Quando l'emozione fa opinione

29 Dicembre 2025

1° settembre 1969. Il mondo è ancora sotto l’aura magica dello sbarco sulla luna (20 luglio 1969). Herbert Simon, in una conferenza tenuta alla John Hopkins University dal titolo Designing Organization For an Information-Rich World  osserva che in un mondo ricco di informazione ciò che diventa scarso non è più l’accesso ai contenuti, bensì la capacità di concentrazione: “un’abbondanza di informazioni genera una scarsità di attenzione”.

Mezzo secolo dopo ci siamo. Molte cose erano prevedibili e dunque era possibile pensare un’azione volta a sostenerle, o almeno a governarle. Non abbiamo fatto molto per governare le conseguenze di quel processo. Ci troviamo oggi in una condizione molto precaria segnata soprattutto dall’egemonia culturale dele piattaforme digitali.

Una condizione che Giovanni Boccia Artieri nel suo Sfiduciati (Fondazione Feltrinelli) descrive in due istantanee.

La prima:

“Le piattaforme non premiano ciò che informa e chiarisce, ma ciò che mobilita ed emoziona. La capacità di emergere diventa un imperativo performativo, una strategia di sopravvivenza visiva. […] Il paradosso è evidente: più un contenuto è ambiguo, scandaloso o polarizzante, più risulta valorizzabile in termini di attenzione. In questo quadro, la disinformazione non è un effetto collaterale né un’anomalia, ma un esito sistemico di una logica che premia l’indignazione, lo shock e l’emotività semplificata. Le architetture algoritmiche non si limitano a filtrare la realtà: la riscrivono secondo logiche performative, modellando la conversazione pubblica non in base al valore civico o informativo, ma alla capacità di trattenere l’attenzione. Questo produce un cortocircuito democratico: le piattaforme, orientate all’ottimizzazione continua, favoriscono contenuti che polarizzano, emozionano, dividono. La sfera pubblica si trasforma in un’arena di performance affettive, dove il confronto razionale è sostituito dalla competizione per la visibilità. La governance della visibilità diventa così un potere invisibile, fondato su regole proprietarie, algoritmi opachi e metriche esclusive”. [pp. 51-52].

La seconda:

“Non siamo più di fronte a una comunicazione pubblica orientata al consenso o alla ricerca della verità, ma a un sistema competitivo di enunciazioni che premia l’intensità espressiva, la polarizzazione, la viralità. In questo contesto, anche il concetto di opinione pubblica subisce un mutamento profondo”.

La premessa di questa situazione sta in una condizione, precisa, inaugurata negli anni “doppiozero” del XXI secolo. “L’emergere delle piattaforme digitali ha ridefinito l’infrastruttura della comunicazione pubblica. Non si tratta solo di una mutazione tecnologica, ma di una trasformazione profonda nei modi in cui la visibilità, l’autorità e la partecipazione si distribuiscono nello spazio pubblico”.

Poi aggiunge: “Nel contesto della sfera pubblica, ciò ha conseguenze decisive. Se in passato l’opinione pubblica si formava in uno spazio mediato da figure professionali del mondo del giornalismo, dell’editoria e della conoscenza e da norme condivise di legittimazione discorsiva, oggi tale spazio appare sempre più frammentato, eterarchico, affettivo” [pp. 43-44]. Eterarchico (precisa Boccia Artieri): “non significa né gerarchico né anarchico. Indica un assetto in cui il potere e l’autorità non sono rigidamente distribuiti dall’alto verso il basso, ma neppure dissolti in un’assenza totale di regole. È una forma organizzativa in cui le relazioni di leadership emergono in modo fluido, intermittente e spesso implicito, con posizioni di guida che possono risultare sfumate, indirette, talvolta persino mascherate” [p. 177]

Sfiduciati più che un’indagine intorno alle emozioni, è uno scavo nella costruzione della società e nella cultura dell’emozione che crea opinione. Ovvero nell’archeologia e nella genealogia di uno dei malesseri del nostro temo presente.

«Gli sfiduciati» sono un effetto o una causa? Forse il percorso è biunivoco. Forse si nutrono e si costruiscono reciprocamente. È il percorso di indagine che propone Giovanni Boccia Artieri. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione che oggi passano quasi esclusivamente dalle piattaforme, sostiene Boccia Artieri, mette in discussione l’autorevolezza dell’informazione e rimodula le pratiche di ciò che indichiamo come “democrazia”.

Il risultato è una democrazia claudicante (uno degli effetti sintomatici è che chi ha potere si descrive come “opposizione”, per esempio). E dunque propone la propria azione come riscatto, come replica di autonomia rispetto a un’opposizione che contemporaneamente “ridicolizza” e allo stesso tempo descrive come potere da cui emanciparsi.

Sostiene Boccia Artieri che siamo entrati in una nuova era del dibattito pubblico caratterizzata da una crescente “disintermediazione” della politica, una proliferazione delle opportunità comunicative e una distribuzione del potere e della visibilità supportate anche dalla diffusione di internet. Il dibattito pubblico è quindi sempre più frutto di una sorta di collage nel quale confluiscono voci e posizioni autorevoli e ufficiali, voci dell'opposizione, voci minoritarie che chiedono rappresentanza, voci di cittadini scoraggiati o indispettiti, voci di troll di professione che cercano di aumentare il volume del rumore.

