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Paesi e città. Frascati

Frascati caput mundi e Roma pe’ secundi!

Non sono pochi i frascatani “de ‘na vota” che sottoscriverebbero ancora oggi l’ironico andante che era dei loro padri e risalendo di generazione in generazione, probabilmente fino ai primigeni abitanti del Tusculum. Li si incontra specialmente la mattina, quasi tutti uomini, occupando le panchine del Belvedere, le spalle alla maestosità della Villa Aldobrandini (Villa Belvedere, non a caso) che domina dall’alto il piccolo villaggio, oggi circa ventitremila residenti, mentre chiacchierano del più e del meno, sovente di calcio, troppo viziati dalla consuetudine per affacciarsi verso la città eterna che si distende in lontananza, visibile quasi per intero, d’inverno o nelle giornate terse offrendo ad un occhio educato, consapevole di dove puntare, la sagoma di San Pietro, la macchia scura di Villa Borghese, Monte Mario lassù in alto, sulla sinistra e molto più vicino le luci del vecchio aeroporto di Ciampino, quello dove sbarcavano le star di Hollywood al tempo della Dolce Vita e magari anche il Marziano di Flaiano, il disegno della consolare Tuscolana che dalla Chiesa di Capo Croce – nello stesso incrocio dove un’edicola della Vergine fece deviare la marcia di un’orda di Lanzichenecchi nel 1527 – arriva fino a Cinecittà, a destra imponendosi l’insegna verde del Policlinico di Tor Vergata circondato dalla seconda università, a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla prepotenza architettonica della Vela di Calatrava, per più di quindici anni monumento emblematico del “non finito”, di un perenne italico-romano provvisorio, pensata come Città dello Sport, bloccata nel 2009 per mancanza di fondi, solo ultimissimamente riaccesa dalle nuove luci del Giubileo che sulla spianata antistante ha appena ospitato quello dei giovani, e per il futuro… chi vivrà vedrà.

Il turista, la coppia di giovani fidanzati o quella di freschi sposi che si affacciano dal balcone centrale del Belvedere, orientano il cellulare così da immortalarsi a specchio, un fotogramma sorridente con alle spalle la Villa, l’altro provando ad abbracciare la Città, fino all’orizzonte del mare di Ostia: un bacio a suggellare l’amore e poi si entra in paese. Passeggiandolo di mattina, come in molti altri borghi italiani, ci si incontra tra paesani, residenti, abitanti che mantengono le case di famiglia, quelle rimaste in piedi dopo il terrificante bombardamento dell’8 Settembre 1943, a più di ottant’anni il giorno che ancora oggi ogni frascatano commemora. In quella tarda mattina dello “sporco affare”, come tutti lo tramandano, l’aviazione alleata spazzò via Frascati insieme al comando del Feldmaresciallo Kesserling che qui si era stabilito approfittando della centralità tra le strade consolari Casilina e Appia, per la vicinanza alla Capitale e la prossimità all’aeroporto di Ciampino, dotata di stazione Ferroviaria e di una ricetrasmittenza telegrafica e radiofonica. Come suol dirsi, una postazione strategica, oltre che di bellezze paesaggistiche e architettoniche. I bombardamenti si susseguirono in quattro ondate: 12.09, 12.16, 12.27 e l’ultimo tra le 12.32 e le 12.38. Quella mezz’ora di quell’indimenticato mezzogiorno di fuoco, per i moltissimi che si erano svegliati ignari di ciò che stava per accadere, significò la perdita dei propri cari, o quella delle abitazioni, o delle botteghe commerciali, o di tutto: famiglia stretta, parenti, casa, lavoro, futuro. Per chi ancora lo celebra da testimone, oramai pochissimi, e per la numerosa discendenza, a Frascati è l’8 Settembre il giorno della memoria: difficile incontrare in processione, civile e religiosa, chi non trattenga uno sguardo velato e una commozione sincera.

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La cattedrale di San Pietro e la Chiesa del Gesù.

