Sentimenti, emozioni, umori. Una piccola storia

25 Dicembre 2025

Fino al XVI la parola “emozione”, oggi così consueta in ogni discorso quotidiano, non esisteva. C’era il francese esmouvoir, che significava: “mettere in movimento”, da cui viene la parola. Un altro termine affine, esmeute, significava “sommossa”, un altro esmoy o esmay indicava invece “turbamento, dispiacere”, mentre il verbo esmayer stava per “turbare, spaventare o stupire”. Solo un secolo dopo, nel Seicento, entra in uso émotion, anche se il suo significato non coincide ancora con quello attuale. Si riferiva piuttosto alle manifestazioni collettive: “movimento, tumulto popolare, disordine, moto sedizioso”, e il suo significato è simile a quello che oggi attribuiamo alla parola “sommossa”.

Emozione, per come la intendiamo ora, è termine recente e si è imposto spostando il suo significato principale da un evento collettivo ad uno individuale, come nota Bernard Rimé. Questo psicologo mette in luce come si tratti d’una questione d’ordine morale – inquietudine, malcontento – che ha un correlativo nel movimento di tipo fisico – come l’agitazione di piazza. Solo nel 1645 la parola émotion si collega a un turbamento provocato dall’amore.

La troviamo così nella letteratura dell’epoca, ed è stato Cartesio nel suo trattato Le passioni dell’anima (1649) a utilizzarla con questo significato, probabilmente il primo. La lingua inglese prende il termine dal francese, ma ancora nel significato di “agitazione politica e sociale”. Così lo usa nel 1690 John Locke, che conserva il senso fisico della “perturbazione”.

È una lunga strada, che ci porta indietro alla Grecia classica: in greco pathos (“passione”) viene dal verbo pascho, “soffrire”; sono termini che indicano una condizione di passività e di dolore e hanno vari significati: “affezione, afflizione, disgrazia, malattia”, fino a “malattia dell’anima, turbamento, viva emozione”. Le parole hanno una coscienza, come ha scritto una volta Elias Canetti, e certamente questo gruppo di termini con origini linguistiche diverse convergono verso un unico ambito.

C’è da dire che Aristotele è stato il primo studioso delle emozioni; lo faceva per indicare all’oratore i vari modi adatti a colpire il suo uditorio. Ne tratta nella Retorica dove svolge un esame dettagliato di quelle “condizioni di spirito” che i suoi contemporanei definivano “passioni”: collera, paura, vergogna, ecc. Sono trascorsi oltre 2300 anni e, nonostante i cambiamenti avvenuti, le passioni che connotavano gli uomini e le donne delle città greche sono assai simili a quelli che proviamo oggi.

Ma oggi cosa significa esattamente la parola emozione? Rimé cita una ricerca compiuta negli anni Novanta interrogando persone appartenenti a diverse culture tra Occidente e Oriente. I risultati sembrano convergenti, in particolare quelli riferiti a stati d’animo come tristezza, rabbia, paura e amore. Gli psicologi, scrive lo studioso francese, hanno deliberato di definire emozioni quell’insieme di manifestazioni che vengono indicate come “stati affettivi” e che possiedono due caratteristiche principali: sorgono in modo automatico e quando questo avviene s’impongono nei singoli soggetti, creando due aspetti diversi e alternativi: piacere o dolore. E quando s’instaurano risulta difficile modificarle. Altri stati affettivi risultano meno intensi, tra questi ci sono ad esempio l’umore e il temperamento. Per umore si intende uno stato affettivo che può durare pochi minuti ma anche qualche settimana. Il temperamento invece riguarda stati affettivi stabili, che accompagnano le persone nel corso della loro intera esistenza. Così gli affetti possono avere due opposte tendenze: speranza, gioiosa eccitazione, esaltazione, o al contrario: scoramento, angoscia, umore cupo.

