Quadriennale d'Arte: una mostra FANTASTICA
Cinque curatori raccontano l’arte italiana degli ultimi venticinque anni con una mostra Fantastica ideata dal critico d’arte Luca Beatrice (18ª Quadriennale d’Arte, Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al 18 gennaio 2026). Nominato Presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma il 7 febbraio 2024, il critico è scomparso un anno dopo a causa di un infarto, lasciando al nuovo presidente Andrea Lombardinilo e al Consiglio di Amministrazione il compito di portare a termine il progetto espositivo. Nel primo appuntamento con la stampa (18 novembre 2024) Beatrice ebbe modo di chiarire in che senso sia da intendere l’aggettivo usato per il titolo della mostra, che è al contempo anche un imperativo: «Fantastica è un termine italiano, femminile, è un aggettivo ma è anche un verbo, sicuramente iperbolico, perché è un invito a riscoprire la potenza del simbolico e la forza dell’immaginazione, che è soprattutto dentro di noi». I termini ‘fantasia’ e ‘immaginazione’ sono spesso usati come sinonimi, nonostante la fantasia sia una facoltà diversa dall’immaginazione. La prima ha un rapporto con l’inconscio, la seconda con l’esperienza cognitiva. Dobbiamo obbedire all’imperativo ‘fantastica’ o cedere alla «forza dell’immaginazione»?
Paul Klee ha sempre distinto l’immaginazione dalla fantasia. In un colloquio con Lothar Schreyer, suo collega al Bahuaus, l’artista tedesco con cittadinanza svizzera afferma che «la fantasia è in effetti il più grande pericolo […] è la fatale strada sbagliata dei cosiddetti artisti, via d’uscita per tutti quelli che sono privi di realtà spirituale e consapevolmente o inconsapevolmente ne danno illusione» (F. Klee, Vita e opere di Paul Klee, Einaudi, Torino 1971, p. 161). Dopo avere espresso questa considerazione parla del mondo intermedio che non tutti gli uomini possono penetrare con uno sguardo. Si suppone sia il mondo immaginale «in cui può esistere la totalità delle forme e delle immagini» (Giuseppe Di Napoli, I principi della forma, Einaudi, Torino, 2011, p. 184). Dunque a quale imperativo dobbiamo obbedire: Fantastica o Immagina?
L’arte contemporanea esposta alla 18ª Quadriennale d’Arte segue la strada ‘fatale’ indicata da Klee? Percorre vie diverse, come suggeriscono le cinque proposte curatoriali.
All’approccio tematico dei curatori Massimo Barbero, Emanuela Mazzonis di Pralafera e Alessandra Troncone, Francesco Bonami e Francesco Stocchi oppongono un approccio non tematico, il primo enfatizzando l’autonomia e l’indipendenza dell’artista (sezione Memoria piena. Una stanza solo per sé), il secondo immaginando e sviluppando il progetto espositivo attraverso un confronto con gli artisti (sezione Senza titolo).
L’eterogeneità delle opere e delle sezioni in cui sono raccolte invita il visitatore a «trovare connessioni, reali o immaginarie, fra i vari artisti, o magari non trovarne alcuna», come suggerisce Bonami per la sezione da lui curata. L’allestimento progettato dallo studio BRH+/ Barbara Brondi e Marco Rainò accentua il disorientamento, forzando il visitatore a cercare da sé relazioni tra le opere esposte. È il segno di un presente variegato e frammentato, se non pulviscolare, di cui l’arte contemporanea è una significativa espressione. L’allestimento suggerisce la complessità, o forse dovremmo dire la complicatezza di un sistema che nasconde tra le sue pieghe, come suggerisce l’etimo di ‘complico’ (piegare, avvolgere). Percorrendo questi spazi si ha infatti l’impressione della piega, del risvolto che mette in discussione la narrazione curatoriale, intesa come percorso lineare e finalizzato.
A questa complessità, o complicazione, Luca Beatrice aveva pensato sin dall’inizio, consapevole che un ritratto della scena contemporanea dell’arte italiana non poteva essere ridotto a una narrazione lineare. La sua attenzione per la pluralità si riflette nelle linee guida del progetto espositivo, al quale partecipano artisti provenienti da tutto il territorio italiano, anche dalle aree più periferiche e marginali. Autori italiani, ma anche stranieri che operano in Italia e Italiani che vivono in altri Paesi. Fantastica è una mostra plurale e ‘complicata’ da esplorare con attenzione.
