L’ultimo viaggio di un traghettatore
“La fine non è mai come te la immagini, e la fine è tutto, non è così? Arriva l’ultima volta in cui passeggi attraverso il bosco con tua figlia sulle spalle. L’ultima volta che sali in montagna e contempli un paesaggio che senti tuo. L’ultima volta che vai al supermercato e compri il pane e il latte e il burro. Un’ultima estate. Un ultimo bagno.”
Capita talvolta, di leggere un libro e avere l’impressione di partire per un viaggio.
Capita a volte, di perderci fra le pagine di un libro proprio mentre siamo in viaggio e sentire che in qualche modo ci accompagna, ci guida attraverso e dentro una storia che sta proprio fra quelle pagine ma che respira anche in ciò che ci circonda.
Il giorno in cui Nils Vik morì (trad. it. A. Romanzi, Carbonio, 2025) mi ha regalato entrambe queste sensazioni: ho iniziato a leggerlo seduta in riva al Mare del Nord e l’ho finito durante il mio viaggio verso Skrova, un’isola minuscola e meravigliosa proprio di fronte a Svolvaer, in Norvegia. Quando sono scesa dal traghetto ho avuto la sensazione di aver attraversato i fiordi insieme a Nils Vik.
Frode Grytten, l’autore di queste pagine meravigliose, è scrittore, giornalista, poeta e musicista. E forse proprio questa sua poliedricità è la chiave che gli ha consentito di portare tanta poesia, tanta luce, tanta bellezza fra le pagine del suo libro.
Frode, del resto, ha debuttato proprio con una raccolta di poesie, Start, nel 1983. Nel 1999, vince il prestigioso premio Brage, con cui riceve una candidatura al Premio Letteratura del Consiglio Nordico.
Ma questa sua opera, Il giorno in cui Nils Vik morì, lo porta a vincere il Norwegian Book Prize nel 2023.
Fra traghetti e passeggiate, mi sono persa nelle pagine e nella vita di un uomo che per tutta la vita non ha fatto altro che trasportare persone e cose e negli occhi mi è rimasta una luce lattiginosa, la stessa che filtra all’alba tra le montagne norvegesi, quando la notte sembra non voler cedere al giorno.
Una luce che illumina paesaggi e volti e che ci conduce in un mondo sospeso, fatto di silenzi, rituali quotidiani e gesti che si ripetono da generazioni.
Nils Vik, dunque, è un traghettatore e la sua barca, la MB Marta (il nome della moglie del protagonista), non è solo un mezzo di lavoro: è la sua identità, la sua casa, il suo “sentiero di vita”. Ogni traversata è un atto di resistenza contro l’oblio, un modo per tenere insieme una comunità dispersa tra villaggi isolati, portando non solo persone, ma anche notizie, speranze, segreti.

Navigando con qualsiasi tempo, per decenni, Nils ha tracciato una rotta che unisce il presente al passato, la comunità alla solitudine, la memoria all’oblio.
Ma questo romanzo è la storia di un ultimo viaggio.
Il romanzo inizia con il racconto dell’ultimo giorno di vita del protagonista.
Nils si sveglia all’alba sapendo, senza davvero saperlo, che non tornerà più.
Si prepara come ogni mattina – il caffè, la radio, la giacca pesante – ma il mondo intorno a lui ha una qualità diversa, come se ogni gesto fosse definitivo.
A bordo della Marta, insieme a lui, c’è Luna, la sua cagnolina, morta molti anni prima e ora tornata come compagna di questa traversata finale. Le domande di Luna, innocenti e sorprendenti, fanno riaffiorare i ricordi di Nils, intrecciandosi con la memoria di un’intera vita:
“Che cosa ti ricordi meglio, Nils?”
“Cosa farai quando incontrerai di nuovo Marta?”
“Abbiamo dimenticato qualcuno?”
Luna non è solo una presenza affettuosa: è il catalizzatore di una riflessione profonda, il tramite tra passato e presente. Grazie a lei, e grazie al silenzio del fiordo, i morti che Nils ha trasportato negli anni emergono dal grigio e salgono a bordo. Luna diventa la voce della memoria stessa, quella che non giudica e non dimentica, che chiede con la curiosità di un cane e la saggezza di un vecchio amico.
Il traghetto dunque si riempie di volti: passeggeri che un tempo erano vivi e che ora tornano come ombre, come fantasmi, apparizioni di una vita passata. Ognuno porta con sé una storia, e Grytten li tratteggia con pochi, nitidi dettagli, come fotografie in controluce.
Ogni passeggero ha toccato la vita di Nils Vik e i ricordi dei momenti vissuti assieme si vanno a sommare a quelli che Nils non può conoscere, perché appartengono al vissuto personale, a quel lasso di tempo fra una traversata e l’altra. I morti raccontano e Nils ascolta. Ed è in quell’ascolto gentile e attento che ritroviamo l’anima di un luogo e l’anima di isole remote collegate fra loro da un traghetto e da un uomo. Per la maggior parte dei passeggeri che incontriamo fra queste pagine, la barca è stata un mezzo essenziale per raggiungere la città principale, le scuole, gli ospedali. È stata una parte della loro esistenza e Nils Vik una presenza costante, una “connessione” fra mondi.
Lo spazio della cabina era un luogo confidenziale dove aprirsi e parlare e i morti, questo, lo ricordano e sono grati a Nils.

