Linda Fregni Nagler. Comandare all'aria

24 Novembre 2025

Anger Pleasure Fear è il titolo della mostra ospitata alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, curata da Cecilia Canziani, la prima retrospettiva in un’istituzione italiana dedicata a Linda Fregni Nagler.
Le tre parole del titolo compaiono incise sul margine di una lastra fotografica appartenente alla collezione dell’artista e presentata in mostra, che ritrae una scimmia seduta su uno sgabello, osservata da tre punti di vista differenti. A un primo sguardo, i termini sembrano riferirsi agli stati emotivi dell’animale, ma il soggetto non manifesta né rabbia, né piacere, né paura. Quelle parole potrebbero allora rimandare non tanto al soggetto dell’immagine, quanto al sentimento stesso del fotografico, ovvero agli stati emotivi che accompagnano chi scatta o a quelli che la fotografia stessa può suscitare. Anger Pleasure Fear può dunque essere letta come un’allusione agli stati primari che definiscono la nostra relazione con le immagini, quelle stesse emozioni che si possono provare anche visitando una mostra.

Riunendo opere realizzate nell’arco di oltre vent’anni, l’esposizione restituisce la coerenza e la profondità di una ricerca che interroga instancabilmente il funzionamento dell’immagine fotografica, mettendone in luce la duplice natura di rappresentazione e interpretazione del reale, la compresenza di verità e inganno.
Alla base di questa indagine si trova l’ampio archivio che Fregni Nagler costruisce e trasforma nel tempo: un insieme di fotografie raccolte, cercate o trovate, che l’artista rimaneggia e ricontestualizza con una modalità che mette in discussione l’idea stessa di autorialità fotografica. L’attenzione si sposta infatti dall’atto dello scatto alla selezione, manipolazione e riattivazione di oggetti fotografici preesistenti, rivelando una fotografia che si fa, prima di tutto, esercizio critico.

Come si sa, ogni immagine, nella sua apparente neutralità, porta con sé una quota di ambiguità: ciò che mostra è sempre anche ciò che, inevitabilmente, esclude. Per sua natura, essa vive dunque in uno stato di sospensione, custodendo una promessa latente, una potenzialità di svelare altro, che si realizza solo attraverso nuovi sguardi e nuovi contesti.
Su questa promessa si fonda il lavoro di Fregni Nagler, che indaga le molteplici forme e significati che l’immagine può assumere, mutando a seconda del punto di vista da cui viene osservata. La mostra diventa così un inno alla natura enigmatica e mutevole della fotografia, al desiderio inappagato di fissare ciò che si vede, nella consapevolezza dell’intrinseca parzialità di ogni sguardo.

Tutto il percorso espositivo è attraversato da un’atmosfera sospesa che, se da una parte rimanda al modo stesso in cui Fregni Nagler intende la fotografia, dall’altra è espressione di una leggerezza inquieta che sembra abitare le sue opere. La mostra è infatti popolata da molte figure ritratte trattenute nell’aria, immerse nell’ambiguità di una caduta, tra immobilità e movimento, restituendo l’esperienza di un tempo intermedio, di un corpo che oscilla tra la possibilità di cadere e quella di restare in aria. Insomma tra la vita e la morte. 

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Linda Fregni Nagler, A Moment of Suspense, 2014, Dalla serie Pour commander à lair, 2014
Stampa alla gelatina ai sali d’argento su carta baritata opaca, virata al selenio / gelatin silver print on matt baryta paper, selenium toner
115.8 x 132.1 cm, Courtesy dell’artista.

È in particolare il gruppo di opere Pour commander à lair ad affrontare in modo esemplare il tema della sospensione e dell’impossibilità di fissare il tempo. Partendo da una frase di Nadar — “être plus fort, plus lourd que lair, pour commander à lair” — Fregni Nagler estrapola e ingrandisce fotografie di cronaca raffiguranti corpi in caduta, restituendole come immagini prive di coordinate narrative, che proprio per questo appaiono ambigue e disorientanti. 

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Linda Fregni NaglerTrying to Die, 2014, Dalla serie Pour commander à lair, 2014Stampa alla gelatina ai sali d’argento / Gelatin silver print 167,6 x 124 cm, Courtesy dell’artista.

In esse, il corpo sospeso tra cielo e suolo sembra esistere in una dimensione senza inizio né fine, in un tempo dilatato in cui, invece di precipitare, fluttua. In questa inversione percettiva la fotografia smette di essere mera registrazione dell’evento e diventa un’esperienza diversa del tempo e del reale, restituendo allo sguardo la possibilità di sostare in un intervallo. Solo lì, in quella sospensione, le figure possono apparire eteree, liberate per un istante dalla gravità del corpo. 

