La maturità 2022 e i salatini

22 Giugno 2022

Sono sempre io che li aspetto sulla porta, si lasciano tutto alle spalle, arrivano sempre da soli. Veronica, ad esempio, le sue armi sono la chiavetta digitale che tiene tra le dita, il passaporto boliviano, il tailleur ovviamente. Matteo sale le scale davanti a me con passo sicuro, ma poi mentre firma gli trema la mano, cerca il bracciolo a tentoni, quasi non si regge in piedi. Mi ricordo di Lin, giugno 2020: dopo pochi passi si era spezzato in ginocchio in singulti, erano mesi che non rivedeva i corridoi della scuola e ai primi gradini aveva sentito tutta la solidità del tragico liberatorio congedo che stava prendendo.

Di solito sono io che controllo i documenti, valuto il loro pallore, offro loro un po’ d’acqua, sorrido sulla soglia. Cerco di non toccarli, mentre saliamo le scale, per l’estrema fragilità di quell’insieme di giacca nuova, deodorante neutro e parecchie ore senza sonno. Oppure per la nostra fragilità: improvvisamente evidente quando la si confronta con i diciotto anni di Ikram, bella e intelligente come una dea, perfettamente a suo agio nelle sue tre lingue madri. Ne ha scritto, del giorno dell’esame di maturità, anche Antonio Scurati, in Il sopravvissuto (2005) raccontando la storia di Vitaliano Caccia che aveva sterminato, in quel giorno rituale, quasi tutta la commissione di insegnanti, allagando la comunità che lo aveva visto nascere, essere bambino, prepararsi per attraversare la soglia dell’età d’uomo, di un senso di profondo sconcerto. 

“Quel ragazzo con la sua pistola – scrive Scurati – era stato per tutti loro una catastrofe naturale. Non un agente umano del male, di fronte al quale la comunità si rinnova. Gli abitanti di Casalegno, riuniti in piazza della Liberazione, non erano i membri di una cittadinanza affratellata del pericolo, ma una massa eterogenea di terremotati che pernottano in strada perché le loro case non sono più sicure. Perché nelle loro case, in agguato nella penombra azzurrognola dei televisori, accesi su un canale morto, ci sono ad attenderli i loro figli”. 

Così, mentre sta per aprirsi il rito nazionale della maturità 2022, prima di interrogare i candidati, non sarebbe male interrogare la società che li circonda, quella che li accompagna fino ai cancelli, quella che dorme nelle loro notti insonni. E più in dettaglio, che maturità abbiamo preparato loro? Come si sa, quest’anno è tornato il tema di italiano tra le prove d’esame: sacrificato alla pandemia, era stato sostituito da un piccolo supplemento di domande orali, non certo sufficienti perché il candidato potesse dimostrare ai propri padri quel che sapeva davvero fare. Perché è quello il momento in cui il giovane esibisce il suo “capolavoro”, come gli artigiani definivano il pezzo con il quale l’apprendista dimostrava la sua arte al maestro. Poco fuori Parma un maestro di campagna amico di Attilio Bertolucci, Ettore Guatelli, raccolse nella sua casa, per mostrarli ai suoi studenti, i reperti della civiltà contadina che scompariva, negli anni Cinquanta, sotto la spinta dell’industrializzazione, tra questi anche diversi capolavori di bottega; uno di questi è un piccolo sgabello da mungitura, perfetto, intagliato con linee orientali in un solo pezzo d’olmo senza chiodi né giunti da un bambino di dodici, forse tredici anni. Il tema, insomma, è tornato in esame anche se non sarà scontato che siano capolavori, quelli che verranno scritti a penna sui banchi nazionali tra qualche giorno.

