L'arte del fuoco di Paolo De Poli

25 Ottobre 2025

Chi tra i tanti fan di Gio Ponti (1891-1979) non ama quegli oggetti poetici in metallo smaltato che egli ha concepito insieme a quell'altro maestro della sua generazione, Paolo De Poli (1905-1996)? Un gatto (lungo, lungo), una stella, la luna (per i suoi esperimenti cromatici De Poli prediligeva la luna), un firmamento, un diavolo, un diavoletto (ah, il diavoletto!), gli uccellini (con ali richiuse e con ali dispiegate), un toro (memoria di Lescaux? di Altamira? di Guernica?), un pesce, un cavallo (alla Marc), un cigno, un grappolo d'uva, deinde centum /dein mille altera / dein secunda centum (tanto per rimanere nella sfera poetica).

A proposito del suo rapporto con Gio Ponti, iniziato negli anni quaranta, così ne ha scritto lo stesso De Poli “Oltre ai mobili con decori molto elaborati in rame smaltato a forma di labirinto e di carte da gioco, ho realizzato, stimolato dal suo estro, numerose serie di smalti a forma di animali (uccelli, pesci, cavalli e gatti), di frutta e di diavoli dai mille colori". (in Ugo La Pietra, Gio Ponti, Coliseum, 1988, poi Rizzoli, 1995)

“Era bella – tanto per dirne una – l'invenzione pontiana delle figure di animali – gatti, pesci, cavalli, e anche cocomeri e diavoli – «ritagliate e piegate», come si fanno in carta. Figure piane che «stanno in piedi da sole». Erano un modo pontiano di usare ancora e sempre e solo il disegno – disegnare con le forbici – e non la materia corposa. E l'accordo con De Poli era completo, nel farne degli oggetti. De Poli, con Divertimento e con Bravura. Quella Bravura che rendeva possibile tutto, anche il più difficile e il più grande, nei «disegni» pontiani da trasferire in smalto.
Quando poi De Poli lavorava di suo, di tutto suo, allora poteva sfogare anche il suo amore per le forme informi, e portare al massimo la capacità di far preziosa la materia («i suoi azzurri trasparenti e profondi, argentati e lunari»). Quella materia che, con lui, «è sufficiente espressione d'arte come materia», dice ancora Gio Ponti.
È bello pensare (alla distanza immensa di solo 40 anni) al «mondo delle arti» in cui queste capacità fiorivano. Smalti. ricami, vetri. Maestria ed invenzione, per dare forma bella agli oggetti e servire la vita con grazia. Il «mondo delle arti» viveva autonomo. Gli artisti lo amavano come tale. Gio Ponti amava dire che i suoi tavoli con piano in smalto di De Poli «piacquero a De Pisis e a Daria Guarnati». Uno dei ricordi più lontani che io ho delle Triennali erano i viaggi in Italia che Gio Ponti allora faceva, per andare dai «maestri» famosi, o nei luoghi artigiani famosi, a eccitare con le idee la tradizione. Ma Padova era Padova, e De Poli De Poli. Quello non era un viaggio, era un colloquio stabile”. (Lisa Licitra Ponti, 1984)

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Paolo de Poli e Gio Ponti, oggetti in rame smaltato policromo, anni cinquanta/sessanta. In alto: diavoli, testa di toro, uva, 13 stelle, toro, firmamento. In basso: cavallo, pinguino, cavallo con testa reclinata, cavalluccio marino, pesce, gatto, uccellino, cigno.

Il grande merito di Paolo De Poli è stato quello di aver iscritto nella modernità l’antica arte dello smalto su metallo, ma soprattutto gli va riconosciuta l’abilità di averlo irradiato di cromatismi vivacissimi, di colori lucidi e brillanti, madreperlacei, iridati e vitrei, senza dubbio gemelli di quelli del vetro veneziano e direttamente discendenti dalle icone in smalto cloisonné della Pala d’oro conservata nel presbiterio della basilica di San Marco a Venezia, ma anche imparentati con il tonalismo veneto.

Così in proposito ha scritto lo stesso De Poli:

“Sono italiano e sono nato nelle Venezie, ove nel passato ebbe origine una delle più grandi scuole coloristiche del Rinascimento. Ho così un naturale senso del colore e la personale conoscenza della pittura mi fa apprezzare, in modo speciale, la bellezza del tono e della luce.

