Woody Allen e la ipocondria

22 Gennaio 2013

Summing up, there are two distinct groups, hypochondriacs and alarmists. Both suffer in their own ways, and traits of one group may overlap the other, but whether you’re a hypochondriac or an alarmist, at this point in time, either is probably better than being a Republican.

 

Alla fin fine ci sono due gruppi distinti: gli ipocondriaci e gli allarmisti. Entrambi soffrono a modo loro. I tratti degli uni si possono sovrapporre ai tratti degli altri, tuttavia che siate ipocondriaci o allarmisti, di questi tempi, è sempre meglio che essere repubblicani (Woody Allen, trad. mia).

 

Esilarante articolo sul New York Times di domenica 12 gennaio. L’autore è Woody Allen, ovvero Allan Stewart Königsberg (New York, 1935), uno degli uomini più noti al mondo, per nascita (New York), merito e arte. In questo breve articolo, come in un taglio, c’è tutta la sua vita pubblica e privata. In chiave clinica si tratta della diagnosi differenziale tra allarmismo – che non è una patologia, ma un’attitudine – e ipocondria. In realtà nella storia della psicodiagnosi e nell’articolo di Woody Allen ci sono due patologie distinte: isteria e ipocondria. L’isteria consiste, il più delle volte, nell’accusare sintomi fisici, anche gravi, senza alcuna origine organica.

 

La malattia del personaggio che fa la parte di Val Waxman in Hollywood Ending – film di Woody Allen – è paradigmatica di un caso d’isteria. Nel film un noto regista hollywoodiano – che porta il nome immaginario di Val Waxman – repentinamente si ammala di cecità isterica. Poiché ha firmato un contratto per un film decide di celare la propria cecità ai produttori, alla troupe, ai collaboratori. Le riprese saranno un disastro annunciato e il film un fiasco. Negli USA. Tuttavia, in un happy ending, il disastroso film avrà enorme successo in un paese così bizzarro, per gli statunitensi, come la Francia e il regista, repentinamente guarito, si trasferirà laggiù, accolto come uno dei massimi geni del cinema.

 

Altre volte l’isteria si presenta nei termini di un trasformismo da assimilazione rapida ad un ambiente, come capita a Zelig, titolo del film e nome del protagonista. Zelig, il trasformista, finirà in ambiente psichiatrico, dove ben presto sarà scambiato per un competente collega che – tra le altre battute – farà una dichiarazione assolutamente condivisibile: “La divergenza tra me e Freud sta nel fatto che lui crede che l’invidia del pene sia caratteristica delle sole donne”. Nel film una nota psichiatra s’innamorerà di lui curandolo presso casa sua ma Zelig sparirà per riapparire a Berlino, sul palco con Hitler, durante un’adunata nazista – citazione dal Grande dittatore di Chaplin e da Leni Riefenstahl. Sarà salvato dalla sua psichiatra (Mia Farrow), perdutamente innamorata del personaggio.

 

Il personaggio isterico ha spesso successo al di fuori dell’ambito in cui vive, nemo profeta in patria. Così nel bene – Val Waxman diventa famoso in Francia – come nel male – Zelig fa carriera tra i nazisti – molti personaggi di Woody Allen cercano l’altro dentro un paradosso, lo vogliono per congelarlo in un sistema paradossale. Non così il quarantatreenne Isaac Davis di Manhattan, che dopo alcune peripezie, ritorna a incontrare la diciassettenne Tracy, di cui è davvero innamorato.

 

I sintomi isterici si sovrappongono parzialmente all’ipocondria, ma ciò che è del tutto assente nell’isterico è l’allarmismo riguardo ai propri sintomi. L’allarmismo, fortemente presente nell’isteria, riguarda di solito eventi o episodi di poco conto: la presenza di un ragnetto sulle tende, il passaggio di un topolino in salotto. I propri sintomi, che spesso appaiono gravi, sono avvolti in quel che Charcot definì belle indifférence, la bell’indifferenza. Tanta l’indifferenza dell’isteria sui propri sintomi che alla fine la diagnosi differenziale fu resa vana e oggi scompare dal manuale psicodiagnostico, con gravi danni per gli isterici che – quando si mimetizzano nei sintomi deliranti – vengono farmacologizzati con neurolettici assai dannosi e catatonizzanti.

