Gosio, Zuppi, Canfora e le parole dell'odio / Odi et amo

31 Marzo 2020

Ma che cosa è successo, non dovevamo odiarci tutti? Non eravamo immersi fino al collo nei discorsi d'odio, gli hate speeches che inondano tutto, dal web alle nostre bocche? Com'è che di fronte all'emergenza del virus siamo diventati improvvisamente buoni e buonisti, cantiamo e suoniamo insieme, ci abbracciamo virtualmente molto più di prima, sembriamo trasformati in esseri miti, benvolenti e solidali? Ma è poi tutto oro quel che luccica?

 

Nazionalismi vecchi e nuovi

 

Da una parte sì: le parole sono veramente più educate, i comportamenti più gentili e gli atteggiamenti più solidali. E questa è una cosa buona, direi. Ma... verso chi? Verso gli Italiani, circondatisi di Tricolori e InnidiMameli. Insomma, notiamo che il virus ha fatto risorgere nazionalismi nuovi e insidiosi che ripropongono, ripulita dai tratti virulenti del sovran-populismo, la contrapposizione noi/voi. Che in Italia così suona: «Noi siamo più bravi dei paesi del Nord, siamo arrivati prima a proporre misure restrittive mentre voi cincischiavate non sapendo che pesci pigliare». Cui si risponde più o meno così: «Noi abbiamo abbastanza respiratori, mascherine e soprattutto posti in terapia intensiva che ci permettono misure graduate e razionali che salveranno non soltanto la salute ma anche l'economia dal collasso in cui voi la gettate, facendo ancora più debiti, per poi piatire la misericordia dell'Europa». Non sono discorsi proprio solidali, né gli uni né gli altri. Forse l'odio e le sue parole si sono spostate dal fronte interno in cui si confrontano destra/sinistra, chiusuristi/apertisti, escludenti/includenti, al fronte esterno, ai confini delle nazioni, che si minaccia di chiudere – alcune lo hanno già fatto – per proteggere i «nostri». Chissà, forse l'ipertrofia dell'Io di cui scrive saggiamente Nicoletta Gosio in un libro di grande intelligenza che affronta il tema della «pervasiva rabbia quotidiana» dal punto di vista della psicoanalisi freudiana (Nemici miei, Torino, Einaudi, 2020, dedicato a Simona Argentieri «maestra di sogni»), si è trasformata nell'ipertrofia del Noi, condita con una punta di Schadenfreude (la gioia malignazza di chi gode della disgrazia altrui): «Noi siamo più bravi, ve ne accorgerete voialtri...». 

 

 

La colpa è degli altri

 

Forse si nasconde in questo modo di pensare, e lasciamo ora il contesto dell'epidemia/pandemia perché parliamo di scritti precedenti al fenomeno, la percezione che il colpevole dei nostri guai sia non la natura e neanche il nostro modo di gestirla, ma l'altro, tout court. La colpa è sistematicamente degli altri, spiega Gosio. Prima di lei lo notava con altrettanto acume la teorica politica Judith Shklar, in un libro seminale che sarebbe da ripubblicare (I volti dell'ingiustizia [1990], Milano, Feltrinelli, 2000): cercare il colpevole, individuare il responsabile è diventato lo sport nazionale, scriveva Shklar trent'anni fa negli Stati Uniti. Trasformata ogni sventura in ingiustizia e sopruso, si va a caccia del colpevole anche quando si deve fare «il possibile per le vittime, senza stare a chiederci se il caso ricade nell'uno o nell'altro ambito» (Shklar p. 69). Ciò corrisponde all'ipertrofia dell'Io di cui sopra: ci sono io e io soltanto: io che parlo al telefono mobile urlando come se fossi solo, io che all'uscita dello scompartimento del treno mi fiondo sulla porta al suo aprirsi ignorando chi c'era prima di me, io che accendo nuove potentissime luci che partono dalla mia casa fregandomene del fatto che inondo le case altrui. È il trionfo della piccola maleducazione quotidiana fino alle manifestazioni gravi di rabbia narcisista e di profonda immaturità, come nel recentissimo caso dei parenti del giovane rapinatore ucciso dal rapinato i quali, alla notizia della morte del ragazzo, devastano (sic) il Pronto Soccorso. 

