Paul Auster: la breve vita felice di Stephen Crane

20 Gennaio 2023

Paul Auster ha dedicato una biografia di quasi mille pagine a Stephen Crane, lo scrittore americano autore di Il segno rosso del coraggio, scomparso a soli 28 anni il 5 giugno 1900, lasciando un’impronta duratura nella letteratura del suo Paese: Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane, edito in Italia da Einaudi. 

Crane aveva dovuto fare i conti sin da bambino con una salute cagionevole, presto afflitta dalla tubercolosi polmonare; sapeva di avere poco tempo per vivere e affermarsi come scrittore, e cercò di rendere i suoi anni degni di essere vissuti. 

Ha solo 22 anni quando pubblica Maggie, ragazza di strada e 24 quando esce, prima su riviste poi in un volume pubblicato dall’editore Appleton, Il segno rosso del coraggio. L’opera rende famoso Crane, sia presso la critica sia presso il grande pubblico: c’è il racconto di una battaglia della guerra di Secessione, ma non è un libro sulla guerra, è la storia di un giovane e delle sue paure. I combattimenti si susseguono per tutta l’opera, con grande forza di scene e di immagini, dense di colori, ma il cuore del libro è l’anima del protagonista. Lo scrittore americano libera le pagine da qualsiasi rimando a luoghi, date, nomi di comandanti, ragioni dei contendenti; la guerra nel libro è paesaggio, morte, disperazione e avvolge il giovane protagonista, i suoi sogni di gloria, le sue paure, il desiderio di riscatto. Crane definisce il libro «un ritratto psicologico della paura». 

In realtà il manoscritto viene tagliato in più punti, anche di un intero capitolo. Un’edizione più conforme all’originale (purtroppo alcune pagine sono andate perdute) uscirà solo nel 1979 negli Stati Uniti, a cura del professor Henry George Binder. In sintesi, il testo è prosciugato di riflessioni che accentuavano il tono ironico dell’opera, a favore di una cadenza più rapida di avvenimenti e azioni.

«Vorrei piuttosto essere una superba meteora, ogni atomo di me in uno splendore magnifico, che un pianeta sonnacchioso e permanente. La giusta funzione di un uomo è vivere, non esistere. Io non sprecherò i miei giorni nel cercare di prolungarli. Io userò il mio tempo». Questa riflessione di Jack London sul senso della propria esistenza può far comprendere l’idea che il giovane Stephen Crane aveva della vita e della sua vocazione di scrittore. Un’idea che Paul Auster pone al centro del suo lavoro, sin dalla scelta del titolo.

Le pagine della biografia scorrono con cadenza e ritmo narrativi, senza le pause e le digressioni di un saggio critico, un genere letterario che Auster ha più volte dichiarato di detestare. Alla scioltezza della scrittura accompagna però una grande precisione, frutto di uno studio accurato e appassionato.

Paul Auster è infatti uno dei tanti autori della letteratura americana ed europea che è rimasto colpito e affascinato dalle pagine di Crane. Tra questi Robert Frost, Henry James, H.G. Wells, Ezra Pound, e soprattutto Ernest Hemingway, che in Verdi colline d’Africa scrisse: «I buoni scrittori sono Henry James, Stephen Crane e Mark Twain. Ma si badi che non sono riportati in ordine di valore. Non è possibile compilare una classifica dei buoni scrittori». Forse non è un caso se ritroviamo il nome di Henry Fleming, il giovane protagonista del Segno rosso del coraggio, nel cognome del protagonista di Addio alle Armi, Frederic Henry.

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La biografia di Auster dà inoltre ampio spazio alla storia dell’amicizia tra il giovane americano e Joseph Conrad, il grande scrittore inglese di origine polacca che, dopo venti anni trascorsi sul mare, risiede da qualche tempo a non molta distanza dall’abitazione di Crane. 

Conrad è convinto che il giovane americano possegga una grande maestria nell’imprimere sulle pagine una realtà costruita sulle impressioni dei protagonisti delle vicende narrate, e che sia un autore più profondo di quanto avesse immaginato all’inizio della loro conoscenza: «È il solo impressionista e solo un impressionista. Perché non è immensamente popolare? Con la sua forza, con la sua rapidità di azione, con quella stupefacente capacità visiva – come mai non lo è? Ha metodo, colore, movimento, doti con cui dovrebbe andare lontano. Ma ci riuscirà?».

