Lorenzo Ornaghi a.k.a. Lorenzo Ornaghi

1 Giugno 2012

In merito al tema “Lorenzo Ornaghi” c’è davvero da credere che l’argomento psicologico impiegato dagli esegeti per spiegare l'enigmatica inadeguatezza del ministro sia davvero riduttivo o fuoviante. Mi spiego. Ornaghi sarebbe stato nominato ministro per i Beni culturali "controvoglia", si afferma; da qui scarso interesse, distanza, indifferenza. Simile assunzione non coglie il senso deliberato, le convinzioni tutt’altro che incerte o arrendevoli, il proposito politico che sostengono il comportamento di un ministro divenuto celebre, in modo non lusinghiero, con il soprannome di Ponzio Pilato.

 

 

La "cultura", a parere di Ornaghi, esisterebbe solo come affermazione di “valori” comunitari, dunque organica a mondi preesistenti e reti sociali da tutelare. Ha compiti pressoché rituali di consacrazione, è tenuta a produrre coesione, si accompagna a tatto, discrezione, garbata reticenza, talvolta persino opacità e pregiudizio condiviso. Usiamo termini cari alla tradizione conservatrice cui Ornaghi fa riferimento. Cultura è “spirito oggettivo”: istituzione, clero (in senso lato) e liturgia. “Eticità”. C'è la convinzione che il cattolicesimo meglio di altre visioni del mondo possa lenire o attenuare la disgregazione sociale prodotta dai processi economico-finanziari, demografici, migratori; e che l'Italia possa mantenere una salda identità culturale (Vincenzo Gioberti o Giovanni Gentile avrebbero parlato di "primato") solo se pronta a confermare la propria tradizione religiosa.

 

Possiamo stupirci se, a fronte di pronunciamenti “neoguelfi” sulla "sanità" delle culture popolari locali del nostro paese, dunque della saggezza dei padri o dell’operosa probità degli antichi borghi rurali, “omissioni” strategiche colpiscano (quelli che sono a prima vista più facilmente identificabili come) luoghi di produzione del pensiero critico, della frammentazione urbana, del conflitto interpretativo, dell'individualismo radicale? Luoghi deprecabilmente radical-chic, agli occhi di Ornaghi, subalterni e sincretici, connotati dal proposito di infrangere cerimoniali e nominare le cose (proposito, quest’ultimo, particolarmente intollerabile)? Il Maxxi ieri, la Quadriennale oggi. E taluni ricordano la flebile voce del ministro schierarsi a sostegno di una possibile candidatura di Sgarbi al ruolo di curatore della prossima Biennale di Venezia. Lecito per un ministro del patrimonio, ci chiediamo, ignorare così profondamente le condizioni della competizione culturale globale oggi, o i modi attraverso cui essere riconosciuti “identitari” e insieme partecipi di una discussione cosmopolita? Un segreto desiderio di secessione geopolitica e confessionale, di campane a festa e cinta merlate sembra accompagnarsi alla pensosità di Ornaghi: l’Italia cattolica come “giardino d’Europa”, enclave vaticana serenamente avulsa dalla Storia e alternativa al Mondo forgiato dalle Nazioni Protestanti, neocorporativa e sussidiaria. Manzoni e Gioberti sullo sfondo, greggi mansuete in primo piano. Abbiamo le risorse per fingerci insulari? Dunque: non "svogliatezza" ma disegno egemonico (il ministro forse direbbe: controegemonico) bene inscritto nel percorso formativo e di ricerca (sul ruolo delle elites o sui rapporti “organici” tra diritto e territorio) dell'ex allievo di Gianfranco Miglio.

