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Arthur Schnitzler: quando Berta pensava

15 Maggio 2025

«La Vienna di Arthur Schnitzler è quella di Sigmund Freud». Così l’incipit della preziosa postfazione di Vittorio Lingiardi alla novella Frau Berta Garlan, Signora Berta Garlan, di Arthur Schnitzler, pubblicata nel 1901, pochi mesi dopo Il sottotenente Gustl del Natale 1900, tutto costruito (per la prima volta nella letteratura tedesca) sul monologo interiore, mentre il racconto delle vicissitudini sentimentali della Signora Garlan torna al ductus narrativo tradizionale, ma la novità è sempre: Vienna, la Vienna che è anche quella di Freud. La città è ancora una volta la protagonista del racconto. Lingiardi osserva che il nome di Vienna ricorre nella novella più di cento volte, quale languido suono del desiderio. L’altra protagonista, Berta, è invece confinata in una cittadina monotonamente provinciale; in realtà lei è viennese, anzi da ragazza aveva perfino studiato musica al Conservatorio attingendo così la più intima e sublime prova dell’identità viennese. Per lei gli anni della prima giovinezza erano stati quelli dei ricordi più intensi, più trasognati, spezzati dalla durezza della vita: l’abbandono del Conservatorio e del primo, indimenticato amore. Seguono le ristrettezze economiche in famiglia, un matrimonio di convenienza con un uomo dignitoso, ma non amato, la morte dei genitori, il trasferimento nella ‘profonda’ provincia austriaca, spenta, asfissiante, pettegola, senza lo scintillio della capitale, forse effimero, ma pur sempre luminoso. 

Una vita coniugale breve, allietata dalla nascita di un bambino. La scena iniziale è al cimitero, alla tomba del marito, il brav’uomo così prematuramente scomparso, lasciando Berta sola, senza prospettive e con seri problemi economici, dipendente da lezioni di musica. La musica è la vera patria, quella dell’evasione, dei sogni giovanili e del primo amore per Emil Lindbach, che – come Berta apprende dal giornale – è diventato un famoso violinista, una autentica celebrità. E lei sogna e sogna di rivederlo a Vienna e prende coraggio e torna a Vienna e ancora con maggior coraggio gli scrive. Lui risponde: un appuntamento alla stanza dei fiamminghi al Kunsthistorisches Museum. Il primo incontro dopo anni è pura felicità per lei; in realtà lui dopo un’ora se ne va per un impegno. Ci si vedrà la sera. Un po’ delusa, un po’ spaventata Berta si riappropria della città passeggiando per il Volksgarten, la Votivkirche, Karlsplatz, Stefansplatz, il duomo. E intanto sogna, Berta, sogna una nuova vita d’amore. A sera l’incontro, cena in un ristorante con quei famosi séparés – resi celebri proprio dal teatro di Schnitzler. Poi in un appartamento ad ore. E lei è nella dolce ebrezza dell’amore generoso, incondizionato. All’una in carrozza, lui si appoggia ancora a lei, mentre la riaccompagna in albergo. Appuntamento per il giorno dopo. Ma non ci sarà altro per Berta, che alla fine comprende. Torna nell’anonima cittadina, all’anonima esistenza quotidiana. Potrebbe diventare una tragedia – e una tragedia avviene alla sua amica Anna, che non regge alla delusione della vita – ma lei s’inventa altro e qui è la novità straordinaria come annota Lingiardi: «La ‘sconfitta’ di Berta diventa l’occasione per realizzare una scelta personale. Berta inizia a pensare». 

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Opera di Gustav Klimt.

Un suicidio sarebbe un finale drammatico e scontato, comunque non per Berta; lo sarà per Fräulein Else nella novella omonima del 1924, pervasa da un pathos straziante. La storia di Berta, pur malinconica, segna il cambiamento, anzi apre un’altra prospettiva, fa avanzare impercettibilmente il discorso ‘psicoanalitico’, ancora implicito, che si approfondisce con lettere importanti e rare tra Freud e Schnitzler, a partire da quella dello scrittore, il 6 maggio 1906 per il cinquantesimo compleanno di Freud. Un epistolario che per la prima volta mette a confronto una prospettiva artistica, letteraria, poetica con lo scavo dello scienziato. Freud a sorpresa – e generosamente – per il sessantesimo compleanno di Schnitzler, il 14 maggio 1922, gli comunica quanto aveva imparato dalla sua opera, confessandogli il «timore del sosia», che gli avrebbe impedito di frequentare assiduamente lo scrittore. Considerazioni decisive per comprendere l’unità culturale e mentale di quella Vienna che in tre lustri sarebbe scomparsa, calpestata, con violenza e brutalità, segnando l’apocalittica fine della “Felix Austria”, che non era già più felice, ma pur sempre vivace intellettualmente e artisticamente.