Molto, moltissimo tempo prima, un’altra data fatidica, il 1191 d.C., racconta la conclusione dell’interminabile disputa tra le popolazioni latine e Roma con la definitiva distruzione di Tusculum, l’antica città che la leggenda vuole fondata da Telegono, figlio di Circe e Ulisse, che fu centro della Lega Latina. Ma un vino del posto, non a caso con una data come nome, il 496, ricorda come già in quell’anno a.C., a seguito della battaglia del lago Regillo, Roma avesse preso il sopravvento e stabilito casa: case! Le ville e le residenze estive di imperatori, senatori, personaggi influenti quali Silla, Lucullo, Tiberio, Marco Tullio Cicerone, tutti consapevoli cultori delle virtù dell’otium, oltre che al riparo dal puzzo e dal rischio di malattie che le estati dell’antica Roma consigliavano di evitare.

Cultura, consapevolezza, abitudine e necessità che a partire dal 1538, a Frascati – il cui nome viene citato per la prima volta nel Liber Pontificalis a metà del IX secolo d.C. – insignita in quell’anno  del titolo di “civitas” da Paolo III Farnese, viene ripresa da alcuni tra i più importanti personaggi della Camera Apostolica e dalle famiglie dei Papi, gli Aldobrandini, i Borghese, i Ludovisi-Boncompagni, che qui cominciano ad erigere meravigliose dimore di rappresentanza: villa Belvedere, appunto, villa Tuscolana-La Rufinella, villa Lancellotti, villa Falconieri, dove operano artisti e architetti come Bernini, Borromini, Della Porta, Maderno e molti altri che aggiungono motivi alla scelta di Frascati come meta del Grand Tour, ospitando Goethe, Scott, Stendhal, Charles De Brosses, Mark Twain, Erik Ibsen, Georges Sand, Émile Zola, tra settecento e almeno fino alla prima metà dell’800, quando fu inaugurata, nel1856, la stazione ferroviaria Roma-Frascati, una delle prime in Italia.

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Roma vista dal Belvedere di Frascati.

Il trenino c’è ancora, con frequenza ogni 60 minuti, impiegandone 31 per trasportare i moltissimi pendolari fino a Termini, qualcuno fermandosi a Ciampino e alla stazione di Capanelle, quella dell’ippodromo. Per almeno dieci mesi l’anno, nelle ore di punta, le carrozze sono invase da torme di studenti, chi scendendo dai 320m sul livello del mare diretti verso le scuole della capitale, chi salendo a Frascati, riempiendo le classi dei non pochi istituti del paese, compreso quello di Villa Sora, una delle più antiche scuole salesiane nel mondo, e senza dimenticare che proprio a Frascati, già nel 1616, fu istituita la prima scuola pubblica in Europa, per volere di San Giuseppe Calasanzio. A differenza di molti anziani, che nel portamento e nelle scelte di abbigliamento provano a confermare l’appartenenza al borgo che fu già delle famiglie aristocratiche romane, i giovanissimi non sembrano distinguersi: che abitino a Frascati centro, nei quartieri periferici, a Ciampino come nelle borgate che si spingono fino al confine dei Castelli Romani, vestono tutti alla stessa maniera, la maggioranza in tuta sportiva, tatuati e con acconciature all’ultimissima moda, le ragazze truccatissime, scolioticamente piegati sui rispettivi cellulari, tutti svociando, urlando la loro adolescenza, non pochi e non poche esibendo una gergalità colorita, con volgarità compiaciute a mimare un’esperienza di vita tutta da costruire, masse già pronte a ritrovarsi, nel pomeriggio, nelle vasche del centro commerciale più vicino ma che, sul treno, convivono indifferenti con turisti che dedicano una giornata “romana” a visitare i Castelli e le sue cantine, con coetanei stranieri che raggiungono le scuole internazionali della capitale, figli delle non poche famiglie di amministrativi e ricercatori di ogni dove che popolano la Frascati più recente, polo europeo della ricerca scientifica, quella che ospita i laboratori del’INFN, dell’ENEA, dell’ESA, dell’ESRIN, del CNR, i centri di calcolo della Banca d’Italia, e qualche volta dividendo la carrozza con giovani appena un po’ meno giovani che chiacchierano in latino, con diverso compiacimento, allievi dell’Accademia Vivarum Novum, ospite da qualche anno della Villa Falconieri.

