La scrittura non verbale di Irma Blank

25 Maggio 2023

Quando Irma Blank (1934 – 2023) approda a Milano, sta per compiere quarant’anni e la sua ricerca artistica è al clou della sperimentazione. Proviene dalla Sicilia, da Siracusa, dove si era trasferita per amore nel 1955, ma è Milano la sua nuova città d’elezione. Di essa apprezza il cosmopolitismo e la koinè linguistica, che, lei lo sa, la aiuteranno ad operare quello sradicamento tra parola e senso, tra suono e significato dei quali vuole fare la propria cifra poetica. 

Prende studio in via Aurelio Saffi, in quella parte di città che sorge tra la Basilica romanica di Sant’Ambrogio e quella bramantesca di Santa Maria delle Grazie, in zona Magenta, prediletta dalla borghesia meneghina fin dai primi anni del novecento. Quelli che si affacciano sulla strada sono tutti palazzi d’epoca, dall’aspetto austero, che risentono ancora del severo dettato della Commissione d’Ornato che ha disegnato molta parte del volto storico di Milano. Ed è qui, nella sua grande casa-studio in cui Irma vivrà e lavorerà fino alla fine dei suoi giorni, nonostante la malattia che la colpirà proprio mentre il successo, purtroppo tardivo, è finalmente arrivato.

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Irma Blank nella sua casa-studio milanese in via Aurelio Saffi in alcuni momenti della sua carriera artistica. È lì che ha lavorato e vissuto fino all’ultimo dei suoi giorni con i suoi due figli, dopo la prematura morte del marito. A destra, un angolo dello studio.

Il suo nome completo è Irmtraud Martha Blank, nata a Celle, a nord est di Hannover il 24 settembre del 1934, ma da quando si è trasferita in Italia si firma Irma Blank, più facile da ricordare. La ricerca che ha scelto di intraprendere è quella sul segno che deve significare in sé, in quanto grafema, al di là del suo riferimento concettuale e fonetico e la corrente a cui le sue opere si ascrivono è quella della Poesia Visiva, afferente all’Arte Concettuale. A partire dalla fine degli anni sessanta, infatti, Irma aveva iniziato a lavorare su calligrafie da lei inventate, orbate dall’obbligo di un significato, sul crinale che separa (o unisce?) disegno e scrittura, nel comun denominatore del segno. Una “scrittura non verbale”, come l’ha definita lei stessa, fattasi forma per ‘slittare dalla letteratura alle arti visive”.

Colui che per primo ha intuito il suo talento e che ha sottolineato la singolarità della sua ricerca artistica, definendola “scrittura asemantica” è stato Gillo Dorfles nel 1974, non a caso un filosofo convertitosi alla critica d'arte. Perché il linguaggio artistico messo a punto da Irma è imparentato con la filosofia, soprattutto con la lezione di Husserl, ci ha spiegato Dorfles. Ma il resto del mondo della critica d’arte l’avrebbe scandalosamente ignorata per anni, così come hanno fatto gli estensori di manuali sull’arte contemporanea, almeno fino all’inizio del XXI secolo. Quando finalmente il mondo dell’arte si è accorto della sua grandezza e ne ha riconosciuto l’immenso valore, lei era già ultrasessantenne.

 

Un video del 2017 in cui la stessa Irma Blank traccia una genesi del proprio operare artistico. 

Dorfles ha scritto che Irma Blank ha creato, “una serie di opere tutte impostate su quella che possiamo, credo esattamente, definire una «scrittura asemantica»: una sorta di grafia-ortografia, che si vale d’un segno ben individualizzato (con tutte le caratteristiche della personalità di chi lo usa), ma privo, vuoto, scevro, da ogni semanticità esplicita, giacché non è costituito da – né è scindibile in – «segni discreti», in lettere d’un sia pur modificato alfabeto, né in ideogrammi sia pur alterati o neoformati.

Si tratta, come appare evidente, d’un ritorno husserliano alle «Sachen selbst», o, in questo caso, ai «Zeichen selbst», anzi ad una sorta di Urzeichen – di segno primitivo-primordiale, quel segno non ancora differenziato – anzi, meglio, già tanto differenziato e usurato da essere addirittura entropizzato, consumato, divenuto non più veicolo d’un concetto, ma veicolo di se stesso; e, come tale, da costituire quasi il ritorno dell’artista alle sue radici prime, al proprio io indifferenziato, colto in uno studio pre-linguistico e pre-semantico.