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Linda Fregni Nagler, Deardevil, 2014, Dalla serie / from the series Pour commander à lair, 2014, Stampa ai sali d’argento su carta baritata / Gelatin silver print on baryta paper, 114,5 x 165,4 cm, Courtesy collezione privata / private collection, Piacenza.

L’artista interroga così la celebre nozione di “momento decisivo” elaborata da CartierBresson, chiedendosi cosa resti di fotografico prima e dopo quell’attimo privilegiato. Da questa riflessione si sviluppa un ulteriore scarto: dal piano bidimensionale dell’immagine fotografica passa alla tridimensionalità della scultura. Ad ampliare la riflessione sulla dimensione spaziale sono infatti alcune macchine che accompagnano il ciclo — riproduzioni delle eliche aerostatiche fotografate da Nadar nel XIX secolo — che restituiscono a livello installativo il principio dell’equilibrio instabile. Sono macchine composte da eliche, elementi che alludono al movimento ma restano immobili: oggetti impossibili, strumenti per un volo che non avviene mai. 

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Linda Fregni Nagler, Untitled (Propeller 1), 2014, Dalla serie / From the series Pour commander à lair, 2014, Acciaio e carta di riso, tela dipinta / Steel and rice, paper, painted canvas, 147 x 120 cm / 300 x 253 cm (sfondo / backdrop), Courtesy l’artista / the artist.

La questione della visione e dei suoi limiti è centrale anche nella serie News from Wonderland (2023), in cui l’artista utilizza specchi concavi per rifotografare immagini tratte da periodici statunitensi del Novecento, spesso dedicate alla relazione tra esseri umani e animali. Il processo di rifotografia deforma le figure, altera proporzioni e punti di fuga, facendo perdere all’immagine i riferimenti spaziali che ne determinavano la leggibilità. Fregni Nagler riflette così sul rapporto tra occhio umano e obiettivo fotografico, evidenziando come la visione non sia mai coincidente con la realtà, ma frutto di una mediazione tecnica e culturale. Attraverso la deformazione, l’immagine si rivela per la propria natura di costruzione. 

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Linda Fregni Nagler, Untitled (Pigeon) #1, 2023, Dalla serie / From the series News from Wonderland, 2023, Stampa ai sali d’argento / Gelatin silver print, 100 x 150 cm, Courtesy collezione privata / private collection, Milano.

Una riflessione analoga si ritrova nella serie Vater, dedicata al Mensur, il duello rituale delle confraternite studentesche tedesche. Qui la fotografia diventa un modo per affrontare la relazione tra identità, rappresentazione e mascheramento. I volti coperti da maschere e i segni delle ferite restituiscono una dimensione performativa della violenza, ma anche un esercizio di controllo del corpo e dello sguardo.

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Linda Fregni Nagler, Vater (LFN_026), 2025, Stampa alla gelatina ai sali d’argento / Gelatin silver print, 8 x 6 cm, Courtesy dell’artista.

Fregni Nagler osserva il Mensur come un rituale di visibilità regolata: il volto, luogo dell’identità, è contemporaneamente protetto e rivelato, come accade anche alle madri nascoste nelle fotografie ottocentesche protagoniste di The Hidden Mother, l’installazione composta da 997 dagherrotipi, carte de visite e tintype, che raffigurano bambini accompagnati da madri celate sotto drappi o veli, presenze invisibili che sorreggono il visibile. Anche in questo caso, l’immagine è il risultato di un equilibrio tra la possibilità di apparire e il celarsi, svelando l’artificio che regge la costruzione della scena: il soggetto sembra essere solo il bambino, ma l’artista restituisce visibilità alle madri celate, presenze silenziose e necessarie, che rendono possibile l’esistenza stessa dell’immagine.

Tutto il lavoro di Linda Fregni Nagler indaga la natura più profonda della fotografia: le sue opere sembrano suggerire che fotografare non significhi mai possedere, ma accettare l’intervallo che separa l’occhio dal mondo. Ogni immagine può assumere significati infiniti, trasformarsi e mutare nel tempo, perché, lungi dal restituire il mondo così com’è, lo reinventa continuamente, costringendoci a rinegoziare il nostro stesso modo di vedere. In questa prospettiva, la fotografia diventa per Fregni Nagler una domanda incessante sul vedere, un discorso che si estende anche alla memoria e, per la pervasività di certe immagini, forse anche al nostro modo di immaginare.

Linda Fregni Nagler, Anger Pleasure Fear ,
GAM, Torino, fino al 1° marzo 2026
Catalogo a cura di Cecilia Canziani, ed. Quodlibet.
 

In copertina, Linda Fregni Nagler, #0063, Dalla serie The Hidden Mother, 2006–13, Stampa all’albumina montata su cartoncino da 997 tintypes, dagherrotipi e stampe all’albumina / Albumen print on cardboard from 997 original tintypes, daguerreotypes and albumen prints, 16,5 x 10,8 cm, Courtesy dell’artista.

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