La ‘rivoluzione’, silenziosa, privata, di Berta è quella di una donna che con dignità respinge, con dolore, ma anche con composta fierezza, l’offerta indecente del celebre violinista che le propone di incontrarsi a Vienna ogni tanto, ogni quattro o sei settimane, caso mai in un alberghetto a ore. A Lindbach l’onore del podio, confermato (con fine ironia) dall’Ordine del Redentore conferitogli dalla Regina di Spagna, a Berta la nobiltà del pensiero, la scoperta del pensiero, vero redentore. A differenza di Freud, Schnitzler si avanza nella comprensione e nella raffigurazione della sensibilità femminile ben al di là delle notorie limitazioni freudiane. Ma non era il solo a Vienna, nel 1901, a sentire qualcosa di nuovo, a percepire l’ingresso della modernità, a presagire la rivoluzione della donna. Klimt, nel suo splendore neobizantino, dipinge in quell’anno una struggente, seduttiva e implacabile Giuditta con in mano la testa del duce babilonese. La donna, al secolo Adele Bloch-Bauer, apparteneva all’alta società viennese, ben diversa dal milieu piccolo-borghese, di Berta, eppure nella sconfitta di Berta germina una vittoria: non arrendersi mai più all’uomo, non accettare il destino di subalternità metafisica e biologica della donna quale ‘maschio castrato’ (così la proposta freudiana, ormai improponibile), con la nostalgia femminile del pene, che per Freud condanna la donna a una condizione insuperabile. Berta ha nostalgia sì, ma di amore, vero amore, quello anche piccolo-borghese di una vicinanza affettuosa mentre la carrozza passa per le note strade dell’amata città imperiale, seppur ancora per pochi anni. E quell’atmosfera della decadenza morale è impersonata dal celebre violista, che con tutti i suoi ordini e onorificenze, è incapace non solo d’amare (capita a molti), ma anche di diventare un personaggio vero, che dialoga con Berta e con la storia, che per lui non diventa mai la loro storia. 

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Berta con l’accettazione della sua esistenza nella piccola città non avrebbe certamente tagliato la testa al suo Emil, ma qualcosa anche per lei non era più ammissibile. Lei accetta l’eros e l’amore, come unità e apertura, così come dieci anni dopo le giovani donne spregiudicate di tenera, sincera eroticità di Egon Schiele. Ma è l’uomo ‘asburgico’ che resta immodificabile: Emil è molto vicino al sottotenente Gustl, suo coetaneo, così come alla ricca serie – artisticamente intrigante – dei personaggi maschili di Schnitzler, vuoti, o comunque egoisti, intenti solo a sé stessi, a cominciare da Felix di Sterben, Morire, del 1894, da Fridolin di Traumnovelle, Doppio sogno (1926) fino al tenente Willi Kasda di Spiel im Morgengrauen, Giochi all’alba del 1927. Schnitzler almeno in un caso – nella sua più splendida novella, il suo capolavoro –, Casanovas Heimkehr, Il ritorno di Casanova, del 1918 (anno fatidico per l’Impero) sa raffigurare un uomo vero, vivo nella sua interezza, nel suo imponente degrado: è come se l’uomo – il maschio – non avesse più né la forza dell’eroe, né l’incanto dell’eros, ma solo la fiacchezza del degenerato. Eppure quanta intensità in questo sfacelo fisico, psichico, morale narrato con una languida teatralità, che connota tutta la scrittura di Schnitzler, al tempo stesso prosatore e drammaturgo. 

La raffigurazione della disfatta del maschio diventa l’estrema testimonianza di una smarrita nobiltà e grandezza; il futuro è nel mite, ma fermo orgoglio, severo e luminoso, di Marcolina, giovane, scienziata, matematica, libera amante, ancorché truffata dal vecchio libertino veneziano cui non resta che un ritorno inglorioso e abietto nella patria, a Venezia, ormai in completa decadenza, evidente metafora dell’altra città sull’orlo del disfacimento. Mentre l’Impero decade, le sue principali città, Vienna, Praga, Trieste conoscono in quegli anni le loro stagioni intellettuali e letterariamente più intense: la loro anima si sperde con il tracollo degli Asburgo, che da dinastia alquanto modesta si trasforma, nei ‘viennesi’, in un mito nostalgico e improvvisamente germinale di opere intramontabili dalla Marcia di Radetzky di Roth al Mondo di ieri di Stefan Zweig fino all’Uomo senza qualità di Musil, ispirate narrazioni che trascendono l’immediatezza storica per sollevarsi a scritture centrali della modernità, che da esse viene interpretata, così come da un’altra prospettiva Freud aveva tentato, nei suoi scritti culturali, di costruire lo statuto della nuova antropologia. Un filo rosso unisce la Traumdeutung, l’Interpretazione dei sogni, pubblicata nel dicembre 1899 (1900 segnato per buon augurio in copertina) con la Traumnovelle del 1926 di Schnitzler: è la scoperta del sogno come attività non più (o non solo) romantica, ma quale sigillo, spettacolo e palcoscenico di sempre più consapevoli figure e dinamiche interiori, laboratorio interno di chiamate e progetti, che tracimano all’esterno e dall’esterno recuperano e modificano l’interno dei personaggi dello scrittore, che imparano a dialogare con la materia onirica, coi sogni e lapsus: è qui l’officina comune di Freud e di Schnitzler. Non era importante frequentarsi, scriversi, li univa l’invenzione della modernità.

Eppure non potevano mai immaginare che in quelle stesse strade si annidava il mostro della modernità, che viveva di altri sogni e miti: in quelle medesime vie e stagioni si aggirava per Vienna, almeno fino al 1913, un giovane spiantato e fanatico, Adolf Hitler, che avrebbe volentieri studiato all’Accademia delle Arti –quella per altro ripudiata dalla Wiener Sezession, dalla Secessione di Klimt. Fu respinto ripetutamente e si trasferì roso dal risentimento e dal livore a Monaco, per tornare come vincitore il 15 marzo del 1938 e mettere in atto la sua vendetta contro Vienna, l’Austria e in definitiva contro la grande cultura tedesca e mitteleuropea, contro tutta la Germania.

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