[…]

Si tratta, in definitiva, – tanto per analizzare da un punto di vista un po’ più tecnico questa sottile operazione della Blank – di disegni che determinano sul foglio bianco orme sottili: quasi tracciati encefalografici, fini a sé stessi, e che sono quindi sovrapponibili ai segni d’una qualsivoglia composizione grafica, astratta, salvo a conservare, in un certo senso, l’aspetto esterno, la morfologia estrinseca, d’una effettiva scrittura manuale.”

A proposito della sua ricerca, così ha dichiarato lei stessa nel 2001:

Restituisco l’autonomia al segno, al corpo della scrittura, per dare voce al silenzio, al vuoto. Ai pensieri non pensati. Scrittura non legata al sapere, ma all’essere. La scrittura è la casa dell’essere.

[…] 

Libero la scrittura dal senso e metto in evidenza la struttura, l’ossatura, il segno nudo, il segno come tale che non rimanda ad altro che a sé stesso. Rimanda al serbatoio energetico, alla spinta iniziale, la spinta sorgiva, al desiderio di rivelarsi, di uscire dal luogo della notte, segreto, chiuso. Traccia di pura energia. È la parte portante, la parte perenne, universale, non più legata a nessuna lingua in particolare. Scrittura non verbale, scrittura che rimane in silenzio, verità originaria. La scrittura diventa immagine, manifestazione dell’essere, dell’esser-ci, nell’assolutezza senza forma. Un testo aperto. Un testo per tutti. Per coloro che sanno leggere e per quelli che non sanno leggere. Faccio slittare il testo dalla letteratura alle arti visive. Intanto anche nel mondo che ci circonda l’immagine tende a sostituire la parola. Invasivamente. La televisione e la pubblicità ne sono esempio. Scrittura, luogo di perdizione e di ritrovamento.” 

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Alcune opere di Irma Blank: Eigenschriften, Pagina A-31, 1970, pastello su carta, cm.70x50; Hyper-Text 6-2-98C, 1998, scrittura digitale, tecnica serigrafica su tela, cm. 37,5x27, esemplare unico; Ur-schrift ovvero Avant-testo, 20-6-2002, biro su poliestere su telaio in legno, cm. 46x36,5; Gehen, Second life H, 2018, pennarello rosso su carta trasparente, doppia pagina, cm. 29,5x42.

In più, Irma Blank era convinta che fosse necessario coinvolgere tutto il corpo nel gesto di tracciare un segno: “Io penso che siamo dentro il nostro fare, attraverso il nostro corpo, nel tempo. Il tempo ci accompagna, ma anche noi facciamo lo stesso con lui e, mentre procediamo, ogni accadimento, compresi gli errori, si equilibrano, fino a che la vita coincide con un percorso di segni, una via che va dall’inizio alla fine.” 

Disegnare, per lei, era come respirare, accompagnava il gesto trattenendo o emettendo il fiato, a seconda che il segno si dirigesse verso destra, o verso sinistra, verso l’alto oppure verso il basso, come fosse un esercizio yoga, quasi una pratica ascetica che coinvolgeva l’intero suo spirito, non soltanto la mente, il braccio e la mano.

“Mi accorgevo che scrivevo ed espiravo. E allora ci ho fatto caso… Ogni segno corrisponde al ritmo della respirazione, cioè scrivere è essere, e vivere. Non c’è più distanza tra fare ed esistere: si fa perché si esiste. E si esiste facendo”, ha dichiarato.

