Ulrika Lagerlöf, la Svezia e i Sami
«Un tempo qui, ora non più. Sotto molti aspetti, dovrebbe essere sempre così.»
Da questa riflessione di Eva, una delle protagoniste del romanzo Il profumo della bacche selvatiche di Ulrika Lagerlöf (Corbaccio, 2025) potrebbe iniziare la narrazione di un libro che è un inno alla resilienza e alla lotta per l’indipendenza ma anche una riflessione sull’identità culturale e sulle radici.
Costruito su due piani temporali e ambientato in Svezia, nel piccolo paese di Djupsele, il libro intreccia magnificamente il presente (siamo nel 2022) e un passato che non vuole saperne di essere messo da parte (gli anni ’30).
La storia di Eva, dipendente di un’azienda forestale responsabile delle attività di ispezione sul campo e chiamata a prendere decisioni difficili sul disboscamento, e quella di Siv, cuoca per un capanno di taglialegna, mandata a lavorare lontano da casa ancora prima di compiere la maggiore età, vengono narrate in un’alternanza continua di passato e presente regalandoci scorci su una realtà storica poco nota.
I due personaggi principali sono legati fra loro da un rapporto di parentela, Siv infatti è la nonna paterna di Eva. Ma quanto conosci veramente le persone che pure hai avuto accanto per buona parte della tua vita? Quanto sai davvero della tua famiglia di origine? Eva e Siv sono nonna e nipote, è vero, eppure un velo di segreti e di non detti le avvolge.
In un crescendo di intrecci e di incontri, le storie delle due donne si intersecano con quelle degli altri personaggi portandoci a scoprire che non sempre ciò che presumiamo di conoscere alla perfezione corrisponde al vero.
Altri protagonisti fondamentali, infatti, sono Vilgot, il figlio adolescente di Eva che giudica negativamente il coinvolgimento della madre nelle operazioni di disboscamento, e Fanny, una ragazza adolescente figlia di un amore giovanile di Eva e coinvolta in manifestazioni contro le attività di transizione ecologica che secondo il gruppo di attivisti di cui fa parte non hanno realmente rispetto dell’ambiente.
Il padre di Fanny, Mattias, sa che la figlia è coinvolta nelle azioni degli attivisti ma non può immaginare a cosa i ragazzi siano disposti ad arrivare per difendere la propria causa.
Nel libro trova uno spazio centrale il conflitto fra sviluppo e conservazione: seppur le storie famigliari costituiscono la trama narrativa, il dibattito sulla gestione delle foreste è centrale.
Il romanzo affronta la questione di chi ha diritto sulla terra, esplorando i conflitti tra coloni e popolo nativo dei sami basati sulla proprietà statale e sulle rivendicazioni storiche.
La prospettiva del popolo sami, da sempre legato ai ritmi della natura, si contrappone, nel presente come nel passato, a quella dei “coloni”, ovvero gli svedesi. Eva che lavora appunto per un’azienda forestale si trova al centro di questo conflitto e cerca di spostare l’attenzione sulla sostenibilità e la transizione verde.

Facendolo, affronta pressioni mediatiche, minacce e si trova a dover bilanciare la logica imprenditoriale con le questioni ambientali e sociali.
Quello che Eva non sa, è che prima di lei proprio sua nonna Siv si era trovata in una situazione analoga.
L’autrice attraverso Siv riflette sulle relazioni umane e sull’amore come strumento di incontro. Fra le pagine trovano spazio anche due importanti storie d’amore, quella più intensa e più simbolica fra Siv e Nila, un sami delle foreste, e quella che affonda le radici nel passato per riaffiorare, forse mai sopita, nel presente: quella fra Mattias e Eva.
Ma è in realtà principalmente con gli occhi di Siv, ragazza e poi donna coraggiosa e dalla visione aperta al mondo pur arrivando da una piccola realtà, che scopriamo l’importanza del senso di appartenenza in un passaggio estremamente poetico: “esistiamo insieme, abbiamo bisogno gli uni degli altri e siamo legati fra noi”.
Eppure nonostante questa riflessione, un altro dei temi portanti del libro è la difficoltà nella comunicazione e nella costruzione di un rapporto.
L’autrice racconta la difficoltà del capirsi e accettare prospettive diverse nei rapporti professionali come in quelli personali.
Sfogliare le pagine di Il profumo delle bacche selvatiche porta a immergersi nell’atmosfera delle foreste e dei sentimenti dei personaggi ed evidenzia il legame ininterrotto fra passato e presente, la memoria e l’identità e il rapporto con la terra.
Una scelta coraggiosa, quella di Ulrika Lagerlöf, perché questo suo romanzo d'esordio affonda le radici anche nella sua esperienza personale: da dieci anni, infatti, lavora proprio nel settore delle comunicazioni dell'industria forestale svedese. In un'epoca in cui "green economy" e "transizione verde" sono sulla bocca di tutti, il suo è un atto di grande onestà intellettuale: mettersi a nudo, riflettere sull'impatto reale di azioni che, pur animate da buone intenzioni, possono avere conseguenze complesse e non sempre sostenibili per tutti.
Con una scrittura poetica e a tratti malinconica, l'autrice ci invita a riflettere sul cambiamento e sull'impronta, a volte troppo pesante, che lasciamo. È un inno alla resilienza, sì, ma anche ai legami familiari, alla memoria e alla capacità di guardare avanti senza mai dimenticare da dove veniamo. Un romanzo che non solo si legge, ma si sente, e che ci lascia con una domanda preziosa: qual è, davvero, il nostro posto nel mondo?
