Marija Stepanova: da dove vieni?
Districarsi nel contesto letterario russo contemporaneo non è cosa semplice, ma non è tanto l’hic et nunc a essere la causa principale di questa difficoltà. A rendere ancora più complessa la questione è sicuramente la frattura tra un prima e un dopo, tra chi è rimasto in Russia e chi, dopo l’aggressione all’Ucraina nel febbraio del 2022, degenerata come è noto in una guerra che si protrae da oramai quasi quattro anni, ha lasciato il paese e deve fare i conti con una nuova realtà e una nuova vita (in Georgia, Israele, Francia, Germania o in qualche altro posto in Europa).
In un panorama complesso come questo, repressivo verso la libertà artistica all’interno della Federazione russa, da dove ogni giorno arrivano notizie di denunce costruite ad hoc, nuovi arresti, cancellazioni all’ultimo secondo di nomi di scrittori e scrittrici dai programmi di eventi culturali organizzati nella capitale, e dove sembra sempre più certo che bisognerà aspettare tempi migliori perché possano eventualmente uscire «dal cassetto» le opere scritte dai «veri scrittori» rimasti in Russia (parafrasando Michail Šiškin in una recente intervista, possiamo però provare a mettere insieme qualche tassello di questa nuova, travagliata fase della letteratura russa e russofona, grazie ad alcuni progetti editoriali nascenti fuori dai confini russi. Uno di questi è Proekt-24», una cooperativa di diverse case editrici (tra cui «Novoe izdatel’stvo» di Mosca e altre di Stoccolma, Erevan, Lisbona, Berlino e Tel Aviv), che si autodefinisce come «figura di collettività, solidarietà, auto-organizzazione, cioè dei grandi deficit dei nostri tempi», ed è nata con l’obiettivo di «trovare un modo di pubblicare e diffondere libri sul presente», un modo – come viene specificato – che sia adeguato alla narrazione di quello stato di scollamento e disgregazione che la società russa vive dall’inizio della guerra. Tra i libri per ora pubblicati, segnaliamo Fokus di Marija Stepanova, scrittrice moscovita già nota al lettore italiano per il romanzo Memoria della memoria (uscito per Bompiani nel 2020 nella traduzione di Emanuela Bonacorsi) e le raccolte di versi La guerra delle bestie e degli animali (traduzione e cura di Daniela Liberti e Alessandro Farsetti) e Sacro inverno 20/21 (traduzione a cura di Daniela Liberti) edite rispettivamente nel 2022 e 2024 sempre da Bompiani; in un momento in cui si è molto ridotta anche l’attenzione per la traduzione in italiano delle opere contemporanee (anche perché le sovvenzioni un tempo generose, che arrivavano da Mosca, ora non sono più fruibili), non può che essere accolta con un pizzico di sano anche se cauto ottimismo la scelta di Bompiani di pubblicare anche questo ultimo romanzo breve, apparso di recente con il titolo La sparizione nella traduzione di Cristina Moroni.
Una scrittrice di nome M. compie un viaggio in treno. La destinazione è la città di O. – artificio non inusuale per molti scrittori dell’Ottocento, che ricorrevano volentieri a toponimi d’invenzione o a abbreviazioni per il timore di ingenue inferenze realistiche (qualcuno avrebbe certamente identificato il presunto modello della Signora col cagnolino, se la sua città fosse stata nominata da Čechov…): oggi ha diverso significato, indica l’indistinzione intercambiabile e anonima delle città di un occidente globalizzato. In Stepanova, infatti, la provincia e le città russe sono oramai alle spalle della protagonista, che ha lasciato il paese natale. Quanto alla collocazione temporale degli eventi, il romanzo inizia con il preciso riferimento all’estate del 2023. La scrittrice M., dunque, si sta recando nella città di O. per prendere parte a un festival letterario, in cui sarebbe dovuta intervenire («si sarebbe dovuta esibire», scrive poco felicemente la traduttrice, Cristina Moroni). La cancellazione dei treni per uno sciopero e un cellulare che presto non darà più segni di vita la costringono a cambiare rotta, e così ha inizio un nuovo viaggio con incontri inaspettati e nuove esperienze. Ma l’intreccio della Sparizione non è semplice da raccontare perché, come nota Mark Lipoveckij, la sua costruzione non è dettata tanto dalla successione di eventi, quanto dal virtuosismo della scrittura.

Con il suo nuovo romanzo breve Marija Stepanova crea un’architettura del testo ben articolata, in cui le esperienze vissute da M. già di per sé ricche di dettagli simbolici, si alternano a reminiscenze letterarie e cinematografiche: racconti di racconti dentro le pagine dell’intreccio hanno la funzione di vere e proprie pause riflessive, come quella iniziale che evoca il Pinocchio di Collodi. C’è infatti, vicino alla scrittrice, una «belva», che compare sin dalle primissime pagine del romanzo breve – evidentemente si tratta dello stato russo –, una belva che le stava sempre intorno e che per questo non le ha permesso lo straniamento necessario perché potesse diventare visibile ai suoi occhi (e a quelli degli altri abitanti), cioè «percepibile», per citare un termine caro ai formalisti russi. Il paragone è con il vecchietto e il bambino di legno che stavano dentro il mostro marino; la «sproporzione delle dimensioni non ti dà la possibilità di infliggere alla bestia un danno significativo», spiega la protagonista: l’unica speranza è di essere rigurgitati al suo esterno. È da subito chiaro, dunque, che La sparizione è un libro sull’emigrazione, sul senso di vergogna che si prova per aver scoperto di essere parte della bestia (pur non avendo mai avuto niente in comune con lei), sull’identità e sulla lingua madre, sullo spaesamento e sulla possibile trasformazione in un nuovo non-luogo.
