Italia: genius loci e cultura
In epoca moderna e in particolare dal Romanticismo in poi, Genius loci ha significato il riconoscimento di un luogo unico e irripetibile. Estensione di un’espressione che per gli antichi Romani coincideva con la divinità che era custode benevola di edifici e posti specifici.
Come dire che quel luogo, in virtù di tale protezione, era afferente a un sacro che andava oltre le sue specifiche caratteristiche architettoniche, fisiche e naturali; quel luogo risultava in qualche modo dotato di una sua anima,
Certamente nella contemporaneità, caduto ogni velo di Maya su un’interpretazione assoluta del sacro, siamo consapevoli di essere noi a riconoscere questa anima e lo facciamo attraverso il riconoscimento di quella complessa interazione tra ambiente e umanità che avviene sempre in un tempo, la storia, e in uno spazio, la geografia.
E allora, rovesciando la prospettiva, potrebbe forse essere possibile porsi una domanda. Come, aldilà di ogni geografia, alcuni luoghi hanno influito e possono influire sull'umanità che li ha abitati e che li abita?
È solo una suggestione o possiamo pensare che le qualità che attribuiamo a una regione, a un paese, a un luogo, possono suggerire a quella stessa umanità azioni, pensieri, modi di vita, persino condizionare le forme con cui tracciamo i contorni del nostro destino?
Personalmente, e senza alcun riferimento al genius loci, mi sono ad esempio chiesto come sarebbe stata diversa la mia vita professionale e affettiva se anziché prevalentemente a Genova si fosse svolta prevalentemente in Emilia.
Ricordo perfettamente come negli anni dell’università e in quelli successivi un’idea brillante, un progetto potessero essere visti più facilmente con invidia o competizione a Genova anziché a Bologna o Reggio Emilia. dove prevaleva la condivisione di ogni positività. Senza parlare della scoperta delle discoteche emiliane che intorno ai vent’anni avevano rese patetiche ai miei occhi quelle genovesi con le loro “chiuse” compagnie.
Fuori da ogni riferimento personale è forse questa la prospettiva più interessante da cui si può leggere La scienza nascosta nei luoghi d’Italia, libro realizzato con il contributo di più autori ed edito da Bo live, Università di Padova, 2025.

Si tratta di un tour tra i luoghi notevoli del nostro paese dove la scienza ha lasciato tracce di sé attraverso gli uomini che l’hanno esercitata, nei luoghi dove la scienza ha agito trasformando i paesaggi, l’economia oppure ha avuto influenze ed echi generali come è nella natura di ogni scoperta e verità scientifica.
Un tour reso tale anche dalle molte immagini ospitate nei testi e diviso per aree geografiche – il sud d’Italia, il nord ovest, il centro, in nord est, da Siracusa e dalle lontane reminiscenze di Archimede a Favignana con la tonnara e la produzione di tonno in scatola, a Matera e alla gestione delle acque meteoriche, al polo culturale e museale della Città della scienza di Napoli, all’impronta di Galileo tra Pisa e Firenze, a Bologna e alla più antica università del mondo occidentale, a Padova e al suo teatro anatomico e alla loro importanza nella storia della medicina, e ancora a Torino, città dell’eccellenza ingegneristica o a Venezia e alla sua sapienza nella gestione delle acque, a Ivrea con la nascita del primo personal computer, persino al ghiacciaio della Marmolada, dove ciò che ne resta è testimonianza locale dei cambiamenti climatici in atto in tutto il pianeta.
Scienza nascosta perché spesso in quei luoghi e nei giorni del nostro presente è ormai scienza dimenticata e inoltre perché intesa come scienza sociale, quotidiana e collettiva, diffusa a una comunità più che derivata dal frutto del singolo, pur presente,
L’impressione generale è che un filo rosso della cultura scientifica in Italia, se c’è, resta davvero nascosto nella complessa stratificazione della sua geografia e della sua storia dove le profonde vicende umane che si sono succedute hanno tracciato un reticolo difficilmente decifrabile se non per sommi capi.
E allora resterebbe sullo sfondo la questione che ogni genius loci pare porci. Quale influenza ha il luogo in cui viviamo su come “vediamo il mondo”, sulle domande che ci poniamo intorno al mondo?
È inevitabile che si tratti di cultura – le differenze tra quella scientifica e una cultura “altra” poco importano – della sua genesi e sviluppo in un dato luogo e territorio. Ma quegli stessi luoghi non possono prescindere dall’umanità che li vive e dalla quale sono vissuti e trasformati in un legame che appare difficilmente districabile.
E vengono in mente le tesi di Tim Ingold (Ecologia della cultura, Meltemi 2016) a proposito della cultura come parte del processo evolutivo che riguarda tutti gli organismi e in particolare le persone (per lui organismi dotati di coscienza): “…soggetto e oggetto co-evolvono in un insieme di relazioni la cui stessa logica interna implica costitutivamente la relazione con l’esterno cosicché l’unità minima di indagine non é un oggetto semplice ma l’intreccio di organismo e ambiente”.
E ancora: “È stato detto che nel corso della storia l’uomo si fa da se stesso agendo e creando in un mondo in cui è anche spettatore” ma gli uomini (e le donne) sono organismi, e gli organismi hanno sempre creato se stessi attraverso storie di vita …organismi e persone non sono gli effetti di cause molecolari o neurali, di geni e di tratti ma il dispiegamento di un campo totale di relazioni’ .
Come dire che il genius loci e le sue “conseguenze” sull’uomo saranno sempre in parte indecifrabili se frutto di una continua azione dove noi apparteniamo contemporaneamente all’ambiente e a noi stessi, dove siamo contemporaneamente soggetti e oggetti, spettatori quanto attori, comparse quanto protagonisti.
