Gadda-Parise: «Se mi vede Cecchi sono fritto»

3 Settembre 2015

In prima approssimazione, questo libro si presenta come un esile carteggio fra Gadda e Parise, 15 lettere del primo e 3 del secondo, comprese fra l’ottobre 1962 e l’agosto 1963, seguito da quattro interventi di Parise su Gadda, sparsi fra il 1963 e il 1973, e da un breve dialogo giornalistico del 1967. Nella sostanza, si potrebbe però sostenere che si tratta di una vera e propria monografia di colui che figura come semplice curatore, Domenico Scarpa, corredata da testi rari e da alcuni inediti. Mi spiego. Il volume non ha introduzione; all’apertura, in medias res, il lettore trova la prima lettera di Gadda, datata «Roma, 29 ottobre 1962./ 19, via Blumenstihl», e lunga poco più di una pagina. Il commento, in corpo ridotto, ne comprende quasi 13, più 4 di note (essenzialmente, rinvii bibliografici). Il divario non è sempre così forte; ma, nell’insieme – e al netto della differenza di dimensione dei caratteri – il rapporto fra testo e commento è circa di uno a sette.

 

Da questi numeri si potrebbe evincere l’idea che stiamo parlando di un’opera insopportabilmente pedante: riservata agli specialisti, non solo, ma, anche dal punto di vista di uno studioso, non immune da qualche eccesso di minuzia documentaria. Ebbene, niente di più sbagliato. Valga il titolo: «Se mi vede Cecchi, sono fritto» – ovviamente una battuta di Gadda, e altrettanto ovviamente non leggibile in maniera univoca – è avvincente come un romanzo; o per dir meglio (come ha già sostenuto Andrea Cortellessa sulle pagine del «Sole 24 Ore») come una biografia, un’ampia sezione della biografia dell’Ingegnere che ancora ci manca. Con l’avvertenza, però, che in questo libro si parla in egual misura di Gadda e di Parise: si tratterebbe quindi, (se così si può dire) di una doppietta biografica, di una bi-biografia. Non è la prima volta che Domenico Scarpa si cimenta nel confronto tra due autori all’apparenza fra loro lontanissimi: ricordo, in particolare, il duplice accostamento fra Primo Levi e Giorgio Manganelli, consegnato agli speculari saggi Chiaro/Oscuro («Riga» n. 13, 1997: Primo Levi, a cura di Marco Belpoliti) e Oscuro/ Chiaro (in Storie avventurose di libri necessari, Gaffi, Roma 2010). Peraltro, occorrerà tener presente anche la scelta opposta: nel volume Uno. Doppio ritratto di Franco Lucentini (:duepunti, Palermo 2010) Scarpa aveva scorporato un consolidato binomio autoriale, parlando di Lucentini, per una volta (per due, anzi) senza Fruttero. E nel segno dell’esegesi una e bina, dell’intertestualità e della prassi traduttoria, andrà registrata anche la più recente Lezione Primo Levi (In un’altra lingua/ In another language, Einaudi, Torino 2015), tenuta a due voci da Scarpa (Leggere in italiano, ricopiare in inglese) e da Ann Goldstein (Quattro giovani soldati), artefice della versione in inglese dell’opera omnia dell’autore di Se questo è un uomo.

 