Quante vite ha toccato questo semplice traghettatore e quante vite, che ora sono diventate ombre, lo aspettano ancora per salire a bordo un’ultima volta, per accompagnarlo per l’ultimo tratto di “strada”.
C’è Jon Anderson, il ragazzo ribelle che suonava la chitarra e che, sul ponte della barca, cercava di fuggire a un destino di violenza familiare.
C’è Jens Hauge, contadino timido e innamorato, che Nils aveva aiutato a trovare moglie, e che ora appare come un fantasma stanco, simbolo di desideri mai realizzati.
C’è Ingrid Alstadsæter, l’insegnante che correggeva i compiti durante la traversata e che aveva visto in Nils un uomo capace di dare tempo e ascolto.
E c’è Kari Aga, l’ostetrica che ha assistito a molte nascite, inclusa quella di una bambina venuta alla luce proprio sulla barca.
Infine, tra tutti, appare Ivar, il fratello di Nils, portando con sé il peso degli affetti familiari e delle incomprensioni mai sanate.
La barca diventa così un crocevia tra vita e morte, tra memoria e oblio. Ogni personaggio è una voce che si aggiunge al coro silenzioso del fiordo: frammenti di esistenze che trovano spazio in una narrazione poetica e frammentata.
Nils stesso si trasforma in narratore e testimone di queste vite, custode di una comunità che rischia di svanire sotto la spinta del progresso. La costruzione di un ponte, che renderà inutile il suo traghetto, incombe come un presagio: il mondo di Nils si dissolve lentamente, e la sua barca diventa l’ultimo baluardo contro la perdita di memoria.
Il fiordo non è solo un paesaggio: è un personaggio vivo, mutevole, a volte accogliente e a volte minaccioso. “Una delle zone più belle del mondo, ma anche una delle più pericolose”, come viene detto nel romanzo.

L’acqua è specchio e abisso, luogo di passaggio e di pericolo, metafora perfetta della vita stessa: imprevedibile, fragile, splendida ed anche il volto Nils Vik sembra farsi tutt’uno con l’acqua: rugoso, logoro, come se il paesaggio lo avesse scolpito lentamente giorno dopo giorno.
È proprio Nils a riconoscersi parte del fiordo, è lui, in un passaggio denso di poesia, a paragonarsi a quelle acque scure: “anche il tempo dentro di me cambia. Sono come il fiordo, mi gonfio e mi placo, mi gonfio e mi placo”.
Il culmine di questo viaggio è l’atteso incontro con Marta, la moglie di Nils, morta tempo prima. Fin dall’inizio del romanzo, la sua assenza è una presenza costante: Nils parla con lei, ringrazia la sua sedia vuota dopo la colazione, sente la sua voce che gli sussurra “Ti aspetto di sotto, amore”.
Quando finalmente Marta appare, è un momento di pura grazia:
“Ed eccola. Marta era lì, era arrivata alla fine della sua storia. Era dietro di lui, gli avvolse le braccia attorno al corpo, gli coprì gli occhi con le mani, come per fargli una sorpresa…”
Il loro dialogo finale, semplice e dolcissimo, riecheggia il primo incontro tra i due:
“Come hai attraversato il fiordo?” chiede Nils.
“In bicicletta, ovviamente” risponde Marta.
Sono le stesse parole che si erano scambiati quando, conosciutisi da poco, Marta lo aveva raggiunto con la scusa di doversi far riparare la ruota della bicicletta.
È un momento di pace assoluta, in cui l’amore e la memoria trionfano sulla morte.
Nils trova la sua riconciliazione e si lascia guidare verso l’altra riva, completando il cerchio della sua vita.
Grytten costruisce il romanzo come un mosaico di voci e ricordi, con una scrittura intensa e visiva, capace di alternare momenti di lirismo a dialoghi incisivi. I suoi personaggi emergono da pochi gesti, da parole trattenute, come figure intraviste nella nebbia del fiordo.
Una scrittura che possiede la densità di una poesia epica e la delicatezza di un diario intimo. Ogni pagina è intrisa di luce e di ombra, di silenzi e di rumori sommessi: il ronzio del motore, il gorgoglio dell’acqua, il fruscio del vento.
Il giorno in cui Nils Vik morì non è solo la storia di un uomo e della sua barca. È un inno alla memoria, un canto corale, un tributo alla comunità, alla resistenza silenziosa di chi continua a traghettare vite e storie anche quando tutto intorno cambia. È un romanzo che ci ricorda che ogni viaggio – reale o simbolico – è un ponte tra passato e futuro, tra noi e gli altri.
Quando si chiude l’ultima pagina, restano negli occhi immagini delicate e potenti: una barca che scivola sull’acqua scura, il fiordo, con la sua bellezza sublime, sempre diverso eppure sempre uguale a sé stesso: le vite passano, il fiordo rimane, testimone del loro passaggio. Se c’è un messaggio che certamente ci arriva potente da questo romanzo è che ogni attraversamento, per quanto breve, lascia una traccia indelebile in chi lo compie e in chi resta ad aspettare sulla riva.
Fotografie di Valentina Tamborra.