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Jünger, maestro di se stesso

24 Luglio 2025

Un’opera immane, monumentale, quella che raccoglie tutti gli scritti, romanzi, racconti, saggi, diari, di Ernst Jünger a cura dell’editore Klett-Cotta (prestigioso erede della casa editrice Cotta, celebre per aver pubblicato – e sostenuto anche finanziariamente – Goethe e Schiller). È bene mettere subito le carte in tavola: almeno fino al 1928 Jünger è soprattutto lo scrittore della Rivoluzione Conservatrice, il militante dei Wandervögel, del movimento ‘verde’ giovanile antiborghese, anticapitalista, il lanzichenecco strafottente, l’eroico soldato della battaglia di Verdun per cui gli fu conferita la maggiore onorificenza tedesca: l’Ordine prussiano Pour le mérite. Il giovane era il punto di riferimento della gioventù dei Freikorps, dei ribelli, di coloro che non mollarono di fronte all’onta di Versailles, che umiliò (inutilmente) la Germania, minando già alla nascita la Repubblica di Weimar. Era lui il capo di quei «filibustieri di professione», come li aveva chiamati Walter Benjamin, uno dei pochi che aveva ben compreso la dimensione minacciosa del movimento e l’aura carismatica di Jünger, come ricorda Gabriele Guerra, autorevole studioso benjaminiano, cui si deve la recente monografia Ernst Jünger. Una biografia letteraria e politica per i tipi di Carocci. Il congedo dalla militanza praticata coi compagni nazional-bolscevichi avvenne con un’ultima ‘bravata’: Il 17 ottobre 1930 Thomas Mann tenne un discorso epocale Appello alla ragione in difesa della Repubblica di Weimar nella Sala Beethoven a Berlino. Jünger guidava la fronda dei giovani oppositori (tra cui alcuni nazisti che per odine di Goebbels avevano noleggiato per l’occasione dei frac). In realtà nel 1930 già stava avvenendo per Jünger la grande ritirata nel Reich interiore, l’altro Reich, quello della ‘Germania segreta’, così invocata in quegli anni da Stefan Georg e dai suoi discepoli. 

Ormai le vie si separavano: Jünger non si riconosceva nelle camicie brune delle SA e in quelle nere delle SS malgrado le insistenti offerte di Goebbels e la stima di Hitler. Era l’intellettuale più corteggiato dai nazisti eppure non cedette. Anzi proprio con un nuovo esperimento letterario Il cuore avventuroso. Annotazioni di giorno e di notte del 1929, s’incammina decisamente verso la svolta ‘impolitica’ (assai diversa da quella delle Considerazioni di Thomas Mann). È una strana opera «autobiografica-surrealista», cadenzata in ‘Träume’, ‘Sogni’ quali capitoli dell’avventura del cuore, dell’interiorità che ormai sostiene la sua esperienza cruciale, quella centrale della scrittura. L’avventura onirica del Cuore Avventuroso rivela – nel senso: che manifesta, svela, ma anche vela di nuovo – la sua Vita Nova, legata all’apparizione di un misterioso maestro segreto, assai diverso dal Führer: «Nigromontanus m’insegnava la certezza che una scelta schiera fra di noi, da gran tempo toltasi dalle biblioteche e anche dalla polvere dell’arene, nelle più segrete stanze è al lavoro, in un oscurissimo Tibet. Egli mi parlava di uomini che siedono in notturne stanze, solitari, immobili come roccia donde prorompe la fiamma». 

