Eva Illouz e le emozioni sociali
Modernità esplosiva, sottotitolo: Il disagio della civiltà delle emozioni, è uno dei tre saggi che aprono la collana einaudiana dei nuovi Maverick: interessante novità di aprile 2025. In copertina guardiamo da vicino un occhio chiaro che a sua volta ci guarda. Il libro, tradotto molto bene da Valentina Palombi, l’ha scritto Eva Illouz, sociologa che da più di trent’anni si occupa di relazioni amorose, intimità e più in generale di emozioni. Ha iniziato a farlo con dei libri di nicchia, alcuni dei quali mai tradotti in italiano, come Consuming the Romantic Utopia: Love and the Cultural Contradictions of Capitalism, che è uscito nel 1997, quando pochi altri nel mondo prendevano sul serio le forme contemporanee del fenomeno amoroso o, se non altro, se ne occupavano. Dopo quel testo ne sono seguiti tanti altri, ma in particolare due degni di nota: Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi (che in italiano è uscito la prima volta nel 2007, per Feltrinelli) e Perché l’amore fa soffrire (2013, Il Mulino – parlo sempre della pubblicazione italiana numero uno). Per chi si appassioni ai temi e alla mente di Eva Illouz esistono svariati saggi da recuperare, ma vale la pena di chiamare in causa questi tre perché Modernità esplosiva ne costituisce l’ultimo atto. Tutte le domande che Illouz si è fatta in questi anni al riparo dell’accademia esplodono ora in una questione di dominio (felicemente) pubblico: il malessere che proviamo è una «conseguenza inevitabile della modernità»? O anche: «In quali modi la modernità – un concetto vago e complesso – si è manifestata nella nostra vita emozionale»?
La tesi di Illouz è che le emozioni non si formino «nel sé più di quanto il linguaggio risieda nel sé». In breve, le emozioni rappresentano raffinati codici di reazione all’ambiente che sono, però, meno istintivi di ciò che crediamo. Questi codici vengono di volta in volta ridiscussi e forgiati dai cambiamenti della società e sarebbe un errore interpretarli sempre nello stesso modo, privatamente, come identiche reazioni animali a uno stimolo esterno, senza adattare lo sguardo allo stile della civiltà in cui si stanno manifestando. Per questa ragione, delle emozioni non si devono occupare solo gli psicologi, ma pure e soprattutto i sociologi. Se stiamo male, oltre a lavorare su noi stessi, possiamo cercare di capire quello che non dipende da noi. Infatti, come scrive Illouz nelle sue pagine inaugurali: oggi «la nostra psiche soffre di un eccesso di autoattenzione emozionale, come se il nostro obiettivo collettivo consistesse oramai semplicemente nel ‘sentirsi bene’. Se questo libro ha un’ambizione è quella, paradossale, di aiutarci a distogliere lo sguardo dai nostri sé emozionali».
In effetti, da Intimità fredde in avanti, Illouz è sempre più critica verso certe derive consumistiche della società terapeutica, ma il saggio va da un’altra parte, e quest’altra parte è precisamente guardare come le emozioni si sono trasformate nella società moderna fino ai giorni nostri.
Che cosa vogliono dire le emozioni adesso? E quali emozioni si nascondono sotto i dati?

Se la speranza, per esempio, ha dato luogo alla coloritura prevalente dei tempi moderni, ora non è più vero. Se siamo meno speranzosi è perché aumentano le disuguaglianze, le istituzioni democratiche sono in crisi, la tecnologia ci estrania della nostra vita quotidiana, e poi il lavoro è precario, così come sono inaffidabili relazioni sentimentali e matrimoni.
Può sembrare un cammino pessimistico e sconfortante, in realtà è l’opposto: Eva Illouz oppone ai «sé emozionali» dei “noi emozionali”. Che effetto fa? Alla fine della lettura ci si sente meno soli, perché le emozioni che siamo soliti introdurre con un: “io provo” o con un: “io sento”, sono invece diventate oggetti collettivi in qualche modo esterni alla psiche, oggetti di studio più interessanti che spaventosi. Leggendo il saggio si cambia prospettiva. Il «disagio delle emozioni» si rivela una mappa utile a indicare quali sono gli aspetti della società che potremmo voler trasformare, così da provare insieme emozioni migliori. È un po’ la differenza tra temere di avere una brutta malattia e mettersi a studiare cellule impazzite con la strumentazione più adeguata. Se ne ritrae un conforto di tipo intellettuale e non psicologico, unito alla curiosità rispetto a un oggetto che quando appariva generico ci metteva più ansia – sempre a proposito di stati d’animo.
Tra le tante cose che Eva Illouz ha messo a punto negli anni, affinando il suo stile, ce n’è una che nel saggio salta particolarmente all’occhio ed è l’utilizzo della letteratura come materiale sociologicamente rilevante, tanto più nello studio delle emozioni; quindi, le pagine sono una miniera di riferimenti e immagini prese dai romanzi, per lo più dai classici, ma non solo. La densità è elevata, il materiale infiammabile. Così come il titolo, che si spiega pensando alla mescolanza esplosiva di emozioni intense in confitto tra loro.
