Scatti per promemoria / Fotografare parole

18 Maggio 2016

Non si usa più trascrivere una frase che vogliamo ricordare: si scatta una fotografia. Il recente fenomeno del fotografare con lo smartphone o il tablet un nome, una parola o un testo per richiamarlo successivamente alla mente è diventato un ausilio della memoria di uso corrente, che ha modificato le strategie di lettura e interpretazione della parola scritta.

 

 

Effetti di sovrapposizione causati dal trascinamento.

 

Il testo fotografato richiama alla mente anche la circostanza nel corso della quale è avvenuto lo scatto, carica di segni e significati ulteriori, determinati da gesti, espressioni, figure, oggetti, impronte che si fissano nell’immagine fotografica insieme alla luce presente al momento dello scatto, ai colori, alla prospettiva. Il testo occupa così lo spazio della figurazione assumendo alcune sue modalità espressive: il testo fotografato diventa un'immagine, non una riproduzione delle parole che lo compongono, che pur possono essere lette. 

 

Inoltre il contesto non è richiamato alla memoria in modo isolato e puntuale ma nella sequenza di incontri e avvenimenti registrati e ordinati in una galleria fotografica consultabile con un rapido gesto, che trascina velocemente le immagini generando l’illusione ottica di una loro sovrapposizione. Questo effetto percettivo influenza l'attività di ricerca del testo fotografato e di conseguenza la sua "lettura". Lo stesso vale anche per gli effetti percettivi connessi all’ingrandimento e all’esplorazione delle immagini tramite i gesti Pinch e Stretch dello zoom, che evidenziano la texture delle superfici, imponendo all’osservatore di essere presente nell’atto della visione attraverso il tatto: il gesto annulla la distanza e porta il lettore dentro l’immagine mentre questa s’ingrandisce. Il guardare attraverso il tatto costituisce forse uno dei fattori percettivi di maggiore influenza sui processi di lettura e interpretazione del testo fotografato, complicati dal fatto che il gesto Multi-Touch è esso stesso un atto di scrittura. 

 

Foto di Elio Grazioli. 

 

La gestualità Multi-Touch, attraverso la quale si consultano gli archivi digitali, ha la ritualità del gesto codificato. L’interdigitazione utile per avvicinare, allontanare, ruotare, sfogliare è rigorosamente codificata. Non si tratta solo di un gesto funzionale all’uso del dispositivo ma anche di varie ritualità, come quella del comunicare chiaramente la propria indisponibilità al contatto rifugiandosi tra i contenuti del proprio smartphone. Seguendo la traccia degli studi di Jacques Derrida sulla “scrittura originaria” che sta al fondo di ogni linguaggio e di ogni scrittura comunemente intesi, Maurizio Ferraris sostiene che i gesti codificati appartengono a un sistema di scrittura indipendente dal linguaggio, definita con il termine “archiscrittura”, che comprende tutto ciò che ha a che fare con l’iscrizione, la traccia, la registrazione e l’iterazione del gesto (Maurizio Ferraris, Scrittura, archiscrittura, pensiero, in Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce). 

 

Foto di Stefano Tosoni. 

 

Tutto ciò mette in discussione l’idea che la scrittura sia necessariamente un mezzo per fissare il linguaggio, cosa che risulta evidente peraltro anche dai segni non alfabetici impiegati nella scrittura digitale. Mi riferisco ai vari simboli, ideogrammi e logogrammi  presenti nella tastiera di un PC (tra questi ultimi l’ubiquo @ che chiamiamo “chiocciola” trasformandolo in un’immagine), così come alle emoticon che si compongono utilizzando i segni d’interpunzione. I segni alfabetici si mescolano così anche alle faccine tristi o sorridenti che possono assumere valore pittografico se teniamo premuto il tasto “maiuscolo”, e alla gestualità Multi-Touch con la quale richiamiamo un’immagine dalla galleria fotografica  per corredare ulteriormente il messaggio prima dell’invio. 

 

Foto di Elio Grazioli. 

 

Abbandonando l'idea fonocentrica che la scrittura sia solo un mezzo per fissare il linguaggio, è possibile considerare questa nuova tecnica di memoria artificiale come un fenomeno di scrittura allargata nella quale ciò che è linguistico entra in rapporto con ciò che non lo è attraverso l'ingresso della parola scritta in una dimensione figurativa, così come avviene nei rebus della Settimana Enigmistica. Nel saggio Incontri con la sfinge. Nuove lezioni di enigmistica Stefano Bartezzaghi scrive: “nell'evoluzione che il rebus italiano ha conosciuto lungo l'Ottocento, la trasformazione subita dal gioco – rispetto al sonetto figurato – è che ora non è più la figura che s’installa nelle righe della scrittura (quasi fosse una parola stenografata in un'immagine) ma è la scrittura che s’installa nelle dimensioni della figura: il rebus si presenta come una vignetta in cui compaiono oggetti disparati”. L’opinione di Bartezzaghi, nel caso del testo fotografato, è che il rapporto fra il testo e l’ambiente nel quale questo s’installa, pur non possedendo carattere di rebus, sia tale da conferirgli enigmaticità. La sua ipotesi è che l’aura enigmatica, che queste scritte sembrano possedere, si sprigioni dalla loro relazione con il supporto, enfatizzato da un tipo di scrittura “estroflessa”. Il supporto della scrittura “introflessa”, il foglio bianco o la pagina di scrittura elettronica, invece è neutro, non ha carattere e quindi l’enfasi è sul testo. 

 

Foto di Elio Grazioli. 

 

Il rapporto tra il testo e l’ambiente fotografico nel quale è inserito, che conferisce al testo un’aura di enigmaticità, problematizza non solo le strategie di lettura e interpretazione della parola scritta ma anche le strategie di pensiero connesse a tali processi di lettura e interpretazione. 

Questa circolarità tra ciò che nella scrittura è linguistico e ciò che non lo è non si spiega con l’idea fonocentrica che la scrittura sia necessariamente un mezzo per fissare il linguaggio. La nostra è infatti una cultura sempre meno fonocentrica e sempre meno logocentrica, perciò sempre meno legata al pregiudizio che il pensiero possa esprimersi correttamente solo attraverso il linguaggio, quindi attraverso la scrittura alfabetica. L’espressione perfetta del pensiero attraverso la scrittura è tradizionalmente considerata (dalla filosofia) solo quella alfabetica in quanto riproduce la voce, il luogo nel quale risiede il logos e quindi la verità. 

 

Foto di Aurelio Andrighetto. 

 

Dunque, fotografando un testo con lo smartphone o il tablet per richiamarlo successivamente alla mente, oppure disegnando emoticon per corredare l’invio di un messaggio alfabetico,  manipolando cioè pittogrammi,  ideogrammi, logogrammi, alfabeti e immagini nel contesto di un sistema allargato di scrittura, che comprende anche il gesto con il quale richiamiamo alla mente il testo fotografato, non attiviamo quella strategia di pensiero che trova nella voce il suo fondamento, ma un’altra, diversa strategia perché, come si diceva, l’assunto dei filosofi è che il pensiero si esprime correttamente solo attraverso il linguaggio e quindi solo attraverso la scrittura alfabetica, se pur considerata da Platone una deplorevole degradazione della voce. 

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