È questa distanza senza tensione, una copresenza indifferente, che si vive a Frascati. Da un capo tutto ciò che riporta alle grandezze del passato, quello remoto della Roma antica e quello rinascimentale più recente e fin quasi ai giorni nostri, un tratto nobile che persiste nella memoria nostalgica delle famiglie che si riconoscono “del posto”, nei ricordi della negoziante che attendeva la visita della mamma di Sofia Loren, di quell’altra che vestiva i bambini della seconda, giovane moglie di Claudio Villa, del ristoratore che ospitava con frequente periodicità i pranzi delle star del Cinema e quelli del Presidente Pertini con la Signora Carla, e di un altro che ha ancora in menù “la fettina alla Ratzinger”, in ricordo delle preferenze di gusto dell’allora Cardinale. Lasciandosi alle spalle la scuola intitolata a Tino Buazzelli (il padre era stato il capo gestore dello scalo merci di Frascati, dove il grande attore era nato) scendendo verso la piazza del Mercato e poi arrivando davanti alla Chiesa del Gesù, fino a pochi anni prima della fine del secolo scorso si poteva entrare nella bottega del “fornaretto” Amadeo Amadei ed essere serviti da colui che aveva conquistato il primo scudetto per la Roma, nel 1942, e che ne era diventato l’8° Re ben prima dell’epopea di Francesco Totti; e magari, uscendo con il pane ancora fresco, si poteva incontrare nella piazzetta antistante la sagoma di Anthony Quinn, con i lunghi capelli d’argento a scendere sulle spalle, imponente, magnetico come un’apparizione, a passeggio con qualcuno dei figli, nei periodi in cui risiedeva in una villa in campagna a poca distanza.

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La fraschetta visitata da Stanley Tucci.

Sempre sul “capo-lato” nostalgico del filo, è la “fraschetta” a confermare una delle nature di Frascati, città del vino e di quell’antica abitudine del “fagotto” – come si chiama ancora una delle osterie del paese, di recente assurta agli onori dopo una visita dello Stanley “Tucci in Italy” –, del piacere di mangiare in compagnia, condividendo lo stesso cibo, non più portandolo da casa (chi non ricorda la memorabile sequenza in Roma di Federico Fellini?) ma ancora con le tovaglie di carta, il “quartino” o la “fojetta” (il mezzo litro della casa), spendendo poco (non più pochissimo!), chiacchierando all’aperto, respirando un po’ d’aria fresca dopo la calura opprimente delle giornate d’estate. Ce n’è una distesa, di fraschette, sul Muro di via Penza, con una vista mozzafiato, di notte scorgendo anche le luci di Tivoli, e in tutto il quartiere all’ombra del palazzo vescovile, un vero e proprio castello con le grate alle finestre sul confine della strada, laddove un tempo c’erano anche le prigioni: e siccome anche i poveri carcerati soffrivano il caldo e specialmente le sete, un fabbro misericordioso aveva piegato il ferro “a forma de fojetta”, che qualche mano pietosa porgeva ai disperati.

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La grata della prigione, nel palazzo vescovile, utile per far passare la “fojetta”.

Scendendo da Piazza Paolo III (il Farnese del titolo “civitas”), attraversando “il Matone”, il rione più popolare dell’antica Frascati, dove sono conservate (non benissimo) anche le antiche fontane per lavare i panni, si arriva nel quartiere di San Rocco – il Santo che avrebbe fermato la peste nel 1656 insieme a San Sebastiano – dove non si contano i locali, le cantine, un’ulteriore tradizionale fraschetta, gestita da un’altra più recente gloria calcistica, questa volta della Lazio dei Chinaglia e dei Maestrelli, dove può capitarti di mangiare fianco a fianco con qualche campione di quel tempo che l’oste ed ex compagno di spogliatoio ospita generosamente, avendo dissipato con troppa leggerezza i guadagni giovanili. A San Rocco si incrociano e si confondono i due capi del filo in tensione. Ci incontri tutta la movida frascatana, un fiume di giovani e meno giovani, non solo residenti, che con la bella stagione, specialmente nel fine settimana, riempiono di rumore e voglia di vivere le notti tiepide dei Castelli, diversi ma uguali a tutti i giovani di qualsiasi movida in giro per l’Italia: gli stessi aperitivi (nel frattempo ha cominciato a passare di moda lo Spritz), le stesse birre, gli shottini di ogni gioventù che prova a recitarsi bruciata, gli sguardi di desiderio e quelli complici. Cento metri, pochi passi, e entri in una “Sala da The” di ricercato gusto barocco, come la musica prediletta e meravigliosamente eseguita dal proprietario, Maestro d’organo e di coro, un frascatano “de ‘na vota”, che tra tavolini di marmo, sedie, specchi, arredi d’epoca, una fantastica collezione di tazze e teiere, sovente qualche “spinetta” appoggiata in attesa di un concerto, osserva stupito la nuova Frascati dal suo locale, il cui nome ricorda il Cardinal Vescovo Henry Stuart – il Duca di York, l’ultimo della dinastia Stuart, che a Frascati visse felicemente più di quarant’anni – e che ospita i suoi “abituali”, generalmente del paese, in pochi tavolini all’aperto a due passi dalla chiesa più antica, quella parrocchiale di Santa Maria in Vivario, il cui nome si deve alla probabile antica presenza di una cisterna di pesci di acqua dolce.