Il visitatore deve fare affidamento al modo in cui il suo sguardo interroga le opere e lo spazio espositivo da loro abitato, al quale la sezione curata da Stocchi dà particolare rilievo. Fantastica è una mostra frammentaria da raccontare in modo rapsodico, come qui si tenterà di fare.
La sezione Senza titolo curata da Stocchi è annunciata sin dalla biglietteria dai colpi violenti di una benna mordente azionata da un sistema idraulico. È l’installazione Hunger (2002) di Arcangelo Sassolino, che artiglia in modo sincopato il pavimento minacciando l’opera Welcome (2025) di Luca Bertolo, un’ironica interpretazione delle decorazioni musive romane. Mentre l’artiglio di Sassolino segna acusticamente lo spazio con formidabili percussioni, il campo elettromagnetico dell’opera The Shadow Sector (2023) di Micol Assaël porta l’attenzione sul mondo invisibile in cui siamo immersi.
È un mondo che l’arte e la scienza esplorano anche sul piano biologico. Nella sezione Il corpo incompiuto, curata da Alessandra Troncone, l’artista Emilio Vavarella presenta il progetto Lifeweave (2025) con uno «showroom di concetto». Un video mostra le diverse fasi di produzione di un’opera personalizzata sulla base del proprio DNA: un prodotto tessile di cui sono esposti dei prototipi, appunto come in uno showroom. Il progetto, che nasce nel corso di una residenza dell’artista presso il Broad Institute of Harvard and MIT, consiste nella messa in produzione di un arazzo la cui trama è basata sul codice genetico del committente. L’arazzo può essere acquistato tramite il sito di Lifeweave: il cliente riceve un kit per la raccolta della saliva da inviare ai laboratori del Broad Institute, dove la genotipizzazione dell’intero codice genetico viene convertita in un intreccio tessile, che il committente riceverà a domicilio. Il ‘ritratto’ genotipico può essere ordinato al costo di 1.500 dollari.
A questi ritratti biotecnologici fanno eco gli autoritratti esposti nella sezione La mia immagine è ciò da cui mi faccio rappresentare: l’autoritratto. Il cibo, i gatti, la palestra, me stesso, i viaggi e ammennicoli vari, curata da Luca Barbero. All’ingresso della sezione il visitatore è accolto da un’opera di Roberta Orio, un dittico fotografico composto da due riproduzioni della carta montata su tela Io Sono un Santo (1958) di Lucio Fontana. Su una parete è esposta una riproduzione fotografica del recto della carta su tela e sul lato opposto una riproduzione del suo verso con la scritta ‘Io Sono una Carogna’. Nel 2021 l’opera di Fontana è stata esposta nella mostra Stop Painting, curata da Peter Fischli presso la Fondazione Prada a Venezia, come se fosse una scultura a tutto tondo. Il dittico fotografico di Orio dialoga quindi non solo con l’opera di Fontana, ma anche con la sua versione scultorea proposta da Fischli.
Alle immagini che circolano in rete come chiacchiera visuale e alla fotografia che sconfina per interagire con altri linguaggi e processi è dedicata la sezione Il tempo delle immagini, curata da Emanuela Mazzonis di Pralafera. La curatrice ha selezionato undici artisti che ibridano la fotografia con altri medium. Jacopo Benassi intreccia fotografia, installazione, scultura, pittura, performance mettendo in discussione gli schemi della messa in esposizione dell’arte contemporanea. Eleonora Agostoni incrocia fotografia, performance e immagini in movimento per un racconto visivo sul rapporto tra familiare ed estraneo, tema che attraversa l’antropologia moderna interessando l’arte e la letteratura. Irene Fenara interroga i limiti funzionali dei sistemi di sorveglianza valorizzando il loro potenziale estetico.
