Caterina Bonvicini. Tutte le donne di… / Sesso e fallimento

19 Giugno 2016

Tutte le donne di Vittorio lo aspettano la vigilia di Natale, sedute intorno al risotto con i porri e al branzino con le patate al forno. Ci sono la moglie, l'ex moglie, le due figlie, la madre, la sorella e l'amante. Lui non c'è. Dà forfait. Avvisa giusto la figlia più giovane con un sms e lascia tutte appese a quell'abbandono, a fare i conti con la sua ingombrante assenza.

La scomparsa, la fuga, la perdita di un uomo è il movente per raccontare le sue donne, “le donne di”, e quella preposizione che esige appartenenza e proprietà è il pretesto per tenere insieme tutte quelle declinazioni del femminile, senza lasciarle sbriciolare ognuna nelle sua personale confessione di fragilità («ci sembrava di essere una cosa o un'altra per colpa o per merito suo. Ora siamo quello che siamo, senza scuse»).

Quel genitivo garantisce specificazione e relazione, così le donne di Vittorio possono raccontarsi a partire dal vincolo che le lega a lui e ai rapporti che si formano tra loro in sua assenza.

 

L'ultimo romanzo di Caterina Bonvicini mette a punto un particolare gioco prospettico in cui –  attraverso l'uso mirato della differenziazione stilistica di forme, timbri, registri e punti di vista – sette donne spiegano come la costruzione e la conservazione della propria identità non possa che farsi dialettica.

Per addomesticare il groviglio di incertezze, desideri e paure, o ancora meglio, per ancorarsi e prosperare in una precisa cornice sociale, bisogna passare attraverso l'altro e possibilmente riceverne l'approvazione (la sedicenne dai compagni di scuola, lo scrittore dal suo pubblico, i figli dai genitori, le mogli dagli amanti, le amanti dai mariti e a seguire).

 

Mai come nei salotti, nelle case editrici, nelle università e nelle case di vacanza dell'alta borghesia milanese conta la gerarchia delle preposizioni, contano i gradi di appartenenza, ma alla tentazione di autodefinirsi in base alla quantità e alla qualità dell'amore e dell'attenzione che ci è concessa, fa da controcanto l'urgenza di riconoscersi dall'interno, di ascoltare, magari con sgomento, la propria autentica voce.

E se ci si abbandona portando il gioco alle estreme conseguenze, si può rimanere imbambolati di fronte alla targhetta di un citofono con un nome e un cognome che corrispondono alla propria identità anagrafica, ma non hanno nulla di familiare, né di riconoscibile, non rivelano nulla della paralisi di chi la osserva.

 

Per la maggior parte del romanzo la forza di attrazione generata dall'uomo scomparso fa gravitare le sue sette donne intorno al posto lasciato sfitto: Vittorio è un centro vuoto e quasi fino alla fine del libro la dimensione maschile è deliberatamente trattata come fantasmatico simulacro, della stessa consistenza delle parole femminili che lo evocano.

In sua assenza le donne possono riconoscersi, condividere spazi e confessioni, stabilire legami di reciproca comprensione e solidarietà, auto-realizzarsi addirittura, o per lo meno capire dove risiedono le più gravi mancanze.

 

Circola nel romanzo l'idea che l'incontro tra sessi opposti non possa che risolversi in un fallimento (tradimento, disattenzione, prevaricazione, dipendenza, abbandono…) e che la comunicazione tra uomo e donna non possa che ingolfarsi in un'aporia. Quasi che il femminile e il maschile riescano a vivere e ad esprimersi veramente solo in assenza dell'altro e a contatto con il genere più simile.

Così le donne si svelano incontrandosi: Ada e Cristina, Giulia e Paoletta, Camilla e la madre, Francesca e Frida; grazie alle donne sgravano i tormenti, guariscono le offese.

E così, quando torna l'uomo, svaniscono tutte le sue donne, si spengono ad una ad una le loro voci, le loro parole, l'ansia del raccontarsi, del ricostruire con la parola la storia delle loro ferite. 

Come fantasmi a loro volta, anch'esse ingombranti nella loro distanza, sfumano per lasciare spazio alla linearità dell'universo maschile, miraggio accogliente per l'uomo frastornato e annichilito dalle  parole di donna.

 

 

Caterina Bonvicini, Tutte le donne di, Garzanti, 2016.

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