Politiche, 4 marzo 2018 / Berlusconi il gregario

6 Marzo 2018

Il seduttore non seduce più. Come poteva essere altrimenti? A 81 anni suonati, completamente rifatto, una moquette al posto dei capelli, tenuto in piedi probabilmente da farmaci e con il tagliando continuamente da ripetere nella sua beauty farm altoatesina, Silvio Berlusconi non ha più il corpo del Capo. Anzi, non è più un Capo. È diventato un gregario del suo gregario, l’uomo con la felpa, e ora in giacca e cravatta, Matteo Salvini, che si sente il doppiopetto del ministro addosso, per quanto arrivare lì non sarà né semplice né facile, visto che l’altro uomo in giacca e cravatta, oltre che in camicia bianca, lo steward fieristico Gigi Di Maio, lo precede di diverse lunghezze sulla via verso il Quirinale. Nessuno sapeva che risultato avrebbe ottenuto dalle urne Berlusconi, ma tutti sapevano che non avrebbe ottenuto il successo pieno. Non lo attendeva neppure lui. Ha detto: non potevo essere candidato, per questo non ho vinto. Per vincere ha vinto, perché la sua compagine, compresa la Meloni di Fratelli d’Italia, ha raggiunto il 35 % dei voti, ma la maggioranza del pacchetto azionario spetta ora a Salvini, perché mentre l’ex Cavaliere resta al 14%, il capo della Lega ex Nord, ora nazionale, o meglio nazionalista, arriva al 17,4%. Tuttavia Forza Italia è Berlusconi; sui manifesti elettorali c’era il suo nome. Non basta più. Quel 14% è l’effetto delle televisioni che ancora possiede, e dell’essere, come ha detto orgogliosamente a Mentana che lo contrastava, il “primo imprenditore del Paese”. Tempi lontani. Un numero comunque consistente di elettori ha ancora fiducia in lui, ma non seduce più tutti gli altri. Non è solo un fatto d’età. È che il berlusconismo quale stagione della destra moderata è arrivata a termine. Un ciclo finito.

 

Resta l’uovo che Berlusconi ha covato con le sue emittenti, con i suoi programmi, con l’idea del consumismo alla portata di tutti. L’Italia dell’ultimo trentennio è a sua somiglianza, però non è più quella che aveva progettato. L’uovo ora si è schiuso e dal berlusconismo esce un’ala sinistra, che è quella del M5S, e un’ala destra: la Lega lepenista di Salvini. Sono entrambi figli di quell’epoca trascorsa, figli degeneri e opposti. Il Movimento 5 stelle contiene il rancore e il risentimento che seguiva come un’ombra fedele il berlusconismo, cui il cavaliere opponeva “il sorriso in tasca”, l’ottimismo dei consumi pubblicizzati dalle sue emittenti. Così lo sublimava. E anche qualcosa che era già oltre l’Italia di Mediaset, quella del web.2, l’Italia che s’alimenta di Internet, di social network, che ha nello smartphone il suo strumento di comunicazione, d’acquisto e di gioco. L’edonismo berlusconiano ha generato un’altra forma di edonismo, nuova e differente. Insieme a questo il movimento creato da Beppe Grillo sviluppa un aspetto che Silvio Berlusconi teneva invece a freno: l’idea di una alternativa al sistema attuale. Alternativa moderata, questa dei grillini (non li chiameremo più così tra poco), tuttavia pur sempre un’alternativa, là dove l’ex Cavaliere pensava invece ad amministrare un mondo uguale a quello di ieri, a farlo durare. La necessità del cambiamento è dentro i 5 Stelle, insieme ad altre cose per altro opposte, che facevano parte del pacchetto di maggioranza di Berlusconi: la frustrazione della piccola borghesia del Sud e il rancore verso le élite culturali e politiche. Dopo il berlusconismo esce dall’uovo un essere ibrido, composto di parti differenti, alcune delle quali appartengono storicamente alla sinistra, ma che la sinistra di Renzi non ha riconosciuto o ascoltato. Quel vituperato “Una testa, un voto” è anche un’istanza d’uguaglianza, seppur declinata in modo incompleto, e che non ha trovato in nessuno degli altri partiti, o movimenti, una risposta efficace. Uguaglianza politica e sociale, e anche economica. Nessuno ha trovato le parole e le proposte per questa istanza. Neppure LeU, movimento scissionista. C’è utopia e utopia. Quella dei 5 Stelle è parsa più reale e nuova di Bersani, Grasso, Boldrini e D’Alema. Tutto ciò è lontanissimo da Berlusconi e dal suo credo liberista seppur spurio. Silvio non seduce più neppure alla sua destra. Da a-fascista non ha saputo, o potuto, dialogare con la risorgente destra. Non poteva Silvio indossare la felpa di Salvini, non ne aveva più l’età, ovviamente; lui, l’uomo della tuta da ginnastica, da jogging, come quando correva con la sua corte nella ville che possiede. Non poteva neppure scrivere i nomi delle città attraversate da Salvini e accostarsi a Casa Pound e ai neo-neofascisti italiani. Per quanto un moderato, Silvio è un razzista da barzelletta, mentre Salvini, partito così, con le barzellette, può diventarlo davvero: un vero razzista alla Orban e come gli altri aspiranti dittatori dell’Est Europa. Putin è il suo ideale e la sua realtà, là dove invece per il super-ricco Berlusconi, il capo del Cremlino, è “l’amico Putin”.

 

Alla fine sono differenze minime, ma in politica le differenze, seppur di carta velina, hanno pur sempre un loro significato. Il divorzio miliardario, le Olgettine, le vicende di Papi, la condanna per mafia del suo sodale Dell’Utri, il declino fisico, gli hanno giocato contro. Certo è che la sua eredità non può essere raccolta da nessuno, almeno interamente. Qualche pezzo l’ha già in saccoccia Salvini. Riuscirà ad accaparrarsi parte del suo patrimonio politico o potrà invece farne senza? Crescerà Salvini creando un blocco sociale diverso e nuovo rispetto a Forza Italia al Nord? Ovvero porterà via altri voti all’ex azionista di maggioranza? Userà la Lega nazionale il governo e il sottogoverno per mungere voti alla magra vacca berlusconiana, e persino ai 5 Stelle? Tutte domande cui non c’è risposta per ora. Perché la questione del Nord non si è risolta con queste elezioni, si è solo tradotta in qualcosa d’altro. Adesso tutto è nelle mani delle maggioranze che si formeranno, oppure no, nel Parlamento nazionale, e lì contano anche i voti, i rappresentanti che Forza Italia mette insieme, come quelli che troverà nel suo paniere a conteggi terminati Salvini. La politica non è una cosa meccanica. Contano, lo ripeto, le persone, come ci insegna la storia, perché, alla fin fine non saremmo qui, a tutto questo, se non ci fosse stata la discesa in campo Berlusconi nel 1994 e il Vaffa day di Grillo nel 2007. Adesso tocca a Salvini con il suo 17,4% tentare la scalata dell’Olimpo. Tutto è da fare, tutto da giocare. Berlusconi non va in pensione, ma non è più quello di una volta. Amen. 

 

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