliaia di chilometri in uno stato di rapimento onirico, in Russia, scambiato per nichilista rischia la deportazione, in altre occasioni la corte marziale per diserzione, sempre infine ricondotto ai luoghi di provenienza.

E sulla vita di Dadas si innestano le dominanti interpretative del tempo, epilessia o isteria, cura con ipnotici o con ipnosi. Tissié sviluppa negli anni la sua analisi del caso, Albert Dadas diviene tipo umano esemplare. La categoria, denominata in Italia determinismo ambulatorio, si rivela in risonanza col suo tempo, la casistica prolifera. Compare sulla ribalta dello spazio pubblico il viaggiatore folle. In breve la diagnosi verrà dimenticata. Resta la traccia di una vita singolare, riportata in libreria dalla lodevole iniziativa di Quodlibet e Valeria P. Babini.

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