Le mille vite di Michelina Borsari

23 Agosto 2025

Due sere fa a tarda ora è passata tra tutti gli amici, di terra in terra, la notizia della scomparsa di Michelina Borsari (1951). Come mi dice stamane Daniele Francesconi, Michelina ha attraversato mille vite: “nessuno di noi le conosce tutte, per raccontarla servirebbe un racconto collettivo”. Franco Moretti mi scrive rabbioso per la solitudine in cui ci lascia “una così seria, che credeva tanto in quel che faceva”. Minuta e ironica, lavoratrice intransigente e indefessa,  aveva saputo tessere tra l’economia, la cultura, la politica modenese un filato virtuoso: quello che animava la Fondazione San Carlo di cui fu direttrice scientifica dal 1987, frequentata da operai, impiegati che passavano le serate a leggere e tradurre sociologi tedeschi inediti. 

Fu sempre in quelle sale che dal 1995 Borsari fece nascere il corso dottorale della Scuola di Alti Studi in Scienze della Cultura (nel cui comitato scientifico operavano, tra i tanti, Remo Bodei e Tullio Gregory, suoi carissimi amici), uno dei primi corsi di respiro europeo in Italia, animato da docenti che arrivavano a Modena dal Wissenshaft, da UCLA, da Sorbona e da Stanford, ricercatori di altissimo livello filosofico, sociale, interreligioso, ancora non tradotti, che lavoravano con studenti e cittadini alimentando la magnifica biblioteca della Fondazione.

Sempre negli stessi anni in quella stessa fucina si discutevano e si limavano discorsi di politici di primo piano europeo e locale e nascevano esperienze come quelle di “Viva voce” – un partecipato ciclo di letture ad opera di pensatori contemporanei che ritraducevano brani classici – oltre alla redazione di “Il Semplice” (Feltrinelli), che Borsari guidava con Gianni Celati ed Ermanno Cavazzoni, gli amici di una vita: esperienze che hanno saputo far crescere artisti, riscoprire testi, creare collane editoriali (per esempio in seno a Quodlibet) e che hanno anche portato a scissioni importanti, come quella che originò la creazione del Consorzio del Festival Filosofia, nel 2001, da lei creato e diretto fino al 2016, anno in cui passò il testimone a Francesconi, che nella Scuola di Alti studi si era formato. 

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Cresciuta sui temi antropologici del cartesianesimo, Borsari aveva trovato nella sala ovale della Biblioteca Nazionale di Parigi e nella passione sociale che animava la città nei suoi primi anni Settanta la sua seconda casa, una casa che aveva saputo ricreare nella Modena degli anni Ottanta, quelli in cui assume la direzione editoriale della Fondazione san Carlo e in cui insegna filosofia nella sezione sperimentale del Liceo classico Muratori, un progetto da lei disegnato, in cui gli studenti studiano tre letterature europee, collaborano con case editrici di primo piano come Il Mulino, in cui Borsari invita Liliana Cavani destando lo scandalo della stampa cittadina, in cui non nasconde la rabbia e il dolore leggendo per i corridoi ad alta voce gli articoli della strage di Capaci. 

Era una convivialità profonda e notturna, quella in cui Borsari immaginava i suoi progetti, sempre corali e umanissimi, avvolti nelle volute sottili delle sue sigarette e in vini corposi come il suo Sauterne: si leggeva ad alta voce, misurando il passo e il metro, tra montagne di appunti e dizionari, i suoi polpastrelli graffiati dai suoi roseti. Capitava anche di vederla sparire in qualche silenzioso buen retiro, a Parigi o Poggio Murella, da cui riemergeva con qualche scoperta letteraria, qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere e che apriva nuove piste di pensiero. Essenziale e ruvida, rigorosa e scomoda, esploratrice instancabile di nuove prospettive come la sua amata Sonia Delaunay, è a lei che tante studiose e studiosi italiani ora sparsi nel mondo devono tanto, alla sua scabra fiducia nella dialettica, nella bellezza, nella comunità degli uomini: al tema della ‘paideia’ è dedicato il festival modenese che sta per iniziare e che porterà il suo nome. 

Pesco dalle nostre lettere quella di un sogno che le racconto in un’estate di quasi trent’anni fa: “Chi sogna attraversa una foresta scansando le liane, ferendosi i bracci senza sentirlo, seguendo una mappa tracciata a penna su un tovagliolo, costeggiando greggi di pecore sospettose e dirupi. Poi, d’improvviso, l’aria si fa più leggera e chiara e da una costa si intravvede, sotto una cascatella, l’entrata di un romitorio. Lì ti vedo, che discorri con un vecchio o un pastore o un presidente della repubblica scalzo, di qualche pittura rupestre che dovete decifrare. È allora che guardi giù e a chi sogna, sorridi.”

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