“Pensavamo di essere i migliori”

17 Agosto 2022

“Dove si va?”: questa è la domanda. 

È in Domani accadrà, film del 1988 di Daniele Luchetti, e torna più volte, diversamente formulata, fra i militanti comunisti che animano La cosa (1990) di Nanni Moretti, corre poi lungo tutto l’arco temporale del film-documentario di Hugues Le Paige, Fare politica. Cronaca della Toscana rossa, cogliendo alle spalle, e a più riprese, i suoi protagonisti: quattro attivisti del P.C.  (tre uomini e una donna) di un piccolo paese, tra la val di Pesa e il Chianti, Mercatale.

Dunque “dove si va?”

Il 9 novembre del 1989 crolla il Muro di Berlino, ed è un mondo che comincia a sgretolarsi, insieme alle idee che lo hanno sostenuto. Appena tre giorni dopo, il 12 novembre, il segretario del P.C., Achille Occhetto, lacrime agli occhi, la voce rotta dall’emozione, sancisce la fine del Partito Comunista Italiano. Poco più di un anno dopo il P.C.I. si scioglierà dando vita al Partito Democratico della Sinistra. Fine! E ora? “Dove si va”? 

Il P.C. dovrà cambiare nome, troppo appesantito dalla storia. Tremano i nomi investiti dal movimento tellurico che sta scuotendo l’Occidente. Ma in ogni nome si condensano sentimenti accumulati nel tempo. Quel nome poi, comunismo, ha custodito grandi speranze di riscatto sociale, domande di giustizia a lungo disattese. E ha messo in moto i sogni di masse di uomini.

C’è confusione ora, serpeggia il disorientamento fra i militanti di “La cosa” di Moretti, e forse anche una disperazione appena celata. Discutono per ore, per giorni, come per riempire il vuoto che si è prodotto. Vogliono capire. E che c’è da capire? Il presente ha annientato i nomi e le identità. 

Sono percorsi da un brivido i ritratti della Casa del Popolo di Mercatale, o di ogni Casa del Popolo, di ogni sezione. Lenin, Togliatti, Gramsci, Ho Chi Minh, Berlinguer, distesi in una staticità granitica, irridono all’avanzare del nuovo. 

Il nuovo ha il passo lento, la storia ha il passo lento, nonostante le improvvise e brucianti accelerazioni. Nell’ultimo malinconico scorcio degli anni ottanta, la storia, e in essa, i singoli individui, paiono impantanati in una spirale di perplessità, galleggiano sui dubbi. Ma, forse, ogni svolta, ha un’inevitabile appendice di perplessità e di dubbi.

Hugues Le Paige, il regista di Fare politica torna più volte a Mercatale, per osservare le fluttuazioni, i rovesci del sentimento politico. Si è dissolto nella nebbia della perplessità o ha resistito? Le Paige ne registra le trasformazioni a distanza di anni. Quando arriva a Mercatale, nel 1994, nel pieno della campagna elettorale che vedrà la vittoria di Silvio Berlusconi, non si trattiene dall’osservare: “Mi sembrava di essere in un altro mondo”.

Tutto sta cambiando, a partire dai nomi. Anche i legami si vanno sciogliendo. Le strade dei quattro compagni di Mercatale si sono ormai divaricate: Fabiana ha preso le distanze dal nuovo P.D.S., Claudio è entrato a far parte di “Rifondazione”, ma poi ne uscirà, Carlo è rimasto, ma ancora per quanto tempo? Vincenzo ha assunto responsabilità amministrative, è assessore e vicesindaco.

Anche i ritratti della Casa del Popolo hanno perso smalto, e, ora, dalle apparenze meno squillanti, appaiono più bonari, come cimeli dall’aria familiare. Si può arrivare a immaginare che, a loro volta, quei volti fissati nella memoria del secolo che va finendo, congelati nel tempo, siano finalmente disposti a cambiare il nome che ha sintetizzato i loro ideali. Ma presto, impietosamente, verranno distaccati dai muri, fatta eccezione forse per Enrico Berlinguer.

“Siete ancora comunisti?”, chiede Le Paige a Carlo, il più anziano del gruppo, e il più attivo. Prima di aderire a “Rifondazione”, ogni domenica Carlo distribuiva le copie dell’“Unità” casa per casa, non si perdeva un Festival, con relativa riffa e un prosciutto in premio. Sempre presente in sezione, generosamente, era lui a stendere manifesti e volantini.

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“È più difficile smettere che continuare”, risponde Carlo, che, alla fine però smetterà ritirandosi a vita privata. Dirà poi, con amarezza, quello che venti o dieci anni prima, o forse solo cinque, non avrebbe mai detto: “Pensavamo di essere i migliori, ma forse non era così”.

Sul finire del film-documentario di Hugues Le Paige c’è un passaggio davvero straordinario: Carlo, Fabiana, Vincenzo e Claudio, rivedono proiettate su uno schermo le immagini del loro passato, quelle che il regista ha girato nel corso dei vent’anni fra il 1982 e il 2002. Vent’anni, il corso di una vita, dagli impeti giovanili al triste ripiegamento degli anni duemila. Tante cose nel mezzo, tanta vita, ma poco o niente sembra aver resistito alla lenta erosione del tempo. Neppure la loro amicizia ha resistito. Tutto è stato travolto.

La cinepresa inquadra i loro volti, che portano il segno dei vent’anni passati. Un lampo di emozione li illumina. Emozione, ma anche curiosità verso il senso che loro stessi, negli anni, hanno dato alle cose, alla politica, alla storia vissuta. Si guardano con affetto, ma sembrano giudicarsi. 

Esaurita la corrente della prima emozione, si sviluppa il distacco. Uno di loro, Vincenzo, rompe il silenzio: “È un secolo fa!”, dice. “È un secolo fa!”, ripete. E nessuno degli altri compagni pare voler contrastare il suo verdetto, una pietra tombale.  

Si avverte in quel distacco il lavoro del dubbio, lo scavo della perplessità verso quello che sono stati. Le immagini girate si susseguono in una spirale che toglie il fiato. Ma, da parte loro, nessun diniego, nessun ripensamento sulle ragioni di “un secolo fa”. Non si torna indietro.

Tutto passa attraverso la catena del silenzio, sui loro volti di vecchi-giovani piegati dal procedere della storia.

“Pensavamo di essere i migliori”, aveva detto Carlo. Viene da osservare che quei vecchi-giovani siano stati effettivamente i migliori, e non per le precarie certezze di ieri, ma per i dubbi e le perplessità di oggi.

FONTI:

Hugues Le Paige, Fare politica. Cronaca della Toscana Rossa, 2002.

Nanni Moretti, La cosa, 1990.

Daniele Luchetti, Domani accadrà, 1988.

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