Nelle pieghe degli esempi e dei ragionamenti, tipico dell’autrice è seminare delle definizioni particolarmente memorabili, come quella che dà dei romanzi, che sarebbero: «il luogo in cui la mente si aggiorna su chi sente una data cosa, dove e perché» o delle emozioni stesse che sarebbero: «momenti stilizzati di essere». Le emozioni sono diventate progressivamente più importanti perché, secondo la sociologa, nella contemporaneità sono sempre legate al lavoro di autodefinizione di sé che ciascuno porta avanti instancabilmente per misurare non solo come sta, ma anche se è un fallito oppure no. Se fino a qualche decennio fa le emozioni individuali erano schermate dall’educazione del carattere a certi valori morali, ora che questo apprendistato caratteriale è in declino, sono le emozioni a dire di noi quanto la nostra vita sia realizzata o mancata: se stiamo bene, siamo vincenti, se proviamo emozioni negative ecco che si misura un primo grado di fallimento da riparare con una cura. Per dirlo con le parole di Illouz: «La realtà diventa così intensamente emozionale, si trasforma in una serie di transazioni emotive che possono rivelarsi esplosive, proprio perché il contenuto della vita emozionale è diventato il principale fondamento della realtà e l’oggetto stesso di queste transazioni. Le emozioni sono diventate la realtà degli individui e il loro campo di battaglia, ciò che si sforzano di plasmare e controllare e ciò per cui lottano con gli altri».
Le emozioni che la sociologa scandaglia sono in particolare dieci, raccolte in tre sezioni che organizzano il libro: nella prima parte, che si concentra su luci e ombre del sogno americano, si prendono in esame speranza, delusione e invidia; nella seconda è la volta di ira, paura e nostalgia, che per Illouz sono le emozioni di riferimento se si parla di nazionalismo o democrazia; infine seguono le emozioni della sfera intima, cioè la coppia di vergogna e orgoglio, la gelosia, e in ultimo quel complesso conglomerato a cui diamo il nome riassuntivo di ‘amore’. In tutti i casi la linea del tempo non è mai il mancorrente che aiuta a seguire le scale del ragionamento, l’autrice si muove con disinvoltura e rapidità avanti e indietro. In ciascun caso, i quadri letterari aiutano a intendersi sul modo in cui si scatena l’emozione oppure a portare avanti la tesi.

Un caso particolarmente emblematico di come lavora Eva Illouz è rappresentato dall’ira.
Si parte tipicamente da Achille, ma poi si ragiona su come essere arrabbiati oggi non sia per forza una ragione di orgoglio sociale: dipende. L’ira non è sempre la difesa eroica di un oltraggio morale. Se a essere arrabbiato è qualcuno che non può permetterselo, perché non ha una voce abbastanza ferma da interpretare con successo il copione omerico, l’ira collassa in una forma di vergogna, nel risentimento. E, la maggior parte delle volte, l’ira sta al confine tra la virtù e l’affermazione spesso egoistica di un io frustrato. Per questo l’ira viene definita dalla sociologa un «enigma dell’anima», perché è molto ambigua, muta di valore da una situazione all’altra, da un agente all’altro, e pure quando erompe in difesa della giustizia può trasformarsi in una violenza peggiore di quella denunciata o subita.
Una sintesi altrettanto affilata riguarda l’invidia che viene detta: «l’emozione muta». Chi è invidioso, infatti, non può che tacere il suo sentimento, perché esplicitare l’invidia verso qualcuno sarebbe come ammettere la propria inferiorità, ma soprattutto vorrebbe dire oggettivare che la vita fortunata e migliore è quella dell’altro. Chi è invidioso, per il solo fatto di ammettere che lo è, viene considerato un perdente.
Queste considerazioni non sono vere in generale, soprattutto non sono sempre state vere: dal futuro o dal passato le nostre emozioni potrebbero essere difficili da comprendere così, nel significato che hanno per noi adesso.
Nel guardare a come si sono contorte le emozioni intorno alla società e ai suoi mutamenti, Eva Illouz risolve anche dei rebus che ci aiutano a mettere a fuoco alcuni meccanismi emozionali collettivi. Prendiamo l’orgoglio, per esempio. L’orgoglio va in coppia con la vergogna perché rappresenta il suo opposto, oppure la controffensiva che la psiche mette in campo quando l’imbarazzo è troppo grande e ingiustificato. Allora è lì che subentra l’orgoglio.
Su questa emozione la sociologa fa un rilievo importante: l’orgoglio è un’emozione positiva, talvolta nazionale, in grado di portare avanti miglioramenti sociali, a condizione però che sia provvisoria. Quando si radica nel tempo, l’orgoglio si svuota del suo significato reattivo e smette di essere «quieto», l’orgoglio diventa «un’identità autocompiacente» che non è più disposta a confrontarsi con le altre. Un mite orgoglio, al contrario, è un’arma intelligente da usare contro la discriminazione, così come è avvenuto col movimento pride in tutto il mondo.
Nelle parole di Illouz le emozioni si svuotano completamente del loro valore patetico: diventano lenti per leggere il contemporaneo e la cronaca, più volte usata per addentrarsi nello spettro emotivo. Un’ultimissima cosa da sottolineare è che le quaranta pagine di bibliografia, raccolte in trent’anni di studio, sono una miniera d’oro per chiunque voglia restare in tema. La voce autorevole di Eva Illouz fa venire una grande curiosità nei confronti dei futuri nuovi Maverick.