Tornando a noi: a differenza della coppia Levi/Manganelli, per Gadda e Parise era in gioco un rapporto personale, un’amicizia per più versi sorprendente, e quindi da esplorare, in primo luogo, sul terreno dei fatti. Di qui la forma del libro di cui stiamo parlando. Una monografia critica, sì, ma in forma di estesa, impregiudicata glossa: una glossa a quel poco che rimane di una corrispondenza che a sua volta rappresentava soltanto un aspetto d’una relazione che viveva soprattutto di incontri dal vivo (Gadda e Parise furono anche, a Roma, vicini di casa, in zona Monte Mario). Ma Scarpa glossatore – memore delle investigazioni pascoliane di Cesare Garboli – è mosso insieme da una meticolosità puntigliosa e da un’insaziabile curiosità. Ecco allora che, nello spazio delle postille a una ventina lettere, inquadra e mette a fuoco una stupefacente quantità di argomenti: la genesi delle opere dei due autori, il loro singolare sodalizio, i rapporti dell’uno e dell’altro con gli editori (Garzanti e Citati, Roscioni e Einaudi, Valentino Bompiani, Neri Pozza), i rapporti dell’uno e dell’altro con Montale («il Poeta»), Calvino, Piovene, nonché con direttori di quotidiani (in primo luogo il «Corriere della Sera»). Tra le conseguenze, un’espansione progressiva della cronologia. Certo, i dieci mesi del carteggio comprendono senza dubbio uno snodo cruciale nella storia di Gadda: oltre alle nuove edizioni einaudiane dell’Adalgisa e della Madonna dei filosofi e alla traduzione francese del Pasticciaccio (con un’importante prefazione di François Wahl), in quel torno di tempo escono da Einaudi La cognizione del dolore e da Garzanti Accoppiamenti giudiziosi, vengono assegnati a Milano i premi dell’Accademia dei Lincei e a Corfù il Prix International des Éditeurs (noto come Premio Formentor), il direttore del «Corriere» Alfio Russo avanza a Gadda una sospirata quanto tardiva proposta di collaborazione. Ma fatto centro sull’«anno gaddiano», il 1963, la disamina critica arriva poi ad abbracciare quasi vent’anni della vita di Gadda e almeno dieci di quella di Parise.

 

Carlo Emilio Gadda

 

La ricostruzione biografica (e quindi, in primo luogo, la ritrattistica psicologica) va di pari passo con l’analisi dei testi. Strada facendo, e colmando per via di deduzione o congettura le tessere mancanti del carteggio, Scarpa si sofferma su vari tratti distintivi della scrittura di Gadda, man mano che se ne presenta l’opportunità: il gusto delle scomposizioni etimologiche (obblighi/ob-liganti/ob-legarsi), l’orientamento eroicomico di certe climax, le neoformazioni lessicali, le metafore ricorrenti. Tra queste ultime, particolarmente gustosa quella dei fichi secchi, promossa a categoria definitoria (con l’annessa variante participiale rinficuzzito). Non tutte le indagini vanno a buon fine: misteriosa rimane la clausola della lettera n. 3, con l’allusione in dialetto ligure al serpente a sonagli («Evita, non è disonore, il morso del cròtalo, d’u serpente a sonági»). Di contro, altre immagini e altri vocaboli circolano fra scritti diversi tra loro e assai lontani nel tempo. Così l’aggettivo malïosa, il sostantivo sassonia, l’espressione rimedio eroico: e una citazione classica già attestata in un autocommento sul Pasticciaccio e in Eros e Priapo può tornare qui in chiave autoriflessiva («noi vecchi che, a dire di Tacito, siamo arrivati alla vecchiaia attraverso il silenzio»). Trame auto-intertestuali emergono altresì sul versante parisiano: ad esempio, un accenno di Gadda a un racconto del Cryptocephalus innesca una ricognizione sulle presenze di coleotteri in Parise, in prosa come in versi («Un coleottero color Radamès…»), con forti sospetti di proiezioni autobiografiche.

 

Un’attenzione particolare è riservata alle intuizioni interpretative, talora fulminanti, che emergono dalle varie testimonianze d’autore. Ad esempio: «pazzo-a-freddo», «surreale d’impeto, immediato e spontaneo» (Parise secondo Gadda, in una lettera a Citati); «un uomo sempre in fuga… un uomo che la crisi del nostro tempo ha buttato fuori del tempo» (Gadda – insieme a Lucio Piccolo – secondo Montale). D’altro canto, una volta chiariti i dettagli fattuali, forniti tutti i ragguagli reperibili (non esclusa l’identità di Bernardo Blumenstihl, cui era intitolata la traversa della Camilluccia dove Gadda abitava, e il carattere della portinaia ucraina del n. 19), una volta ricostruiti gli stati d’animo e lumeggiati i rapporti interpersonali (spesso assai ambigui), il tutto grazie a una mirabilmente capillare familiarità con documenti e bibliografie, il curatore-saggista non manca di operare affondi interpretativi. In particolare, meritano di essere ricordate le considerazioni circa l’«erotismo automobilistico» che unisce i due protagonisti di questa storia (pp. 90-96). Parise aveva una MG spider biposto, e amava correre, dalla velocità Gadda era insieme attratto e atterrito: nel «comportamento diametrale» dell’ingegnere, attestato anche da altri aneddoti (uno, in particolare, con lo scultore Francesco Messina), cioè nell’eccitazione del passeggero che pressoché simultaneamente implora il guidatore di rallentare e di accelerare, e intanto mette la mano sul freno, Scarpa ravvisa un «paradigma psicostilistico di Gadda», un «double bind di terrore e desiderio» di fronte alle «seduzioni della realtà».