Ma cosa intende Conrad per impressionist? Paul Auster non lo spiega nel suo libro, e nemmeno Conrad. Non è possibile fare parallelismi con la corrente artistica di Renoir, Monet, Seurat e altri; in ambito letterario possiamo immaginare una scrittura dove il sentire dei protagonisti si impone sulla realtà oggettiva, non per deformarla ma per farla vedere e comprendere nella sua essenza più profonda, nel suo significato. Si tratta in definitiva di raccontare la realtà non come una mera sequenza di eventi e di immagini, bensì in un modo più profondo: facendo emergere “a synthesis of sense-impressions”, Crane rende le azioni e gli accadimenti più comprensibili e più vicini al lettore. 

L’unica foto con Joseph e Stephen insieme, di cui si conosca l’esistenza, viene scattata proprio in occasione della prima visita della famiglia Conrad a Ravensbrook, iniziale dimora in affitto dei Crane, nel febbraio del 1898. A Conrad la foto non piacerà, per l’apparente confusione di uomini, donne, bambini e cani; in realtà la scena comunica una realtà amicale piacevole e disinvolta, ha ragione Paul Auster a ritenerla importante (pagina 723). Purtroppo nel libro Einaudi, arricchito da foto notevoli, la riproduzione di questa immagine è scarsa, un vero peccato; la si può ammirare compiutamente invece nel libro di Frederick R. Karl, Joseph Conrad. The Three Lives (Faber and Faber, 1979).

Oltre Il segno rosso del coraggio, Auster ammira anche alcuni racconti, soprattutto La scialuppa, che rievoca in chiave narrativa una vicenda realmente accaduta a Crane nei primi giorni del 1897. Dopo il naufragio del piroscafo Commodore, mentre era in navigazione verso Cuba, lui e altri tre viaggiatori si erano calati in una scialuppa ed erano poi rimasti in balia delle onde per oltre trenta ore. I naufraghi, salvo uno, alla fine si salveranno grazie alla reciproca solidarietà di fronte alla sfortuna e all’indifferente potenza della natura. La precisione e l’immediatezza visiva del racconto lo rendono uno degli esiti letterari più alti di Crane, questo l’incipit: «Nessuno di loro era in grado di distinguere il colore del cielo. Gli occhi erano rivolti verso la superfice del mare, fissavano le onde che correvano verso di loro. I frangenti erano del colore dell’ardesia, salvo per le creste di spuma bianca, e tutti seppero di che colore era il mare». 

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Lo scrittore americano si distingue anche come corrispondente di guerra, seguendo nella primavera del 1897, insieme alla sua compagna, Cora Taylor, il conflitto tra Grecia e Turchia. I due si erano conosciuti a Jacksonville in Florida, dove lei, colta e occasionalmente giornalista, gestiva l’Hotel de Dream, un locale di incerta rispettabilità.

Crane riesce a combinare con abilità le attività di scrittore e di reporter: i resoconti giornalistici possono poi restare tali oppure divenire in seguito racconti, la rappresentazione oggettiva si apre all’approfondimento emotivo e alla riflessione interiore. È questa maestria che rende i suoi scritti dei classici destinati a durare nel tempo, trasmettendo valori e sensazioni a lettori di più generazioni.

Finito il lavoro in Grecia, Crane si trasferisce stabilmente in Inghilterra con Cora. Entrambi provenienti da famiglie di origine inglese, avvertono il fascino di quella terra ricca di storia e di arte; lui si sente compreso e a suo agio nel piccolo mondo intellettuale di cui entra a far parte con veloce disinvoltura: Henry James, H.G. Wells, Ford Hueffer (poi Ford Madox Ford), Robert Barr, e lo stesso Conrad. Sul finire dell’Ottocento, tutti questi intellettuali si trovano ad abitare nelle contee a sud est di Londra. 

Crane vive al di sopra delle proprie possibilità economiche, affitta una villa, Ravensbrook, a Oxted nel Surrey. Sembra non preoccuparsi di accumulare debiti, spendendo molto per ospitare amici e conoscenti, pare concentrato solo sul suo presente.

Nel 1898, grazie all’aiuto di Conrad, ottiene un incarico dalla rivista inglese Blackwood Magazine, come reporter a Cuba, in vista del probabile accendersi di una guerra tra Stati uniti e Spagna. Lì si comporta con un coraggio apprezzato da tutti, militari e giornalisti; non lo fa per spavalderia, bensì per vedere davvero e con i suoi occhi i combattimenti, per poterli poi raccontare con onestà e verità. 