 

Che cosa possiamo contestare a Ornaghi? Certo non l’avversione antimodernista, che a taluni potrebbe sembrare odio ammantato di facezia. E’ legittima, anche se l’alto incarico istituzionale a lui affidato suggerirebbe di lasciare da parte l’eccesso di faziosità oppure dimettersi. Non è giusto né sensato, in definitiva, pretendere di modellare le politiche culturali di un paese in sprezzo a posizioni considerate avverse, tutt’altro che minoritarie, e per di più da ministro “tecnico”, eletto da nessuno. Oppure le retoriche dell’autocommiserazione e dell’impotenza, così pronunciate (eppure poco credibili) nelle rare intervisterilasciate (sarà poi vero, sostengono i detrattori, che per giocare con forza le carte di un negoziato come quello sulla discarica a Villa Adriana dimissioni minacciate siano più efficaci di dimissioni  effettive)? L’amletica irresolutezza in occasioni che pure avrebbero richiesto un temperamento affermativo e brillante, come al festival di Cannes? O le cupe congetture sul tramonto dell’Occidente? Il nepotismo di cui è stato accusato dai più malevoli cronisti? Il rifiuto, che ci è riferito sorprendentemente pervicace, di incontrare controparti e spiegare le ragioni dei propri atti, da più parti deplorato? O infine l’assenza dai luoghi del duplice terremoto? Certo la distruzione che ha appena colpito l’Emilia, regione tra le più ricche di memoria storico-artistica e architettonica, impone scelte radicali al responsabile del patrimonio e rende difficile l’esercizio del compromesso. Ci si dovrà schierare a favore di una ricostruzione rispettosa del tessuto storico e sociale, filologica e restaurativa; e rifiutare con decisione il rovinoso modello delle new town berlusconiane, pure in auge presso esponenti di primo piano della compagine ministeriale.

 

L’attuale ministro per i Beni culturali ci appare un malinconico cultore dello statu quo. La sciagura somma, ai suoi occhi, è che l'autorità decada, perda prestigio e cogenza. Che qualcosa di guasto o spiacevole trapeli dalle felpate cortine dell’ufficialità. Persino in casi di flagrante anomalia istituzionale, ad esempio alla Biblioteca dei Girolaminia Napoli, Ornaghi ha scelto il più cauto atteggiamento sottotraccia, come rimproveratogli da Salvatore Settis in un recente intervento apparso su Repubblica: il moto di indignazione che ha sospinto intellettuali, docenti universitari, comuni cittadini a chiedere a gran voce l’allontanamento dell’ex direttore Marino Massimo De Caro, oggi agli arresti per furto di libri antichi, deve essergli sembrato un male persino peggiore del reato ipotizzato. Un diverso ministro avrebbe forse nominato sottosegretari Tomaso Montanari, autore della denuncia, e Francesco Caglioti, promotore con Montanari dell’appelloper la rimozione di De Caro. Ornaghi non ha invece avvertito la necessità neppure di insorgere contro l’incredibile interrogazione parlamentarepresentata a carico dei due storici dell’arte e docenti universitari da senatori vicini a De Caro stesso e soprattutto al suo mentore politico, Marcello Dell’Utri.

 

La tradizione laico-illuministica della “coscienza morale” decisamente non guida il passo accorto e ponderato (Roberto Longhi direbbe: “terebrante”) dell’ex rettore dell’università Cattolica. L’attenzione appare meticolosamente rivolta a preservare gli equilibri interni dell’Istituzione per volgerli gradualmente a vantaggio del proprio credo, con amabile, assopente spietatezza. E’ un costume politico che risponde alle necessità di una democrazia partecipata? All’istanza di rinnovamento della classe dirigente? Ne dubitiamo. La collettività dei cittadini appare fatalmente poco importante o trascurata; e così, chissà, perfino la Repubblica con il disdicevole, trasparente universalismo dei principi. Niente cui dover rendere di conto.

 

“Lei non si sente un Ponzio Pilato?”, è stato chiesto a Ornaghi. “Non amo le battute”, ha replicato impenetrabile. “Ma se voglio farne una a mia volta posso dire che Benedetto XVI ha definito Ponzio Pilato un pragmatico”.

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