Giorno 19 / Lontananza

17 Dicembre 2019

Stare in uno stato di lontananza: il principio della meraviglia. Per Dorothy, raggiungere la Città di Smeraldo è attraversare la lontananza, portandosi dietro, di passo in passo, i desideri:  “– Ah, la strada è lunga da qui alla Città di Smeraldo, – osservò il Re. – È così lontano che nessuno di noi è mai stato là”.  

La lontananza è la linea dove il meraviglioso si può affacciare, per poi subito ritrarsi nell’impossibile : luogo dell’arcobaleno, festa del visibile, ma abitata dalla minaccia della sparizione. Irraggiungibile che si veste di colore e di prossimità, per sottrarsi a ogni cammino che voglia indicarlo come meta. Linea dove l’apparire confina con il nascosto che ne è il ritmo, la luce è abitata dall’ombra che la sostiene, la presenza sprofonda nell’assenza. La lontananza è l’altrove che prende forma fluttuante, metamorfica, fuggitiva. Sta dentro di noi quell’altrove, sta come sogno di un altro tempo, di un altro luogo: immagini che ci permettono di attraversare i giorni senza essere assaliti dal gelo di quel che è già stato,  e ci permettono di camminare per le strade del mondo senza assumere l’alterigia di chi ha già raggiunto uno scopo. 

La lontananza è quel che la presenza esclude e l’immaginazione raffigura: movimento analogo a quello della ricordanza, la quale disserra dall’oblio un’immagine portandola verso il figurabile e allo stesso tempo lasciandola avvolta nella nuvola del lontano.  

 

Per l’assillo e la fascinazione della lontananza un giorno si parte.  Ma il paese verso cui andiamo è sempre più in là, non alla fine del sentiero, ma oltre: sta nella luce dell’orizzonte, il quale, ad ogni nostro passo, arretra verso una sua sempre indefinita soglia.  Sta, quel paese, nell’azzurro, che è il colore della lontananza, con le sue gradazioni, opacità, trasparenze. 

 

Non abolire la lontananza : compito delle arti. Soprattutto nell’epoca che ha fatto del lontano (in greco tele) una tecnica – telematica – in grado di rendere domestico e usuale quel che si sottrae alla vista, e agli altri sensi. In virtù di questa tecnica tutto appare visitabile, transitabile, prossimo. La lontananza cessa di essere lontananza, si veste con i panni quotidiani del qui e ora. Ci sono, per fortuna, le arti  che permettono di tenere ancora aperto lo spazio e il tempo della lontananza. Abitare la lontananza vuol dire stare nel presente, respirando l’aria pulita dell’invisibile. 

 

Ci sono tre lemmi che, trasgredendo ogni contiguità alfabetica, accompagnano strettamente, nel dizionario della nostra interiorità, la voce lontananza. Nostalgia: l’onda dolce e amara di una lontananza che più non ci appartiene e che tuttavia continua a stare con noi, rischiarando quel che è intorno. Migrazione: il sapere aspro della lontananza, che si confronta, dolorosamente, con nuovi cammini e nuove terre.  Ospitalità: il tu che fiorisce nella tenda di chi ha accolto la lontananza.

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