Sono opere che possono lasciare perplesso il visitatore ignaro dei modi in cui gli artisti operano intersecando codici, linguaggi e processi anche algoritmici. Teresa Giannico utilizza immagini amatoriali prelevate da Internet e le rielabora richiamando la storia della pittura. Scorrendo la sequenza dei contenuti trovati nei social, nelle testate giornalistiche e nei cataloghi commerciali, l’artista è attratta da alcune immagini che salva in un archivio. Successivamente ne preleva alcune è le ‘dà in pasto’ a diversi motori di ricerca visiva, allo scopo di rintracciare affinità iconologiche, richiami di forma e genealogie visuali. I ritratti della serie Dealing with Daily Photographs (2025) sono stati realizzati sovrapponendo all’immagine fotografica di partenza interventi grafici e pittorici, che poi fotografa nuovamente allo scopo di ottenere un solo file evocando la fotografia di partenza. A fine lavorazione aggiunge sui volti i tag dell’algoritmo, rendendo visibile il processo che l’ha guidata nella scelta dei soggetti e dei contenuti che probabilmente attireranno la sua attenzione in seguito, rivelando i limiti della libertà di scelta. La filigrana elettronica che Giannico inserisce nelle sue opere porta l’attenzione sul rapporto che l'immagine intrattiene con i codici alfanumerici che la ‘raccontano’ in una cultura algoritmica dove lo scorrere dei contenuti organizzati in una sequenza e il carattere performativo dell’immagine, usata come strumento d’interazione nella comunicazione social, conferiscono all’immagine una immediatezza e una volatilità analoghe a quelle del linguaggio (Luca Malvasi, “Social”, in Barbara Grespi e Federica Villa [a cura di], Il postfotografico. Dal selfie alla fotogrammetria digitale, Einaudi, Torino, 2024). Oltre a porre il problema dello statuto ontologico dell’immagine nella cultura algoritmica, Giannico segnala l’invasività della chiacchiera visuale.
Il rapporto che l’immagine intrattiene con il testo affiora a tratti dal progetto espositivo: la scritta ‘Vedovamazzei non ci fai paura abbiamo il colpo in canna senza sicura’ immersa nell’acqua della boule à neige, che ironicamente conserva l’eredità politica e culturale di un periodo storico (Vedovamazzei non ci fai paura, 1994), la scritta al neon che tratteggia la parola HELL evocando la caduta della pioggia (Rain, 2024), le due frasi scritte da Fontana sulla carta intelata… È un rapporto che trova il suo emblema nel logotipo della manifestazione progettato da Leonardo Sonnoli: una rielaborazione della lettera F disegnata dall’editore-libraio, calligrafo e disegnatore Geffroy Tory, autore di un bizzarro trattato di estetica, che mette in rapporto le lettere dell'alfabeto con le proporzioni del corpo umano, disegnando anche una varietà di caratteri tipografici, tra i quali le LETTRES FANTASTIQUES (Champ-fleury, Parigi, 1529).
Scrittura, pittura, video, performance, testo e fotografia dialogano tra loro, talvolta anche con l’architettura, come in La vita e la morte mi stanno consumando - Ora blu (2025) di Giovanni Ozzola. L’opera, posta all’ingresso della sezione Il tempo delle immagini, si ispira all'Annunciazione dipinta da Beato Angelico nella cella numero tre del convento di San Marco a Firenze. L’Ora blu ha la misura della cella e la forma del soffitto a volte dipinto nell’affresco. Su queste volte l’artista ha trasferito l’immagine fotografica di un cielo stellato osservato dal Teide (Tenerife), dove si trova l’Osservatorio con il telescopio IAC-80. Mettendo così in relazione due luoghi: Firenze, dove è nato e le Canarie dove vive. L’opera è una sintesi tra l’architettura della cella e quella dipinta, che prende forma nello spazio come scultura. Una scultura ‘fotografica’ dove il soffitto diventa il cielo studiato all’astronomia. Un’opera che esplora il rapporto tra il visibile e l’invisibile: «Beato Angelico dipinge solo l’essenziale per mostrare l’invisibile attraverso dei dettagli, come gli scalini che ti portano ad un punto, ma solo fino a lì. Oltre, non c'è altro che il soggetto, ovvero l’invisibile concepimento. L’opera si situa in un luogo oltre il visibile: è una visione che scaturisce da uno scarto tra la realtà materiale e il soggetto immateriale dell’opera» racconta Ozzola. Le sue opere danno forma alla paradossale abitabilità dell’inabitabile, al bisogno di abitare l’altrove che è qui. Luoghi in/abitabili costruiti sui confini che separano linguaggi e saperi diversi.
