Speciale

Occhio rotondo 58. Divi

14 Dicembre 2025

Certo gli occhi, magnetici, e poi il viso d’una bellezza irresistibile. Ma è il braccio, quello che poggia sul finestrino, debitamente abbassato dell’automobile, che cattura: la noncuranza di quella mano ripiegata verso l’interno e l’altro braccio allungato. Dentro l’auto ci sono due creature altrettanto belle: la moglie di Delon, Nathalie, che fa capolino dietro di lui coi suoi occhi scuri e Brigitte Bardot, dentro la vettura, una Citroen Ds probabilmente, automobile cool dell’epoca. È il 1967. Il fotografo, Marcello Geppetti, è un paparazzo. Lo scatto si trova sulla copertina del libro Paparazzi curato da Francesco Piccolo (Einaudi). Probabilmente è la foto più bella di questo volume in cui Piccolo ha raccolto una serie di scatti della dolce vita, dedicati a personaggi del cinema. La parola “paparazzo”, entrata nella lingua italiana attraverso un film di Federico Fellini, è un’invenzione di Ennio Flaiano. Il curatore ipotizza che la creazione del termine riguardi l’analogia che esisteva tra l’aprirsi e il richiudersi dell’otturatore durante le foto veloci e furtive rubate dai fotografi, che stazionavano in via Veneto, e l’apertura e la chiusura delle valve delle vongole, in dialetto abruzzese – regione da cui proveniva Flaiano – chiamate “paparazze”. 

Una spiegazione quanto mai ricca di possibili sottintesi e rinvii, che rende perfettamente ragione della fama immaginifica, sia visiva che linguistica, di Flaiano. Nel bel volume di grande formato, accompagnato da brani del curatore che raccontano, descrivono, spiegano, commentano e sottolineano, la maggior parte delle fotografie ritraggono persone colte di sorpresa, spesso disturbate dalla presenza del paparazzo, persone che reagiscono con virulenza all’intromissione. Sono scene con star del cinema e registi, pedinati oppure incontrati per caso, che non desideravano affatto d’essere ritratti. Ci sono anche quelli che invece sono soddisfatti d’essere ripresi; si lasciano fotografare e manifestano il piacere d’essere oggetto dell’attenzione visiva, insomma amano l’aprirsi e il chiudersi delle vongole meccaniche, via necessaria per la propria notorietà e popolarità pubblica. 

Sono per lo più giovani e partecipano in modo diretto all’esplosione di gioia e allegria che sembra promanare da questo momento magico della società e del cinema italiano, poco prima dell’entrata nel tunnel degli anni Settanta. Tuttavia niente eguaglia lo sguardo sfrontato di Delon, uno sguardo che concentra in sé sicurezza, fascino e spudoratezza tipiche dell’età, per poi fermarsi a un millimetro dall’arroganza: è uno sguardo da seduttore. Mentre la maggior parte dei personaggi di questo libro, protagonisti della dolce vita, sono guardati, Delon guarda, lui, sfida le vongole e il rumore degli otturatori. Non parla: osserva gli osservatori. Posa? Probabilmente sì. In un commento, nella pagina dove figura la foto di Roman Polanski con la moglie, Sharon Tate, lui strafottente e lei sorridente, Piccolo scrive che i paparazzi fermano un momento della vita, e che tutti, fotografi e fotografati sono inconsapevoli di quello che succederà poco dopo – questo vale soprattutto per il regista polacco e la sua sfortunata moglie uccisa da lì a poco da Charles Mason al ritorno in America. 

Questa osservazione vale per tutti gli attori e le attrici presenti nel libro. Sono dei divi, cioè dei divini. Sono fuori dal tempo, vivono, almeno in apparenza, in una condizione diversa da quella delle persone normali. La magia che l’otturatore della macchina fotografica crea è questa: un momento irripetibile che si svolge vicino a noi. Sono divinità che i paparazzi rendono umane, o almeno provano a farlo. Forse proprio per questo appaiono fotografie affascinanti anche quando non sono belle, ma solo memorabili. Tutte, salvo quella con le tre divinità dentro la Citroen DS.

In copertina, Brigitte Bardot, Alain Delon e sua moglie Nathalie. Roma, 1967, foto © Marcello Geppetti/ MGMC.

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