Artpod / Evgeny Antufiev, "Exploring materials", 2013

20 Maggio 2021
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“Ero ancora un piccolo feto nel ventre di mia madre quando le persone paurose cominciarono a chiedere di me: tutti i figli partoriti da mamma fino a quel momento erano di traverso ed erano venuti al mondo morti. Non appena mamma si rese conto di aspettare un bambino, quel bambino che un giorno sarei stato io, disse a coloro che abitavano con lei: “Ora porto di nuovo in grembo un feto che non diventerà una persona”. Chi parla è Aua, lo sciamano della tribù degli Iglulingmiut di Iglulik. Le sue parole sono state raccolte da Knud Rasmussen, esploratore delle zone artiche, all’inizio degli anni Venti del Novecento. Lo sciamano assume su di sé il compito di mediare tra la tribù e gli spiriti che presiedono alle attività venatorie. Per fare questo deve superare una serie di prove iniziatiche. Una delle più importanti consiste nel separarsi dal proprio corpo, liberarsi della carne e vedere lo scheletro al di fuori di sé. Solo così potrà rinascere e ritornare in possesso dell’identità di uomo e salvare chi è malato o in pericolo. Se si guardano i personaggi di stoffa allestiti da Evegeny Antufiev, e in particolare quello assiso in cima a un mucchio di stoffe adagiate in un angolo della stanza, ci si rende conto che chi è qui raffigurato è uno sciamano colto nel momento del passaggio da uno stadio all’altro della sua mutazione, quando il corpo appare privo d’ossatura, qualcosa di molle e d’afflosciato, un fantoccio che somiglia a uno degli spiriti che ha afferrato e trascinato lontano dal malato che sta curando. Dal suo corpo, incerto tra il maschile e il femminile, pendono sacche simili a seni come se si trattasse di Artemide Efesia.

 

Le orbite sono vuote e nella bocca spalancata sporgono i denti d’un carnivoro, mentre il corpo s’allunga senza forma verso il basso. Antuvief è nato e ha vissuto la sua prima giovinezza a Tuva, il territorio del distretto oggi indicato come Tandinskij nella Siberia centro-meridionale collocato lungo il confine con la Mongolia. La capitale di questa repubblica indipendente, durata dal 1921 al 1944, è Kyzyl, una città di 100.000 abitanti. La lingua che vi si parla appartiene al ceppo turco e le principali religioni sono il Buddismo tibetano e lo sciamanesimo. Di quest’ultima espressione rituale, profondamente sentita tra la popolazione di Tuva, Antuvief è totalmente impregnato. Gli esseri larvali che costellano alcune delle sue opere sono quelli che in Occidente si chiamano “fantasmi”, ovvero apparizioni, spettri, esseri disossati che somigliano alle bambole di pezza che un tempo si cucivano per i giochi dei bambini, sia femmine che maschietti. Il fascino di queste larve confina con un senso di ripulsa che ogni essere privo di ossatura suscita negli umani: vermi, serpenti e altre entità che strisciano sul suolo e sembrano prive di parti dure. Il molle attrae e respinge. Così, davanti a questa larva che pende senza forma, pur avendone una, si prova un legittimo disgusto. Lo sciamano deve superare la prova della morte e risorgere durante il suo viaggio mistico, che in alcuni casi comporta un volo magico sollecitato da sostanze allucinogene che dilatano la coscienza e aiutano nel contatto con il mondo degli spiriti, esseri a cui lo sciamano deve parlare per convincerli ad aiutarlo.

 

Più di cento anni fa a Tuva furono rinvenuti frammenti di un meteorite, che doveva aver impattato violentemente con il suolo, ma di cui si ritrovarono solo parti sparse recuperate dapprima da un ingegnere delle locali miniere. La vicenda del corpo celeste, frantumatosi sul territorio dove Antufiev ha abitato, l’ha senza dubbio affascinato, ispirandogli la presenza di metalli alieni nelle sue opere, così come il clima rigido di quella terra durante gli inverni gli ha suggerito la costruzione di sculture di ghiaccio destinate a sciogliersi in breve tempo diventando insignificanti macchie d’acqua. La metamorfosi ossessiona la sua fantasia d’artista, così come l’inglobamento e la dispersione sono gli spettri fisici che ne alimentano l’immaginazione. Apparizioni che fluttuano nella sua mente sino a prendere la forma di quelli che i latini chiamavano lemures, gli spiriti della notte che sovente non sono altro che anime che vagano a causa della loro morte violenta senza trovare pace. L’arte è per questo artista russo un modo per manifestare i propri fantasmi interiori, le visioni e le ossessioni, che rinviano a un ambito che riguarda probabilmente le prime esperienze infantili, un modo per mettere in scena le proprie paure, e nel contempo recitare i necessari riti apotropaici: la paura e l’onnipotenza infantile del pensare e del fare. Lo sciamanesimo è una fonte primaria di questa arte che viene a visitarci da un tempo remoto e insieme ci indica qualcosa che sembra attenderci laggiù. Dove, non è facile dirlo.      

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