Questa rapsodica ricognizione della mostra segue un interesse personale per i confini che rovinano e gli smottamenti, per i transiti da un linguaggio all’altro (come si diceva, ogni visitatore è invitato a interrogare a modo suo le opere e lo spazio espositivo). Per questa ragione mi attraggono i disegni a grafite di Roberto Cattivelli esposti nella sezione Memoria piena. Una stanza solo per sé. I disegni evocano la fotografia in bianco e nero contrastata. Sono immagini di un iperrealismo astratto o metafisico affascinante. Ai disegni di Cattivelli rispondono le matite colorate, i pastelli e gli acquarelli di Chiara Enzo, immagini che evocano un’intimità frammentata, quanto la stessa sezione espositiva, che dall’atrio si espande occupando spazi ed anfratti. In uno di questi è ospitata l’installazione Un tout sans fin (2025) di Friedrich Andreoni, composta da un fonte ottagonale in marmo, una scultura in bronzo (appartenuta a Claudia Cardinale ) che si libra a pelo d’acqua e una registrazione audio dell’attrice ottantaseienne che canta la ballata Sinnò me moro, composta da Carlo Rustichelli per il film Un maledetto imbroglio (1959). La voce roca di Cardinale è quella di una donna anziana che ricorda. L’installazione di Andreoni è un’opera sulla memoria, posta a guardia di una delle rampe che conducono al ballatoio affacciato sull’atrio.
Lungo tutto il ballatoio è allestita la mostra Q:1935. I giovani e i maestri: la Quadriennale del 1935, curata da Walter Guadagnini in collaborazione con l’Archivio Biblioteca della Quadriennale. La mostra è una sintetica ricostruzione della II Quadriennale d’Arte Nazionale, considerata la rassegna di arte italiana negli anni Trenta più importante. Completata da un ricco corredo di documenti e testimonianze, la mostra ha il pregio di presentare al pubblico opere che non si erano più viste da tempo, perché entrate in collezioni private. Dispiace che il rigore scientifico con il quale è stata curata sia turbato da una comunicazione istituzionale del Ministro della Cultura Alessandro Giuli: «L’edizione di quest’anno [Fantastica] cita un’altra edizione storica, quella del 1935, ricordata come la più importate mostra degli anni Trenta, capace di riunire al Palazzo delle Esposizioni centinaia di pittori e scultori di diverse generazioni. Fu definita “la Quadriennale dei giovani”, ma anche “la Quadriennale dei grandi maestri”. Allo stesso modo, oggi, il meglio della produzione artistica è stato reinterpretato dal meglio della curatela artistica. Ecco uno degli elementi da sottolineare all’interno di un sistema, come quello dell’arte o in generale della cultura, in cui spesso si legge una falsa contrapposizione generazionale, che vorrebbe i giovani chiamati ad annullare gli insegnamenti dei maestri». Senza nulla togliere al rigore scientifico della mostra curata da Guadagnini e al valore dei grandi maestri da noi stimati: Arturo Martini, Mario Sironi e tutti gli altri, preoccupa il fatto che, per la compresenza di generazioni diverse, gli ultimi venticinque anni di arte contemporanea in Italia siano considerati una citazione della mostra inaugurata da Benito Mussolini il 4 febbraio 1935. Inoltre se la contrapposizione generazionale è falsa, come sostiene Giuli, cosa ne facciamo delle provocatorie pre-avanguardie, tra le quali le italianissime e irriverenti Indisposizioni di Belle Arti, che aprirono la strada alle sperimentazioni delle avanguardie (Futurismo compreso) con la ripresentazione dell’oggetto comune assunto come opera d’arte: object-trouvé o ready-made ante litteram, con l’interferenza della parola scritta che modifica il significato dell’opera o la sostituisce del tutto, con la proposta di inedite forme di ascolto del rumore in sala, ovvero con tutto ciò che rifluisce nell’arte contemporanea: la benna mordente di Sassolino, la filigrana alfanumerica che ‘racconta’ la provenienza e la destinazione delle immagini nelle opere di Giannico, la voce roca di Claudia Cardinale?
Fantastica. 18ª Quadriennale d’Arte.
In copertina, Alessandro Sciarroni, Know Not To Be – 3, 2025. Performance 20’. Performers Anna Bocchino e Clara Bocchino, sound designer Gabriel Fischer. Fantastica. 18ª Quadriennale d’Arte. Palazzo delle Esposizioni di Roma. Foto: Agostino Osio.