Questo vocabolario minimo, desunto dagli studi di Rimé, lo utilizzo qui come premessa alla raccolta di questi articoli provenienti dalle pagine on-line di doppiozero. Non vuole essere esaustivo, anche perché è viene solo da una parte di un libro complesso, La dimensione sociale delle emozioni (il Mulino). Ci sarebbero molte cose da aggiungere, a partire ad esempio da Charles Darwin, uno dei primi a cercare di dare forma visiva a questo stesso vocabolario nel suo studio L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872), un libro ancora attualissimo per sensibilità e genialità pratica.

Bisogna aggiungere che il termine sentimento proviene da sentire, verbo che conosciamo meglio e che connota l’epoca in cui viviamo. Come segnala Silvia Vegetti Finzi nella prefazione a un volume di autori vari dedicato alle passioni (Storia delle passioni, pubblicato da Laterza a metà degli anni Novanta), i moti passionali sono ora tradotti con questa parola già usata da Aristotele. I sentimenti, secondo la psicoanalista, costituiscono una normalizzazione delle emozioni o passioni: “Al loro posto sono subentrati i sentimenti, anch’essi composti di impasto di pensieri e di affetti, ma più addomesticati, più idonei a convogliare le energie pulsionali nei fragili rapporti privati, depotenziando le cariche eversive e le espressioni eccessive. Mentre le passioni sono sempre gridate, anche quando la repressione le imbavaglia, ai sentimenti si addice il sussurro. Le une perseguono il mutamento, i secondi la comprensione”.

Molta acqua è passata sotto i ponti, a partire in particolare dalle neuroscienze degli ultimi decenni, per cui anche solo confrontando due dizionari usciti  in tempi diversi, Psicologia, la Garzantina curata da Umberto Galimberti, di taglio psicoanalitico e filosofico, e l’Atlante delle emozioni umane di Tiffany Watt Smith (Utet), più divulgativo, si scopre quale ginepraio di definizioni e d’analisi esista intorno alle tre parole che titolano questa raccolta di articoli che abbiamo pensato di raccogliere per donarla ai lettori di doppiozero.

Si tratta perlopiù di recensioni a libri apparsi nell’arco di quindici anni, interventi legati al tentativo di leggere la nostra contemporaneità usando vari strumenti, dalla psicologia alla psicoanalisi, dalla filosofia all’antropologia, e a volte partendo da fatti di cronaca, da eventi che hanno avuto un rilievo nell’opinione pubblica, un’attenzione momentanea ma che ci è parsa significativa, a cui i vari autori hanno tentato in più occasioni di dare una propria lettura. Sono voci diverse, per tono e per riferimenti personali e culturali, le quali rendono ragione di un pluralismo di scelte e preferenze assai vario, che contraddistingue la nostra rivista.

Come i lettori si renderanno conto ci sono anche elementi corali, riferimenti comuni, nonostante le diversità espresse dai vari autori, un comune sentire e una comune ricerca di senso e di orientamento, in un mondo in cui in tanti hanno perso il bandolo della matassa “perché non riusciamo più a intravedere i percorsi del destino, le traiettorie del desiderio che orientano i moti passionali lungo l’asse del tempo” (Silvia Vegetti Finzi). Viviamo in un’epoca di grande incertezza, attraversata da pericolosi venti di guerra, da conflitti e ostilità reciproche, che non sembrano trovare una ricomposizione o una sintesi condivisa o condivisibile.

Questa raccolta eteroclita è un contributo alla ricerca di quel bandolo in una condizione di grande confusione individuale e collettiva; risponde a una esigenza che molti di noi sentono di riaprire un cammino di riflessione e di studio, o anche solamente di indispensabile informazione e formazione in questo momento così complesso. doppiozero con il suo lavoro quotidiano vuole dare un contributo a questa ricerca, senza tuttavia pretese di assolutezza. Ciascuno degli autori raccolti in questo e-book è parte di un movimento di pensiero e di studio che non abolisce le differenze, ma le accetta e le promuove quale contributo comune alla comprensione del nostro tempo.

Da quest’anno tutte le donazioni a favore di doppiozero sono deducibili o detraibili. SOSTIENI DOPPIOZERO (e clicca qui per saperne di più).