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Piazza San Rocco con le osterie e le fraschette, e la Sala da The.

Frascati asseconda la flânerie, e risalendo da San Rocco e dal Matone, questa volta girando per la via dell’Olmo, che ancora ospita qualcuna di quelle botteghe e negozietti che durante l’incubo silenzioso del Covid autorizzavano l’alternativa alla fila fuori dai supermercati (ma negli anni, come in tutta l’Italia, sono moltissimi gli esercizi di famiglia che hanno chiuso bottega a favore di un inflazione di gelaterie e “cliniche” del cellulare ), attraversando di nuovo la piazza del Mercato e poi la Galleria – a suo tempo il “seminario” di Henry – si accede alla Piazza San Pietro dell’omonima, secentesca basilica. Nulla a che vedere con quella romana, ma all’interno si osserva la lapide del fratello di Henry Stuart, Bonnie Prince Charlie (ne conserva il “precordio”), all’esterno, il 17 Gennaio, celebrando la festività di San’Antonio protettore degli animali accomoda i proprietari di gatti, cavalli, cani, uccellini in gabbia in attesa della benedizione del Vescovo, il Martedì Grasso attende la sfilata dei Pulcinella che scendono dalle Scuole Pie trasportando la maschera del defunto che verrà bruciato in Piazza Roma, tra la Villa e il Belvedere, accendendo la miccia… proprio lì!

C’è anche un campo di calcio a Frascati, il Mamilio “tiranno del Tuscolo”, ma quel tratto di nobile permanenza, quel filo che tira verso la tradizione si esprime anche nelle passioni sportive: Frascati è orgogliosamente città del rugby, con un passato più glorioso del presente ma ancora amato e frequentato; c’è una palestra di scherma dove sono passate non poche medaglie olimpiche, molte anche da Jesi; c’è la tradizione del judo e delle arti marziali. Nel parco di villa Torlonia, dove un tempo zampillavano fenomenali giochi d’acqua, corrono in molti, passeggia chi è più moderatamente consigliato dall’età, altri respirando le posizioni dello yoga o disegnando la coreografia del Tai Chi, tutti in attesa che, sperabilmente nel corso del 2026, riapra la piscina comunale abbandonata da quarant’anni, e che negli anni ’60 e ’70 riuniva tutti i ragazzi dell’epoca. Gli altri, i genitori più giovani, insieme ai più piccolini, scorrazzano al parco dell’Ombrellino, all’altro capo del paese.

Nobiltà e contemporaneità, appartenenza e indifferenza: mercatini e bancarelle di pregio discutibile sullo sfondo delle antiche dimore; siti social che celebrano le istantanee di Frascati antica insieme a troppe, anti sociali sale gioco; turismo mordi e fuggi, giusto il tempo di un gelato e di acquistare il biscotto frascatano, la Pupazza con tre tette, la terza per il vino, ma anche matrimoni aristocratici come quello di Kitty Spencer, nipote di Lady Diana, ospitata a Villa Aldobrandini nell’estate del ’21; vino e porchetta nelle osterie insieme alle mostre d’arte nelle scuderie Aldobrandini, rinnovate da Massimiliano Fuksas per il Giubileo del 2000; una cittadina a tratti indolente, che prova a tenere tutto insieme, l’anziano frascatano che passeggia il mattino con il giovane che arriva dalle borgate di pomeriggio e per passare la serata, lo straniero per una breve visita turistica insieme a quello che ha deciso di stabilirvi la residenza, confermando la scelta dei nobili romani e di quelli del Rinascimento… che mica erano stupidi!

Guarda Frascati ch'è tutto un soriso / 'Na delizia, n'amore, 'na bellezza da incanta' […] S'annamo a mette' lì, Nannì, Nannì !

In copertina, Villa Aldobrandini.

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