Tornato in Inghilterra, Crane riprende a scrivere racconti, anche per uscire dalle difficoltà finanziarie in cui versa. Alla fine del 1899 un’emorragia polmonare aggrava le sue condizioni di salute che, pur con qualche illusoria ripresa, peggiorano sempre di più. Un medico gli suggerisce di trascorrere un periodo di cure in Germania, nella Foresta Nera; l’idea potrebbe avere un senso per un malato non grave, non per un uomo che non si regge più in piedi.

Stephen e Cora, accompagnati da un medico e due infermiere, dalla nipote Helene e da un domestico, partono verso Dover il 15 maggio, dove si sarebbero imbarcati per la Germania. 

A Ravensbroock nel 1898, nella residenza inglese di Stephen Crane. Joseph e Jessie Conrad sono sulla porta. Crane tiene tra le braccia uno dei suoi cani, Cora il figlio di Conrad, Borys. dal libro Joseph Conrad. The Three Lives, di Frederick R. Karl.
A Ravensbroock nel 1898, nella residenza inglese di Stephen Crane. Joseph e Jessie Conrad sono sulla porta. Crane tiene tra le braccia uno dei suoi cani, Cora il figlio di Conrad, Borys. dal libro Joseph Conrad. The Three Lives, di Frederick R. Karl.

Nel libro di Paul Auster è riportata l’ultima lettera che Stephen Crane scrisse, dettandola a Cora, prima della partenza per Dover e da lì per la Germania. È sul letto, sfinito dalla malattia, ma non parla di sé, pensa a Conrad, alle difficili condizioni economiche in cui versa, e chiede al suo agente letterario Henry Bennet di fare il possibile affinché gli venga elargito un sussidio governativo. «È povero, è una brava persona ed è orgoglioso».

Il mare mosso sulla Manica impone una sosta a Dover più lunga del previsto, e così, alcuni amici, Conrad, Wells e Barr, riescono a fargli visita. L’ultimo, dopo averlo già salutato il 16, è proprio Conrad, il 23 maggio. 

Tanti anni dopo, nel 1923, ricorderà quel saluto d’addio nelle pagine dell’introduzione a una biografia di Stephen Crane scritta da Thomas Beer: «Lo vidi per l’ultima volta nel suo ultimo giorno in Inghilterra. Fu a Dover, in un grande albergo, in una stanza con un’ampia finestra affacciata sul mare. Era stato molto male e la signora Crane lo stava portando non so dove in Germania, ma mi bastò uno sguardo al suo viso sciupato per capire che era una speranza vana. Le ultime parole che mi mormorò furono: ‘Sono stanco. Salutami tanto tua moglie e tuo figlio’. Quando mi fermai sulla porta per guardarlo ancora, vidi che aveva girato la testa sul cuscino e fissava con nostalgia le vele di un cutter che attraversavano dolcemente il riquadro della finestra, come un’ombra fioca sul cielo grigio».

Anni dopo, scrivendo un ricordo dell’amico gli tornò alla mente la sua felicità nel montare a cavallo e ne diede un ritratto tanto rapido quanto efficace: «Il suo passaggio su questa terra fu come quello di un cavaliere che cavalca al galoppo nell’alba di un giorno destinato ad essere breve e senza sole». 

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Il libro di Paul Auster oltre che una piacevolissima lettura, ci fa quindi conoscere non solo la storia e i libri di Stephen Crane ma anche aspetti meno noti di un autore assai più letto e approfondito come Joseph Conrad.

La vera e dettagliata biografia di Crane è Stephen Crane: A Life of Fire (Harvard University Press, 2014), di Paul Sorrentino, con cui Auster – lo scrive lui stesso – si è confrontato più volte, ma ci voleva un libro come Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane per riportare all’attenzione di media e lettori le opere di un autore un po' dimenticato, anche nel suo Paese. Resta un rammarico: nelle interviste che sono seguite alla pubblicazione del libro, nessuno ha chiesto a Paul Auster perché non abbia mai citato la riscoperta del manoscritto originario del Segno rosso del coraggio da parte di Henry George Binder, perché non abbia scritto nulla sulle due versioni dell’opera. Anche perché Auster nel libro approfondisce bene l’ironia e l’antiretorica di Crane, temi che il confronto tra manoscritto e libro stampato sollecita e stimola. 

Forse la risposta riguarda la passione di Auster per un libro che aveva letto con passione nella sua gioventù, che vuole rileggere e ricordare qual era, senza alcun desiderio di scandagliarne genesi e alternative testuali: per non disperdere quel senso di meraviglia mai dimenticato.

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