Alla domanda che spesso si rivolge automaticamente a uno sconosciuto, «Da dove vieni?», e che fanno anche a M. quando il suo viaggio si arresta nella città di G., lei risponde titubante e imbarazzata con un vago «Vengo dalla capitale», senza specificare quale. E per questo motivo apprezzerà molto l’affascinante «uomo con le mollette», da subito adocchiato all’inizio del viaggio, quando più avanti si siederà vicino a lei, senza fare nessuna domanda: nel «silenzio amichevole», con lunghe pause che possono ricordare quelle čechoviane tra Gurov e la signora con il cagnolino, le propone direttamente di andare insieme in una escape room.
Una citazione ben più riconoscibile da Čechov si ha in apertura della parte sesta del romanzo, suddiviso in ventidue capitoletti, più uno successivo indicato con zero, a suggerire proprio alla fine un nuovo inizio; le prime parole della sesta parte sono: «Al museo, al museo», e ricordano «A Mosca! A Mosca!», la città cui aspirano le protagoniste delle Tre sorelle. M., però, non ha in realtà alcuna voglia di luoghi di cultura e la spiegazione del suo rifiuto ha, di nuovo, origini letterarie russe: ripercorrendo la trama di un racconto che ha come protagonista un uomo capitato a Parigi in un museo, da dove vuole presto scappare perché il tempio dell’arte si trasforma in un posto terrifico, M. ci sta raccontando Poseščenie muzeja (La visita al museo) di Nabokov, uscito nel 1939 su «Sovremennye zapiski». La conclusione cui giunge la scrittrice è la medesima suggerita dal finale di Nabokov: non bisogna farsi illusioni sul ritorno, e non bisogna gettare via la memoria, per quanto possa essere gravosa, perché la patria reale, in cui alla fine capita il protagonista di Visita al museo, è ben diversa dalla patria della memoria, e non meno terrifica e opprimente di quel museo. E quindi, pur trovando consolatoria la possibilità di vivere in due mondi, come i delfini che dopo aver vissuto sulla terraferma hanno poi scelto di tornare negli abissi, M. è sicura che per lei non potrebbe esserci «nessun a casa» e nessun oblio. L’unica via d’uscita per liberarsi dalla bestia è «liberarsi di se stessi», scegliendo la via del silenzio, del mutismo.

Giunta in uno spazio che Lipoveckij definisce liminale, cioè in una cittadina che non è quella del festival letterario dove l’avevano invitata, né il luogo sul lago dove ora viveva (né tanto meno la «capitale» da cui proviene), la scrittrice M., sempre attenta a cogliere tutti i dettagli circostanti, si sofferma a leggere una scritta: «Circo di Peter Kon». E la memoria la riporta subito a un film che le era rimasto molto impresso: evidentemente si riferisce a Cirk (Il circo), opera non del 1938, come ricorda erroneamente, ma del 1936. Nel momento di più feroce insaziabilità della bestia, ci suggerisce amaramente M. alludendo alle purghe staliniane, l’arte celebrava il glorioso avvenire. Se non radioso, un nuovo avvenire sembra però schiudersi inaspettatamente anche per la scrittrice, proprio grazie al Circo di Peter Kon, che la ingaggia per partecipare a un vecchio gioco di prestigio (il titolo del romanzo, in russo, è infatti Fokus, a indicare sia il trucco dell’illusione sia il punto focale, come suggerisce anche Valentina Parisi nella sua recensione del romanzo apparsa su “Alias” in data 28 settembre 2025): entrare, cioè, dentro un sarcofago di cristallo e uscire fuori intatta, nonostante il taglio a metà dell’oggetto (e quindi di sé medesima). In altre parole, M. sperimenta la morte temporanea attraverso il circo, e rinasce con un nuovo nome: al cieco Peter Kon, il primo che mostra interesse per il suo nome, e non per il luogo d’origine, lei risponde questa volta senza esitare: A. La M., dunque, in comune con l’iniziale dell’autrice Marija Stepanova – che vive attualmente a Berlino e prova sulla sua pelle l’esperienza della separazione da Mosca, la città natale – è sostituita dalla prima lettera dell’alfabeto, metafora di una possibile trasformazione, nonostante il nome completo non sia dicibile nemmeno questa volta.
Che la scrittura possa aiutare a rendere più sopportabile il trauma della separazione dal luogo natale, e che trauma e creatività artistica possano essere legati da un doppio filo, non è una novità. Non mancano esempi di questo tipo nella letteratura russa, e non solo in quella di taglio autobiografico, così come in altre letterature. Di sicuro, La sparizione, un romanzo-selva, fitto di dettagli simbolici, di reminiscenze letterarie, di riflessioni, di personaggi secondari (non per questo meno affascinanti), e di bestie non solo metaforiche, ma anche reali (i cigni, il leone, il cane randagio giallo del finale ecc.), merita di essere collocato a fianco dei migliori esempi di narrativa contemporanea di questo genere.
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