Luca Rastello

7 Luglio 2015

A che punto sei, avevo chiesto pensando all’ambiziosa scrittura che aveva in corso. Se fossi eterno sarei a posto, ma dato che sono caduco… Luca ironizzava e scherzava, intanto diceva cose profondissime senza dimenticare, mai, nemmeno per un attimo, Madame Problema che gli fiatava sul collo. Tematizzava l’argomento, lui, soggetto della malattia, la riduceva ogni volta a un oggetto. Che è diventato qualcosa che anche noialtri, i cosiddetti sani, abbiamo potuto condividere e partecipare così all’avventura strozzata ed esaltante dei dieci anni della sua malattia.

 

Non sopportando quanto gli era capitato, deciso fin da subito a non darla vinta, Luca era riuscito a trasformare la sua malattia in una causa, una causa collettiva che sommava le tante cause in cui credeva lui, e moltiplicava le tante cause di ognuno. Andare a trovare Luca significava scoprire realtà che si erano conosciute magari in astratto, per sentito dire, mentre da lui erano lì, presenti in carne e ossa. Serbi e croati, bosniaci e kosovari, argentini e colombiani, torinesi milanesi, emiliani romani, volontari di associazioni le più disparate, giornalisti ed editori, tutti lì per un atto di militanza – perché non c’erano dubbi che anche l’amicizia lo fosse. Le presentazioni dei suoi libri erano sciami di folla, happening che i più giovani non avevano mai visto, e che ai più vecchi ricordavano il passato, quando “il personale era politico”.

 

Luca era diventato il leader di un movimento infinito di conoscenti e amici. Seduto in poltrona, regale nell’accogliere le delegazioni in visita, che a volte faticavano a ottenere udienza, ma sempre finivano con il mischiarsi, e così si mischiavano le comunità del suo mondo infinito, o meglio, dei suoi tanti mondi che la malattia aveva portato a incontrarsi, conoscersi, frequentarsi. Ascoltava tutti, era paziente con tutti. Con chi lo vedeva già spacciato e chi invece lo immaginava eterno, chi si angosciava e voleva capire tutto e chi invece non sopportava di sapere del progredire del suo male. Da qui l’idea di una newsletter da distribuire ai visitatori all’ingresso, insieme a copie gratuite di Malattia come metafora di Susan Sontag. Da qui anche il colpo di scena: con un balzo Luca andava in un’altra camera e tornava con addosso una maglietta con la scritta: Possiamo cambiare discorso? Durante queste visite si imparava sempre qualcosa, si conosceva qualcuno che conosceva qualcun altro… Si piangeva prima e poi: durante c’era sempre un motivo per ridere a crepapelle. Ma tutti si faceva fatica ad accettare quello che c’era davanti agli occhi: un uomo vivo, maledettamente vitale, eppure gravemente malato.

 

In bici sotto la pioggia, a piedi per andare a fare la chemio, in macchina la notte al ritorno da un dibattito, Luca esercitava il suo spirito guerriero, proteggeva la normalità. Malato riottoso, come si definiva, non era disposto a rinunciare ai piaceri, sfotteva i sostenitori di diete e massaggi, omeopatie e rimedi, intanto mangiava cibi che noialtri mai saremmo riusciti a digerire, faceva viaggi – dall’Islanda a Samarcanda – che avrebbero provato ogni fisico.

 

A Milano, in una serata di settembre, aveva parlato di Tristram Shandy. Era un romanzo poco letto, diceva, ma capace di esaltare l’arte del narrare. Tristram, generato sotto l'influsso dell'orologio, sa che la morte lo sta inseguendo. L'opera è digressiva ma anche progressiva: può essere prolungata. L'arte del narrare si è rivelata un'arma difensiva come lo scudo di Achille. Se per descrivere un giorno ci vuole un anno, scrivendo si influisce sul tempo. Perché il tempo di un uomo è destinato a esaurirsi come il tempo di una vicenda narrata, ma lo si può moltiplicare confondendolo, sovrapponendo altri tempi, altre storie. E poi Sterne ha un'ultima trovata, entra nel suo libro. Entra nel romanzo. Tristram non muore più: Tristram è vivo e credo che la principessa indiana si alzi in piedi ad applaudire. Poi Luca ha aggiunto questa citazione:

In un remoto casolare coperto di stoppie dove vivo costantemente impegnato a lottare contro le afflizioni della cattiva salute e di altri mali della vita con le armi del buon umore, essendo fermamente persuaso che ogni volta che un uomo sorride, ma più ancora quando ride, aggiunge un granello a questo breve frammento che è la nostra vita.

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