 

Gosio dipinge il ritratto di un paese rancoroso e incattivito, analogo a quello che esce dal rapporto del Censis del 2018, in preda a «una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico». L'arena preferita per lo sfogo di odio, rabbia e violenza è il web, con il suo anonimato che disinibisce e permette ogni cosa, e dove l'assenza di interazione fisica diretta rischia di accentuare tali spinte a discapito del confronto e dell'interazione.

 

Ipertrofia dell'Io e Io-latria

 

Di ipertrofia dell'Io, che diventa nel suo linguaggio io-latria, scrive anche un alto membro della Chiesa, il cardinal Matteo Maria Zuppi, impegnato nell'analisi dell'odio al tempo presente (Odierai il prossimo tuo, Milano, Piemme, 2019). Zuppi mette in relazione questi comportamenti con l'«individualismo esasperato», che non conosce più le appartenenze ideologiche (partiti, sindacati) e nemmeno l'«odio di classe» che almeno cementava lo spirito di corpo. Il nostro è il tempo dell'edonismo anzi dell'happycracy, della fissazione sulla propria felicità cui corrisponde la fobia verso ciò che può essere di ostacolo al mancato riconoscimento delle nostre responsabilità e del nostro ruolo nel gestire la nostra vita psichica personale. Primo bersaglio, primo nemico, anche per Zuppi e, vedremo, per Canfora, lo straniero, il migrante povero senza il quale, ci si racconta, ci sarebbero legalità, prosperità, piena occupazione, crescita... Quale miglior capro espiatorio del migrante e quale misura sociale migliore della paura! Eppure non sarà certo la demagogia, con le sue risposte facili e rassicuranti a problemi difficili e inquietanti, la risposta giusta alle minacce esterne. Di sicuro non lo sarà l'alimentare l'odio, sentimento fascinoso e persuasivo che porta all'ira: l'ira acceca, rende irriconoscibile chi vi ricade (Seneca) e fa compiere atti incredibili con la sua incredibile energia, quale, ricorda Zuppi, lo sterminio degli anni '90 in Ruanda di hutu contro tutsi, uno dei più volenti drammi del nostro tempo.

 

 

Odi politici

 

Ci spostiamo sul terreno degli odi politici con Luciano Canfora e il suo pamphlet Fermate l'odio (Bari-Roma, Laterza, 2019). Qui ci si occupa in primis di fascismo, vecchio e nuovo, il «fascismo eterno» di Umberto Eco per ricordarci che cosa il fascismo significa: soppressione dei partiti, aggressione squadrista fino all'omicidio, fine della libertà. Libertà che si può sopprimere anche con altre semplici equazioni: Il nemico ostacola la sicurezza, combattiamo il nemico per difendere la sicurezza, anteponiamo, anzi sacrifichiamo la libertà, le libertà, alla dea sicurezza. È possibile, mi chiedo, ma non per fare del disfattismo quanto per cercare di costruire un pensiero ragionevole, che la paura, terribile strumento di controllo sociale, come la definisce Gosio, insieme al linguaggio metaforico dilagante che ha identificato il nemico nel virus da sconfiggere con ogni mezzo, lecito e illecito (à la guerre comme à la guerre), porti ad avallare modalità demagogiche di piccole dittature di ducetti che ci salveranno dallo straniero e dal virus con una conversione dall'internazionalismo al nuovo nazionalismo patriottico che si chiude e si autosostiene al rinnovato grido di «prima noi»? Mi ha sconvolto vedere in una trasmissione televisiva italiana il dirigente di una ditta che produce respiratori artificiali dichiarare orgogliosamente: «Avevamo commesse dalla Corea del Sud e da altri paesi ma le abbiamo disdette per dare tutti i nostri respiratori alla Patria!». La vita dei nostri vale più della vita dei loro dunque, noi è meglio di loro. Ma anche questo è odio. Chissà se basteranno le stornellate e i concerti domestici, e ancor più l'elenco terribile dei morti, per farcene uscire.

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