 

Goffredo Parise

 

Il libro, come si diceva, non ha un’introduzione; ne fa le veci un saggio collocato a mo’ di postfazione, dal titolo Due complici in fuga, in cui Scarpa tira le fila della vicenda soffermandosi sulle questioni principali sollevate nell’apparato. Ne segnalo, fra le tante, due. In primo luogo, il comportamento di Gadda con le case editrici. Nel secondo dopoguerra egli firma ripetuti contratti ventennali di esclusiva con più editori, e, così facendo, da un lato dà la stura a interminabili rivalità e controversie, dall’altro si consegna a una sorta di «illibertà perpetua» paradossalmente simile a quella paventata nei riguardi del Nistitúo de vigilancia para la noche dal Gonzalo della Cognizione, ponendosi nelle condizioni di doversi in ogni momento giustificare: «giustificare il già fatto, il non ancora fatto, il da farsi, il da non farsi, la propria stessa esistenza in vita» (p. 311). In secondo luogo, la tonalità «ginnasiale» del sodalizio fra Parise e Gadda, che mostra spesso connotati di inconsueta serenità e spensieratezza. Da una parte il giovane e rampante scrittore vicentino, incline a relazioni con «grandi vecchi» (Scarpa accenna al bisogno “di una diversa biologia con cui entrare in tensione»); dall’altro lo scrittore anziano e ormai (malgré lui) famoso, che nelle qualità di Parise, «nella sua leggerezza, astuzia, beltà, fantasia e capacità di spreco (anche del proprio talento), avrà forse potuto intravedere qualche lontana sembianza di suo fratello Enrico» (p. 331).

 

In conclusione, non possiamo tacere una piccola riserva d’ordine editoriale. Nella trascrizione dei manoscritti si è scelta, come per il prezioso gemello Un gomitolo di concause. Lettere a Pietro Citati (1957-1969) curato da Giorgio Pinotti (Adelphi, Milano 2013), la soluzione più conservativa, che nella riproduzione degli autografi gaddiani prevede il mantenimento delle virgolette sfalsate (cioè all’inverso dell’uso tedesco: a sinistra in alto, a destra in basso), i puntini di sospensione in numero superiore a tre, le sottolineature. Confesso che a me paiono scrupoli eccessivi. In una pagina manoscritta l’organizzazione dello spazio è libera, la distanza fra le righe varia, e la sottolineatura può essere facilmente staccata dal testo; a stampa, non può che mortificare le grazie inferiori dei caratteri. Non voglio esagerare, chiamando in causa la qualità tipografica che Bodoni chiamava «incanto»; ma di fatto questa prassi finisce per offuscare una delle principali differenze fra i caratteri usati di preferenza per la stampa su carta e quelli più spesso adottati nei testi per gli schermi elettronici (senza grazie, ovvero sans serif). Ma si tratta, come si vede, di un’opinione a margine, che nulla toglie ai meriti del curatore, dell’editore, dell’editor.

 

 

 

Il libro:

Carlo Emilio Gadda, Goffredo Parise, «Se mi vede Cecchi, sono fritto». Corrispondenza e scritti 1962-1973, a cura di Domenico Scarpa, Adelphi 2015, pp. 346, € 18,00

 

 

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