 

Tant’è. La guarigione dall’isteria è stata pratica chirurgica – dalla clitoridectomia di Isaac Baker Brown (1811-1873) alla lobotomia di Walter Freeman (1895-1972) – oppure reclusione, come nel caso Magdalene la cui nefandezza ispirò Joni Mitchell e Peter Mullan.

 

 

 

L’ipocondria invece, tratto prevalentemente maschile, è stata più tollerata. Si tratta, come avviene spesso nelle famiglie statunitensi over cinquanta, di avere in casa l’aspirinetta, da prendere tutti i giorni, di non usare mai il sale e lo zucchero, di fare una corsettina quotidiana che ormai – per il bene del paese – sono costretti a fare anche i presidenti, di alimentarsi in modo dietetico; tutto in modo rituale e spasmodico. Se non supera una certa soglia di allarmismo, si tratta del regime di vita normale in molte famiglie occidentali più o meno americanizzate. L’allarmismo compulsivo di Woody Allen è però tollerabile – dato il personaggio – anche perché ironico. Altrimenti rientrerebbe nel delirio somatico, considerato dagli psichiatri sintomo psicotico.

 

Ci sono due tipi di ipocondriaci: quelli che vanno spesso dal medico e quelli che non ci vanno mai. Questi ultimi sono terrorizzati dalla possibilità che il medico riscontri davvero sintomi di una malattia grave, perciò ne stanno lontani. Woody Allen appartiene alla prima categoria, e – qualora il paragone reggesse – io alla seconda. In entrambi i casi potremmo dire che tutti noi siamo un po’ ipocondriaci.

 

L’ironia dell’ipocondriaco – che alterna momenti di sconforto per l’ipotesi di una malattia grave e momenti di autoironia woodyalleniana – è vicina alla satira, così come la definisce Northtrop Frye (1912-1991) in Anatomia della critica: una forma narrativa simile al rigor mortis. Come nel caso del Testamento di Georges Brassens o in quello di Fabrizio De André. D’altra parte il problema dell’ipocondriaco ironico, in fondo, è quello della danza macabra interiore: fare girotondi intorno alla morte, pensare continuamente a come, quando, dove si vorrebbe morire, ma come se si trattasse di un altro.

 

 

 

Nel 1942 fu inventato un Inventory – che in questo caso tradurrei con questionario – sulla personalità chiamato Minnesota Multiphasic Personality Inventory, meglio noto come MMPI. Il suo inventore – lo psicologo Starke Hathaway (1903-1984) – nel 1972 scrisse un saggio intitolato: Where have we gone wrongDove abbiamo sbagliato – che criticava radicalmente il test psicologico che lui stesso aveva inventato. Era troppo tardi, l’MMPI aveva già da anni un copyright e lo stesso Hathaway, da quel che immagino, godeva delle ingenti royalties tratte dalla vendita del test in tutto il mondo occidentale. Quando anni fa mi fu insegnato questo test usai me stesso come cavia rispondendo sinceramente (vero/falso) agli oltre 500 item di auto somministrazione. Il test mostrò che la linea del cut off – che separa i tratti normali da quelli patologici – era superata su due voci: isteria e ipocondria. Che sia questa la ragione per cui trovo Woody Allen così rassicurante?

 

Una cosa è certa, meglio isterici e ipocondriaci che repubblicani e puritani. La nostra incertezza sull’essere in stato di grazia non ci consente di considerare i folli, i disabili, i malati come persone che il mercato non può contemplare.

 

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