Per questo, cinquant'anni orsono, ho veduto nello smalto a fuoco la materia che poteva dare ad un oggetto metallico dalle forme semplici e razionali, bellezza e splendore incomparabili. Una piccola e comune ciotola di metallo diventava preziosa se rivestita dai magici colori dello smalto. Con lo smalto tutto diventa bello e la sua superficie liscia, vetrificata, aumenta le caratteristiche di praticità. Ho cominciato con le ciotole lineari ed ho poi fatto vasi, piatti, vaschette, scatole, piccoli quadri, grandi pareti decorate, mobili con larghe superfici istoriate, caminetti, maniglie di ogni tipo e pezzi unici per collezionisti.
Ho collaborato con i più noti architetti italiani creando sempre nuove applicazioni, smaglianti di colore.
Apprezzo lo smalto perché nessun'altra materia potrebbe darmi una così vasta gamma di colori, dai toni profondi e decisi alle più delicate trasparenze.
Se poi il metallo viene cesellato o battuto, la bellezza dei colori viene aumentata da trasparenze, lucentezze, incomparabili giochi di luce.
Nutro molta fiducia nello smalto perché ho constatato che in ogni applicazione dà notevoli vantaggi pratici e funzionali.
Mi piace smaltare, perché il fuoco sa trasfondere ai colori magici e suggestivi effetti.
Penso che lo smalto mi abbia dato sempre nuove possibilità di applicazione, per impreziosire oggetti e renderli più rispondenti alle esigenze moderne”. (1984)

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Paolo De Poli, ciotola in smalto su rame con interno a raggiera color acquamarina, blu e oro, anni ‘60; ciotola in rame martellato con decoro di smalti policromi, 1960 circa.
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La tavola con i campioni degli smalti nello studio-laboratorio Paolo De Poli Smalti d’arte, in via San Pietro, 43 a Padova.

Dal 1933 al 1992, Paolo De Poli ha lavorato, ricercato e sperimentato nel suo studio-laboratorio padovano di via San Pietro al 43 (che occupava un intero palazzo), raggiungendo vette ineguagliate e ineguagliabili nella tecnica dello smalto a fuoco su rame.

“Il metallo che io uso comunemente è il rame, perché il rame dà una luce rosata viva”, ha scritto. Sebbene, oltre che su argento (che lui non preferiva, ma che ha però dato origine ad opere di quel blu lunare decantato da Ponti), egli abbia audacemente sperimentato anche l’applicazione dello smalto su ferro e su acciaio. Ma soprattutto il maestro veneto è stato il primo a trasferire questa nobile lavorazione, fino ad allora applicata soltanto all’arte suntuaria, nella sfera degli oggetti d’uso domestico. Una battaglia, la sua, per portare la bellezza e la modernità nel quotidiano, analogamente a quanto andava facendo negli stessi anni Gio Ponti nel suo lavoro progettuale e che andava anche teorizzando dalla cattedra del Politecnico e dalle pagine di Stile prima e di Domus poi.

De Poli si era formato all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico di Padova, dove aveva seguito i corsi per diventare fabbro e successivamente quelli di sbalzo e cesello. In seguito aveva frequentato lo studio del pittore veronese Guido Trentini amico di Casorati. Sebbene avesse dapprima manifestato una propensione per la pittura (arte che non dimenticherà mai), a partire dal 1933 sceglierà di dedicarsi allo smalto a fuoco su metallo, tecnica che ha coltivato studiando esempi del passato ma soprattutto sperimentando e ‘inventando’. Infatti egli era molto curioso e amava viaggiare; in ogni città visitava i musei d’arte, per conoscere le tecniche e le forme dalle opere che vi erano conservate e per apprendere da esse. La sua cultura artistica era solida, soprattutto conosceva bene la storia dell’arte della sua terra, dalla quale, come ha dichiarato lui stesso, ha sempre tratto ispirazione.

Il primo libro sull’arte di questo maestro è stato a firma di Gio Ponti e si intitolava Smalti di De Poli. Uscito nel 1958 per le edizioni di Daria Guarnati venne presentato nello studio-laboratorio di via San Pietro, 43, alla presenza di critici d’arte e direttori di musei italiani. Così si legge nella premessa di Ponti:

“Uno degli uomini a me più cari e che reputo uno fra i più valorosi maestri nell'arte sua fra quanti ho conosciuto nell’operare, è Paolo De Poli, lo smaltatore padovano al quale sono legato da tante opere o iniziative comuni, dai pannelli per la Facoltà di Padova a quelli per il Conte Grande, per il Conte Biancamano, per il Giulio Cesare e per l'infortunato Andrea Doria, fino ai mobili che piacquero a De Pisis e a Daria Guarnati.
Io sono poi ancor più legato a De Poli dal favore che egli mi ha tanto spesso concesso, secondando una passione irreprimibile della mia vita, di cercare delle forme per i suoi smalti e di eccitarlo a creare con la sua eccezionale esperienza – come egli è magistralmente riuscito – quelle gamme che ci incantano tutti, dei suoi azzurri trasparenti e profondi, argentati e lunari, con i quali ha coperto animali e vasi che avevo pensato per lui, trasponendoli in un’espressione poetica. Oltre però che dall'ammirazione per la sua tranquilla maestria e fedeltà all'arte difficile e sapiente dello smalto, io gli sono legato dal conoscere da tanti anni la sua amicizia sicura, fedele, la sua grande bontà; la sua dirittura, e lo spirito e l'animo suoi, mondi da ogni pensiero malizioso”.

Dopo questa pubblicazione, non è uscito più nulla sulla figura di Paolo De Poli artista, fino al 1984, quando ha visto la luce L’arte dello smalto: Paolo De Poli, pubblicato in occasione dell’esposizione monografica tenutasi quello stesso anno nella sua città natale (con, fra quelli di molti altri autori, uno splendido testo di Manlio Brusatin).

Fatte salve le pubblicazioni di immagini delle sue opere su cataloghi di mostre e di aste di design, per 33 anni di nuovo silenzio stampa su di lui fino a quando, nel 2017, Alberto Bassi e Serena Maffioletti, non pubblicano il fondamentale studio a più voci intitolato Paolo De Poli artigiano, imprenditore, designer, edito da Il Poligrafo. Da quel momento si sono susseguite alcune altre pubblicazioni, per arrivare, al catalogo della mostra visitabile fino al 16 novembre 2025 al Museo degli Eremitani, Paolo De Poli Il progetto dello smalto tra laboratorio e impresa (Esedra Editrice, pp. 175, € 22.00).

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Alcuni scorci della mostra Paolo De Poli Il progetto dello smalto tra laboratorio e impresa.

Organizzata con la collaborazione dello Iuav (Istituto Universitario di Architettura di Venezia) e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è stata curata da Alessandra Bosco e Lucilla Calogero (per lo Iuav) e da Elisabetta Gastaldi (per il Museo d'Arte Medioevale e Moderna di Padova, con la collaborazione dei figli di Paolo, Evelina, Aldo e Giovanni Poli. L’allestimento è delle stesse Bosco, Calogero, con Laura Baracchini dello Iuav.

L’occasione della rassegna l’ha offerta la volontà di celebrare le due donazioni degli eredi dell’artista ai Musei Civici di Padova (2006-2007 e 2022). Si tratta di oltre cento opere, tra elementi d’arredo, pannelli decorativi e oggetti di design che, datati dagli anni Venti agli anni Ottanta, testimoniano l’evoluzione e la varietà della produzione del maestro veneto.

Affiancano le opere, ordinate secondo criteri tipologici e tematici, documenti originali, disegni, strumentazioni tecniche e strumenti di lavoro, tutti conservati nel Fondo De Poli dell’Archivio Progetti dello Iuav. Vi sono esposti campioni, semilavorati e, soprattutto, annotazioni e appunti che il maestro prendeva in corso d'opera: testimonianze della sua ricerca incessante e della sua continua sperimentazione tecnica che mettono in luce la sua capacità di fondere la tradizione artigiana di smaltatura e di cottura del rame con una progettualità decisamente moderna.

Per la loro singolare bellezza, per la loro eleganza e per la loro elevata qualità, le opere di Paolo De Poli sono state apprezzate fin da subito dal mondo del collezionismo nazionale e internazionale, e ancora lo sono. Inoltre, egli può essere considerato uno dei pionieri del Good Design italiano, per lo sperimentalismo che ha contraddistinto la sua ricerca e per l’audacia tecnica con cui ha attuato il passaggio dalla smaltatura a fuoco di metalli nobili, a quella del ferro e dell’acciaio, approdando perciò dalla produzione in pochi pezzi a quella seriale e segnando una tappa fondamentale nel cammino del nascente industrial design.

Vorrei concludere senza discostarmi dalla poesia, dentro la quale l’arte del maestro veneto ha sempre dimorato, definendolo con il titolo di un’opera di Paul Valéry: Paolo De Poli o dell'eminente dignità delle arti del fuoco.

Paolo De Poli estrae dal forno un oggetto incandescente, l'Anguria, di Gio Ponti.

Da quest’anno tutte le donazioni a favore di doppiozero sono deducibili o detraibili. SOSTIENI DOPPIOZERO (e clicca qui per saperne di più).
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