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Alcuni momenti espositivi dell’opera di Irma Blank. In alto: Frigoriferi Milanesi, nella metro Conciliazione. Installazione, L’Inarchiviabile, 1977; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Installazione, 1984 (ph. Maria Mulas). In basso: Milano, PAC, Bleu Carnac, Installazione, 1992, (ph. Salvatore Licitra); Monza, Sala Reale della Stazione, opera-ambiente, Archivio 1992 – 2005; Roma, Palazzo delle Esposizioni, Bleu Carnac, 1992, Installazione alla 17a Quadriennale di Roma, 30 ottobre 2020-18 luglio 2021 (ph. DSL Studio). Dal sito della Quadriennale: “Bleu Carnac (1992) indagava il segno nel suo senso pre-linguistico, mettendo in atto un’esplorazione fisica della scrittura non semiotica e autoreferenziale che si dispiegava in una sorta di trance. Le 38 tele formavano un corridoio pulsante e ipnotico che rievocava gli allineamenti megalitici di Carnac in Bretagna, un percorso sacro scandito dal ritmo creato dal colore e dalle pause. Ciascun esemplare della serie era stato dipinto dall’artista in assoluto silenzio, partendo dal centro della tela e facendo coincidere ogni pennellata con un respiro.”

Ed eccola, poi, affiancare al proprio lavoro con pastelli, inchiostro, penna biro, e, a volte, serigrafia, installazioni e performance visivo- sonore capaci di contribuire a quello svuotamento di significati precostituiti e universalmente accettati a cui ambiva, perché finalmente anche il suono-immagine potesse vivere ‘in quanto tale’ e non per il rimando semantico che gli era da sempre stato attribuito. 

Ad un certo punto Irma si avvicina al colore, allora sperimenta, insieme ai pastelli, gli acquerelli, l’olio e gli acrilici. Dapprima predilige il rosa e il viola, e poi, per sempre, il blu, che simboleggia l'infinito e, per lei, anche la scrittura e la determinazione. 

Così ha dichiarato: “Ho indagato gli abissi dell’io, l’archivio individuale e collettivo del passato e del presente, ho interrogato il mondo, il rumore del mondo, scrivendo. Ho scelto i miei strumenti senza pregiudizio, secondo le necessità, dalla matita alla penna, dal pennello alla biro, dall’inchiostro alla china, dal pastello all’acquarello, dall’acrilico all’olio. Ho scritto a mano e in digitale.”

Ma sopra a tutte le cose, ad Irma Blank importa il gesto con il quale traccia il segno sulla superficie e il tempo che impiega per farlo, in un corpo a corpo tutto fisico con la necessità di raggiungere, in una sorta di trance, una dimensione spirituale abitata dal silenzio. Infatti, alla fine, i suoi segni sono muti, sono parola tradotta in immagine per il puro piacere degli occhi, in un percorso che dal suo gesto, attraverso il segno entra nel corpo dello spettatore per il tramite dello sguardo. 

I suoi segni, insomma, sono l’essenza pura, ovvero la pura forma, sono davvero il significato autentico, l’éidos husserliano.

Colpita nel 2016 da un grave problema di salute che le ha causato la paralisi della parte destra del corpo, Irma Blank continua tenacemente a lavorare impiegando solamente il braccio e la mano sinistri, con lo stesso eroico coraggio di Henri Matisse quando si legava il pennello alle mani deformate dall’artrite.

Oggi, finalmente, la sua opera è tra le più quotate del panorama artistico internazionale e lei è entrata a fare parte del Gotha dell’Arte.

Il suo rigore, la sua determinazione sono stati premiati e con essi il risultato della sua ricerca che, conciliando l’arte visiva con la scrittura liberata dal suo significare, ha conferito loro una dimensione tutta nuova e nuovo senso.

Sue opere sono in permanenza al MART di Rovereto, alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, alla Gam di Torino, al Museo del Novecento di Milano, al Museion di Bolzano, soltanto per citarne alcuni, e in molte collezioni come quelle di Banca Intesa Sanpaolo, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, della Braidense di Milano, del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e dell’Archivio della Poesia del Novecento di Mantova e persino nel Fondo Disegni dell'Accademia di Brera. All’estero sue opere sono nella Bibliothèque Nationale de France, al Centre Pompidou e al Musée National d'Art Moderne di Parigi e al Kunstmuseum di Düsseldorf.

Alla 57° Biennale di Venezia (2017), tra i 120 artisti chiamati a esporre, solamente 6 erano italiani e tra di essi c’era l’ottantatreenne Irma Blank.

Grande, Irma!

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