La scrittura diventa criptica, enigmatica, i modelli sono quelli innovativi: Kafka, soprattutto Kubin e i surrealisti francesi. Proprio L’altra parte di Kubin s’impone come un’esperienza che non è solo letteraria, ma che avanza verso esperimenti di interioritàinoltrandosi vorticosamente verso segnature esoteriche, verso la porta magica dell’iniziazione, cui alludeva il maestro: «E diceva la morte essere il più meraviglioso fra i viaggi che l’uomo possa fare, un capolavoro di magia, il mantello supremamente invisibile, anche l’ironica replica nell’eterno contrasto, l’ultima e inattaccabile fortezza di tutti coloro che sono liberi e valorosi». Ma qualcosa dovette andar storto. Nei suoi ‘sogni’ – le stazioni dell’itinerario del Cuore Avventuroso – lo scrittore era alle tracce del maestro: «abitava a Braunschweig, al terzo piano di una casa in affitto, che s’innalzava presso il fiume Ocker, fra gli orti suburbani». Per lui era il tempo di lasciare – e per sempre – Berlino-Nollendorf, il quartiere della bohème, dei locali omosessuali, ma anche degli artisti e perfino di Rudolf Steiner, il fondatore dell’antroposofia. La città era divenuta ormai centro famelico e fanatico del potere nazista, e Jünger decise di ritirarsi per sempre nella silenziosa provincia tedesca, all’inizio a Goslar, dove dormiva, in un monte, Federico Barbarossa in attesa del risveglio per rifondare il vero Reich, non quello di Hitler, semmai Das Neue Reich, ancora evocato da Stefan George nel 1928. Eppure la seduzione del potere – sempre più a portata di mano – doveva essere irresistibile, provocando l’allontanamento dal maestro, causando un fallimento nell’impresa interiore, una disfatta spirituale: «Purtroppo è vero che io ben presto dimenticai i suoi insegnamenti; e invece d’insistere nei miei studi, entrai a far parte dell’Ordine dei Mauretani, questi subalterni politecnici della potenza», che ritroviamo nel romanzo simbolico, Sulle scogliere di marmo, il suo capolavoro. 

La trama della vita s’infittisce così come gli intrecci vieppiù minacciosi della grande politica in Germania, ormai in mano ai “Mauretani” e al loro Führer. Il romanzo del 1939 è una pista, appena visibile, appena accennata a un percorso di distacco definitivo dalla scena della politica. Jünger – e non fu il solo – si ritirò nell’ultima istituzione che garantiva una sicurezza dai coinvolgimenti e dalle insistenze naziste: nell’esercito, proprio mentre la censura si avvedeva che il romanzo era una sottile allegoria critica delle barbarie scatenate dai totalitarismi, e segnatamente da quello di Hitler, incarnato nella grandiosa e spaventevole figura del Forestaro, lo spietato regista del terrore e della catastrofe della civiltà, del ‘mondo di ieri’, ormai distrutto dalle sue orde sanguinarie. 

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Paradossalmente proprio al centro della tempesta Jünger trascorse anni di relativa pace, nella sede degli alti comandi della Wehrmacht, al Hotel Raphael di Parigi. Siamo alla nuova stagione ‘goethiana’ dello scrittore: come Goethe durante la ‘Campagna di Francia’ contro la Repubblica giacobina, si concentrava nello studio di piante, pietre e colori, appena notando la violenza della guerra cui pur stava partecipando, parimenti Jünger si esercitava al distacco contemplativo con uno scritto diaristico Giardini e strade del 1942, dove il conflitto pare esorcizzato dall’attenzione a eleganti paesaggi francesi. E così si confrontò, con estatico distacco, in soggiorni militari in Norvegia e nel Caucaso, testimoniati in varie occasioni diaristiche, fino al drammatico luglio del 1944 quando il colonello Claus von Stauffenberg attentò alla vita del Führer, quasi riuscendoci. La vendetta di Hitler fu tremenda con l’impiccagione dei congiurati. Jünger, che era al corrente dell’‘Operazione Valchiria’ (il nome in codice della cospirazione), fu risparmiato, ma dovette scomparire in un paesino tedesco. E inoltre si compì il dramma della morte di Ernstel, il primogenito, inviato in una famigerata Compagnia di disciplina in quanto noto alla Gestapo come disfattista. Salvato dal padre, venne tuttavia spedito per punizione sulle scogliere di marmo delle Alpi Apuane dove cadde – forse per fuoco amico – in uno scontro coi partigiani il 29 novembre 1944. La Germania e il suo popolo crollavano, dolore e morte non risparmiavano nessuno. Jünger aveva 50 anni, ne visse più di altri 50, appartato, soprattutto a Wilflingen nella dépendance della residenza degli Stauffenberg (imparentati con l’eroico ufficiale). Furono decenni di silenzi, di viaggi e di scrittura. 