È in questo scenario che vediamo emergere fenomeni come l'inciviltà, la disinformazione e la polarizzazione che sembrano rendere il clima sociale e politico più tossico

Non è la sintesi di un “viaggio in distopia”. Sono le linee generali della riflessione che Giovanni Boccia Artieri sintetizza in quattro fratture.

1) Frattura epistemica. Viviamo in un’epoca in cui la moltiplicazione delle fonti non corrisponde a un aumento di pluralismo. Scrive Boccia Artieri: “il sospetto si sostituisce alla verifica, e la connessione affettiva diventa più importante della credibilità razionale” [p. 23]. Un’epoca che denomina di post-affidabilità e che indica come un ulteriore passaggio dopo la post-verità. Scrive: “se la post-verità indica un contesto in cui i fatti contano meno delle emozioni e delle convinzioni personali, la post affidabilità rappresenta una fase ulteriore: non sappiamo più di chi fidarci, né come. Vengono messe in crisi le condizioni stesse di possibilità della fiducia” [pp. 24-25].
 

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  1. Frattura ecologica dei media. Le piattaforme non sono solo contenitori, ma infrastrutture attive che modellano il tempo, filtrano l’attenzione, indirizzano la partecipazione. L’ambiente comunicativo che ne deriva è caratterizzato da pressione cognitiva, logica dell’interruzione continua, performatività costante [p. 164].
  2. Frattura topologica la denomina Boccia Artieri. Riguarda la trasformazione del rapporto tra centro e margine, tra ciò che viene riconosciuto come parte legittima del discorso democratico e ciò che ne viene espulso, deviato o ricodificato. “Le piattaforme digitali – scrive Bocci Artieri – funzionano come dispositivi di filtraggio affettivo e simbolico, che spostano continuamente il confine tra ciò che è dicibile e ciò che è udibile, tra ciò che viene ignorato e ciò che esplode al centro dell’attenzione.  […] La democrazia si espone così a un doppio rischio: da un lato, l’infiltrazione di logiche illiberali che sfruttano l’apertura comunicativa per destrutturare le condizioni della deliberazione; dall’altro, la marginalizzazione di pratiche critiche che non riescono a emergere se non attraverso codici di visibilità conformi agli standard algoritmici” [p. 165].
  3. Frattura discorsiva. Osserva Boccia Artieri come il linguaggio pubblico si sia fatto più tossico, più polarizzato, più brutale. Questa nuova condizione – scrive Boccia Artieri – induce una “trasformazione profonda dello spazio simbolico in cui si esercita la cittadinanza. L’hate speech, la denigrazione sistematica, la semplificazione sloganistica non sono fenomeni marginali ma forme strutturali del discorso politico contemporaneo, in cui la parola viene sempre più utilizzata come strumento di attacco, delegittimazione, esclusione” e conclude: “Questa crisi non è solo morale o psicologica, ma radicalmente politica”. La natura politica di questa trasformazione è indicata dallo spirito pubblico che genera e da una mutazione delle condizioni di convivenza. L’effetto è un ambiente “in cui il conflitto viene vissuto come minaccia e non come confronto, parlare diventa un atto rischioso, ascoltare un gesto raro, dissentire un motivo di attacco” [p. 166]

Il che rinvia a due elementi che fanno da sottotraccia alla riflessione civile di Boccia Artieri e che sarebbe errato smarrire.

Da una parte una trasformazione radicale di questo nostro tempo, rispetto al tempo della democrazia politica del XX secolo. Un tempo, quello attuale, caratterizzato da una fisionomia dove non solo è in aumento il tasso di intolleranza, ma anche è radicalmente abbassata la soglia dei margini consentiti (e/o ammessi) di dissenso.

Dall’altra la necessità di riprendere in mano un invito che John Dewey rivolgeva ai democratici più o meno un secolo fa (in un libro la cui prima edizione è del 1927 dal titolo The public and Its problems)  in cui metteva al centro il rapporto e la suddivisione dei compiti tra esperti e cittadini, invitando i primi a occuparsi del fronte tecnico attraverso una ricognizione analitica dei problemi e dei bisogni sociali di base, e i secondi a interessarsi del fronte politico attraverso la costruzione di un'agenda democratica al fine di risolvere tali problemi e provvedere ai bisogni. In questo quadro la conoscenza esperta è ancora ricoperta di notevole valore, ma il divario tra esperti e cittadini viene risolto, scrive Dewey, attraverso un “miglioramento delle condizioni del dibattito, della discussione e della persuasione (p. 162)”. Non è necessario che tutti gli individui abbiano le competenze necessarie per svolgere indagini scientifiche, ma la maggioranza delle persone deve essere però in grado di esprimere giudizi sugli argomenti in questione. Per questo motivo è importante che vi sia una propensione dei tecnici verso il ruolo di educatori. Il fine che il filosofo si propone attraverso queste azioni è un innalzamento dell'intelligenza collettiva.

Un’esortazione importante nel tempo della progressiva diserzione dell’opinione pubblica dall’impegno politico che presume trovare vie di risposta tanto a una sfiducia (per rimanere nel significato di un sentimento su cui Boccia Artieri lavora con profondità in questo suo libro) quanto alla delega in bianco a chi si presenta come tutore.

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