A Reggio Emilia: edizione 2016 di Fotografia Europea / Walker Evans. Italia

26 Maggio 2016

 

Un mondo che c’è ancora, il passato sempre vivo, il documento e il ricordo; ragioni di cui la fotografia si è sempre fatta carico, ma qui qualcosa è diverso. Qui, l’occhio è alle prese con una semplicità quasi austera, con la neutralizzazione di ogni intento idealista o anche solo commovente. Questi sono sguardi che si scambiano, in silenzio, e tuttavia dicono molto.

 

Lucille Burroughs, daughter a cotton sharecropper Hale County Alabama 1936, Collezione Marco Antonetto. 

 

Se volessimo guardarci, anche solo per gioco, dall’assumere il significato di ogni parola come dato, dovremmo considerare, per esempio, che il senso originario della “crisi” (dal verbo greco κρίνω: “separare, decidere”) non si riferisce a un baratro, che spartisca la terra aprendosi sotto i nostri piedi ma, piuttosto, a un nuovo orizzonte, che scardina la continuità e vi traccia un sentiero improvviso, imprevisto. Crisi, allora, sarebbe soltanto il futuro che disattende le nostre aspettative e diventa qualcos’altro, non necessariamente peggiore. D’altro canto, vallo a raccontare a chi nella crisi ci ha perso il lavoro. In quella attuale, che dura dal 2008, o in quella che iniziò dal crollo di Wall Street del 1929 e prese il nome di Grande Depressione. I volti e i luoghi di quel cataclisma sociale divennero il ritratto di un’America mai esistita prima e, perciò, inimmaginabile e a raccoglierli fu Walker Evans, che a Wall Street ci aveva lavorato, fino al ’29.

 

Certamente, il Walker poco più che ventenne che abitava e lavorava a New York, dopo aver atteso a buoni studi superiori nel Massachusetts e aver trascorso un anno a Parigi, non poteva sospettare che, proprio attraverso quel drammatico scambio, si sarebbe presentato il suo futuro. Un futuro – Evans sognava di fare lo scrittore e fotografava solo dal 1928 – segnato dalla crisi, quella che affondò gli Stati Uniti e che spinse la Farm Security Administration a dare a lui l’incarico di raccontarla attraverso i suoi scatti, dal 1935 al ’38. È in quell’anno che il MoMA scelse il suo lavoro quale soggetto della prima mostra che il museo abbia mai dedicato a un singolo fotografo. Walker Evans: American Photographs e l’omonimo catalogo tracciarono un altro futuro, e stavolta non solo per Walker, ma per la storia della fotografia.

 

Minstrel poster in Alabama town 1936, collezione Giovanna Calvenzi. 

 

E di quella italiana, in particolare. Per loro stessa ammissione, i grandi fotografi che, a loro volta, hanno impresso una decisiva svolta alla tradizione del nostro Paese e hanno marchiato in modo indelebile la strada stilistica dei loro successori, furono influenzati e indirizzati dal lascito di Evans. Mimmo Jodice, Guido Guidi, Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Gabriele Basilico si lasciarono volentieri ispirare dal grande artista americano. Questo orizzonte nuovo, questa onda lunga che si stende dagli anni ’30 e attraversa tre quarti di secolo e un oceano, è il generatore da cui scaturisce Walker Evans. Italia, esposizione curata da Laura Gasparini e allestita nella splendida cornice di Palazzo Magnani, a Reggio Emilia, per essere uno degli eventi di punta dell’edizione 2016 di Fotografia Europea.

 

 

Main street faces 1935. 

 

Quelle case tutte uguali e così singolari, quei distretti urbani dal sentimento insieme immarcescibile e troppo fragile, l’espressione di un territorio che si scontra con la vanità di cui per decenni si è ornato di buon grado; e poi i volti, la fierezza e l’onore delle ferite. L’opera di Evans, nelle parole di Luigi Ghirri, «è tra le poche del Novecento che lascia agli spazi, agli oggetti, ai paesaggi, il compito di rivelarsi al nostro sguardo, con una riservatezza, una dignità, prima sconosciute».

 

Si fatica, per quanto ci si sforzi, a vedere nelle opere esposte soltanto il racconto di un mondo ormai antico, passato. Le fotografie, provenienti da collezioni pubbliche (il Centro Studi e Archivio della Comunicazione – CSAC dell’Università di Parma, la Galleria Civica di Modena) e private (la Fondazione Mast di Bologna, la collezione di Giovanna Calvenzi e quella di Gabriele Basilico) emanano un afflato di eccezionale contemporaneità.

 

View of Morgantown, west Virginia 1935. 

 

In effetti, l’intera operazione costituita dalla mostra mette lo spettatore alla prova del tempo in quanto realtà multidimensionale e fatta di rinvii, di rimandi, di ritorni e anche di balzi in avanti, di precessioni. Si percorre un ponte gettato tra lo sguardo di Evans, figlio e testimone delle strade americane, e la percezione degli Stati Uniti che si aveva in Italia, passando per il desiderio presto materializzato di guardare al nostro Paese in modo analogo e, in un riavvolgimento complessivo, rivedendo le fotografie iniziali sotto una nuova luce. Ci si accorge, così, che il germe del futuro, che quelle stesse immagini inocularono, torna a infondervi interpretazioni nuove e ad alimentarle di altre visioni e si finisce per vedere in esse quello stesso futuro anticipato, anteriore. Si cammina per le stanze allestite e si avverte forte quella sensazione, potenza di cui solo la grande fotografia dispone, di star avanzando verso il futuro rivolgendogli le spalle (non immuni da un’impressione sublime, mista di fascinazione e di terrore per quella catastrofe prospettata da Benjamin a proposito dell’Angelus Novus di Klee).

 

st Street between 1st and 3rd avenues New York. 

 

Da questo punto di vista si rivela un prezioso supporto il catalogo, edito da SilvanaEditoriale e curato anch’esso da Laura Gasparini, che raccoglie le parole che completano l’essenza di Walker Evans. Italia e ne regalano la più felice tra le prospettive ermeneutiche. Oltre ai testi che recano le firme della curatrice, di Walter Guadagnini, di Paolo Barbaro e di Giovanna Calvenzi, risultano particolarmente significative le pagine in cui Basilico, Ghirri, Barbieri e Guidi (gli ultimi due in conversazione con Gasparini) raccontano il “loro” Walker Evans. Si tratta, del resto, di un’esposizione che trova una grossa parte della sua ragion d’essere nel cosmo bibliografico, non fosse altro per il fatto che numerosi libri ed edizioni rare, raccolti dai maestri già citati, trovano spazio nelle sale grazie a un sapiente allestimento.

 

 

Luigi Ghirri, Roma 1978. Collezione eredi di Luigi Ghirri. Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi. 

 

A chiudere l’evoluzione concettualmente acrobatica del progetto, concepito per essere non tanto una lezione quanto un dialogo senza soluzione di continuità, non potevano che essere le opere fotografiche con cui L’eredità italiana fece Omaggio a Walker Evans. Vedremo allora gli esiti della conversazione che la grande scuola italiana intessé con il pensiero per immagini del grande maestro americano. E percepiremo, un attimo prima di uscire, che la direzione stessa di molta fotografia odierna (Fotografia Europea 2016 pone questo aspetto in forte evidenza) sembra segnata da quel futuro critico ormai (non) passato e appare, anch’essa, procedere nel suo solco, spalle in avanti.

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