A lungo fu considerato, a torto, un intellettuale organico al nazionalsocialismo e solo verso gli anni ‘80 del Novecento ebbe luogo una riabilitazione, per altro mai sollecitata, ma lasciata alla giustizia della storia. Jünger aveva una sua ricchissima attività scientifica lontana dalla scena culturale ufficiale. Era un appassionato e qualificato entomologo da quando suo padre gli aveva regalato la prima teca per collezionare coleotteri. Ne raccolse e catalogò più di 40.000, anche così seguendo Goethe, che aveva collezionato più di 60.000 pietre. E come il grande di Weimar, anche Jünger fu uno strenuo, infaticabile diarista e saggista. Riprese anche a scrivere romanzi; i più noti sono quelli utopici- distopici Heliopolis(1949) e Eumeswil (1977). Un altro meno noto, ma parimenti intrigante è il romanzo Le api di vetro del 1957, un racconto più che mai attuale con la narrazione di una civiltà completamente meccanizzata, automatizzata, in cui anche le api, anticipando i droni e utilizzando la nanotecnologia, volano ancorché vitree, in una società reificata, dominata da un capitalista discreto, riservatissimo, geloso della sua privacy, che vive in un casolare dei tempi passati, quelli ancora pensati per l’uomo. Lo scrittore non finisce di stupire: nel 1970 pubblica a mo’ di protocollo, Avvicinamenti. Droghe ed Ebrezza, dove raccoglie le sue esperienze con lo LSD che aveva sperimentato con il suo scopritore Albert Hofmann. A 90 anni pubblica un giallo, Un incontro pericoloso (Adelphi) ambientato a Parigi della Belle époque, terrorizzata dalle gesta criminali di Jack lo squartatore. L’incipit è di un’elegante freschezza sorprendente: «Era la prima domenica di settembre, una giornata azzurra. Spesso in quest'epoca lo splendore dell'estate concentra le sue ultime forze in un'ultima festa prima che avvampino i colori autunnali. Le notti sono più fresche; così l'alba si bagna di rugiada e la mattina è tiepida e gradevole. Il fogliame degli alberi si è scurito; si staglia contro il cielo come metallo a sbalzo. Anche nelle città si attenua la calura e vi penetra un'aura di lusso e di gaiezza». 

Nel 1987 ricevette a Roma il Premio Tevere e all’occasione accettò l’invito di recarsi a Napoli (per altro gratuitamente) perché tornava sempre almeno due volte in un luogo. Nel 1985 era voltato in Malesia a rivedere la cometa Halley che aveva visto nel 1910 e ne scrisse in Due volte Halley. Era convinto della concezione nietzschiana dell’eterno ritorno dell’uguale, della ciclicità dell’universo e della vita umana. Tutto due volte: due guerre, due mogli, due figli. A Napoli era stato la prima volta negli anni Venti durante i suoi studi universitari, alla Stazione Zoologica Anton Dohrn: allora veniva ironicamente chiamato “il dottor pescatore”. Il 5 ottobre del 1987, prima di entrare in città, mi chiese se c’era sempre quel caotico traffico che ricordava dal primo soggiorno. Lo stupore aumentò quando si avvide che il Vesuvio non fumava più. Capita in una lunga vita. Durante un serrato colloquio con Paolo Chiarini, Roberto Esposito, Enrico Filippini, Giacomo Marramao, Enzo Vitiello all’Università Suor Orsola nel pomeriggio che cominciò alle 17, rifiutò il caffè, preferendo, data l’ora, il vino. In tre ore di dibattito bevve, da solo, una bottiglia di Bordeaux (il suo preferito), apparsa magicamente. La discussione si rifaceva agli studi pioneristici di Ferruccio Masini e di Massimo Cacciari, confermando sorprendentemente una lettura di ‘sinistra’ dell’autore tedesco. La mattina durante una lunga passeggiata sul lungomare rievocò quelle intime, struggenti annotazioni sul paesaggio marino, affidate ai diari giovanili: «Sulla via di Capo Miseno e di colà verso Procida l’odor del mare mi parve intenso, penetrante e vivace più del solito. Ogni volta che io lo respiro, mentre seguo lo stretto orlo della scogliera lisciata dal mare, mi sento più leggero, il che è segno di un accrescimento del senso della propria libertà». 

Gli furono concessi ancora più di dieci anni di vita. Fu attento testimone della riunificazione tedesca, ma fu colpito da un altro grande dolore: il suicidio del figlio Alexander nel marzo del 1993, dopo un devastante ictus. 

La sua fu una lunga vita che terminò il 17 febbraio 1998. A suo tempo era stato chiamato il “maestro della gioventù”, ormai era diventato il maestro dei vecchi, perché era diventato maestro di se stesso. Finalmente. 

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