maturità

È tornata anche la seconda prova scritta, unica e di indirizzo, preparata da una commissione trasversale interna alla scuola in considerazione dell’esperienza particolare dei lunghi mesi di pandemia. Due sono però in questa maturità ancora i grandi esclusi: in primo luogo mancano i docenti esterni, la cui sussistenza venne messa in dubbio già nel 2014, si comincia a temere che questa sana istituzione venga sacrificata sull’altare del bilancio patrio. Il docente esterno non conferiva solo al rituale una oggettività e una solennità accresciute; esso rappresentava anche per la scuola un elemento di confronto, non di rado uno spunto per uscire dalla propria autoreferenzialità: la scuola deve dialogare con un correlativo esterno che ne osserva le prassi; il candidato si trova per la prima volta confrontato ad adulti che ignorano i suoi trascorsi, la sua estrazione sociale, i suoi traumi, adulti davanti ai quali può creare un se stesso nuovo, adulti che talora rovesciano il giudizio, talora miope o riduttivo, degli adulti che lo conoscono da tempo (scrive del limite di questo giudizio Daniele Giglioli, in Critica della vittima, 2014).

Se nelle commissioni 2022 è solo la figura di presidente ad essere esterna, un secondo elemento importante manca ancora alla prova d’esame ed è, un giusto peso attribuito all’esperienza di apprendistato dello studente. A causa della pandemia lo stage (PCTO in gergo scolastico, Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, a seconda del tipo di scuola va dalle 90 alle 210 ore nel triennio) ha preso spesso la mostruosa forma dell’ennesima inutile esperienza virtuale: non solo per necessità sanitaria ma anche per facilità di organizzazione e per la fittiva valutazione ad esso legata. Eppure di nulla hanno bisogno gli studenti e le scuole come di relazioni reali con il territorio e le sue esperienze. Lo stage ben condotto è utile allo studente per confrontarsi a realtà sociali ed economiche che gli sarebbero precluse, è utile a muovere i primi passi guidati nel mondo fuori.

Penso ad esempio allo stage di Emilia: studentessa certificata con difficoltà cognitive: avevo dei dubbi a proporre ad Emilia di gestire il nuovo programma di visite pomeridiane di un museo cittadino. Non sapevo nemmeno se era in grado di venire a scuola da sola, la sua pagella era un deserto di sufficienze a cui credevo non fosse estraneo il lavoro dell’insegnante di sostegno. Fu la direttrice del museo, che aveva visto Emilia all’opera, a convincermi: nessuno studente aveva lavorato con il suo impegno, la sua precisione e la sua passione. Lo stage è stato un successo, un numero di visitatori mai visti reclutati da Emilia via social, gli insegnanti si sono interrogati per la prima volta su Emilia e sulle sue reali potenzialità. 

Lo stage si esprime, nella maturità 2022 in un pugno di minuti dedicati, eventualmente in una scorsa al “curricolo dello studente”. Qualche anno fa uno studente brillante aveva raccontato, durante il colloquio, la sua tesina (ora scomparsa dall’esame): una lunga ricerca sulle emigrazioni economiche della sua famiglia, nelle miniere del Galles prima, nelle aziende agricole argentine poi. Ascoltarlo commentare le vecchie lettere che aveva trovato nei granai della famiglia, negli archivi più remoti, vedere le antiche fotografie ingiallite (quattro uomini magrissimi e sorridenti in gilet abbracciati attorno ad una imponente palma) aveva sollevato inaspettatamente dal tempo e dallo spazio la vecchia aula scrostata, il suo ronzante proiettore puntato su una minuscola ala di muro, la gigantesca ardesia nera incorniciata di faggio da cui era scomparsa quasi del tutto la quadrettatura.

Nessuno aveva più caldo, nessuno sentiva più il sottobanco premere contro le proprie cosce adulte o il poggiapiedi di alluminio incastrare il tacco dei sandali, nessuno aveva più sete o fame o sonno, sentivamo il futuro come una palpabile evidenza, odorosa di tigli e della luce promettente del primo mattino. Poi, ricordo, la presidentessa fece uno sforzo di coscienza, tornando ai suoi doveri e all’orologio, cercò il suono della sua voce là in fondo per dar forma all’ultima domanda chiedendo al candidato quale esperienza di stage avesse compiuto. Quello si alzò in piedi e ci guardò uno a uno e rispose: “Per una settimana ho distribuito salatini ai visitatori di un celebre festival gastronomico. Desiderano sapere quali salatini?".

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