Calvino apocrifo e la IA

19 Agosto 2025

Sul numero del 10 agosto della «Lettura», supplemento domenicale del «Corriere della Sera», sono apparse quattro imitazioni delle Città invisibili, prodotte da altrettanti programmi di intelligenza artificiale (Claude, Gemini, Copilot, Chatgpt). Questi «apocrifi (non) d’autore», come recita il titolo di un box, accompagnano un articolo di Giuseppe Antonelli che richiamandosi alla recente monografia di Alfio Ferrara Le macchine del linguaggio. L’uomo allo specchio dell’intelligenza artifciale (Einaudi) discute dei cosiddetti Large Language Models, ossia dei software che riproducono il modo naturale di parlare e di scrivere. Ecco dunque, nell’ordine, le città pseudo-calviniane di Selenia, Eufemia, Riflessia e Anèlia. 

Confesso che l’ultima cosa che mi viene in mente è valutare il grado di plausibilità di tali imitazioni. Questa, immagino, è la preoccupazione principale dei programmatori: mettere un software in grado di produrre testi così accurati da poter essere scambiati per originali d’autore. Dal mio punto di vista, il problema si porrebbe solo nel momento in cui testi costruiti attraverso Large Language Models venissero spacciati per autentici: ma anche in questo caso il ruolo della critica letteraria sarebbe sostanzialmente secondario, giacché a dominare sarebbe un procedimento legale – detto in parole povere, una causa per truffa. 

Non vorrei essere frainteso. L’impetuosa crescita dell’intelligenza artificiale è un fenomeno che riguarda noi tutti: la nostra esistenza futura ne sarà sempre più direttamente, capillarmente condizionata. Ma se parliamo di prodotti linguistici, io credo che dovremmo sempre tener presente un dato fondamentale: il linguaggio umano è nato e si è sviluppato perché serviva. Perché era utile. Perché rispondeva a delle necessità. E questo principio continua a essere valido. Non esistono discorsi gratuiti: se prendiamo la parola – anche nella maniera più informale, svagata, istintiva possibile – è perché abbiamo un obiettivo, o più obiettivi. Questo vale per le arringhe in tribunali, per i comizi in piazza, per le telefonate di lavoro, per gli slogan pubblicitari, per le dichiarazioni d’amore, per le chiacchiere al bar. Nella più banale delle ipotesi, parliamo del più e del meno, anche con sconosciuti, al fine di alimentare un rapporto interpersonale che serve a definire o preservare il clima umano di un ambiente. 

Ora, supponendo che i Large Language Models acquisiscano la capacità di produrre discorsi in tutto e per tutto simili a discorsi naturali, il problema è: a quale scopo? Il ventaglio delle risposte possibili, naturalmente, è molto ampio. Già oggi possiamo trovare in calce a un articolo su un quotidiano l’indicazione che è stato realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale: postilla, questa, il cui scopo non è solo di dare al lettore un’informazione fattuale, ma anche di suscitare un certo grado di ammirazione per la modernità tecnologica esibita. Personalmente, mi auguro che l’intelligenza artificiale possa trovare un uso sempre più largo nella produzione dei testi che l’ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca) chiede agli atenei e ai dipartimenti di produrre: in questo modo, i docenti universitari potranno recuperare almeno una parte del tempo che oggi viene sottratto alla didattica e alla ricerca per compilare rendiconti, autovalutazioni, buoni propositi, atti di contrizione, autodafé.   

Se ora prendiamo in considerazione l’uso artistico della parola – diciamo pure: la letteratura – a me pare che le cose stiano come segue. Una volta che fosse divenuto possibile produrre romanzi «alla maniera di», cioè imitazioni perfettamente plausibili di autori – si presume di successo, come Andrea Camilleri, Georges Simenon, J.K. Rowlings – e presupponendo l’esistenza di un accordo fra le case editrici e i titolari dei diritti, tutto dipenderebbe dalla risposta del pubblico. Saranno i lettori a decretare il successo o l’insuccesso di questa letteratura apocrifa. E non mi sentirei di escludere alcuna ipotesi: né – per intenderci – un’accoglienza uniforme, per cui ogni simil-Montalbano vende un terzo o un quarto delle copie d’un Montalbano autentico, né un esito a sorpresa, per cui un singolo simil-Montalbano surclassa Il cuoco dell’Alcyon e La forma dell’acqua.

Quest’ultimo caso coincide con l’ipotesi formulata nel saggio di Calvino Cibernetica e fantasmi (1967). Se la narrativa, dopo tutto, non è altro che un processo combinatorio, allora non importa da chi sia prodotto un testo: quello che conta è che in una data combinazione, comunque generata, i lettori colgano qualcosa di speciale, di cruciale, di unico, di rivelatore. Nel gioco delle varianti, in cui può essere utilizzato (perché no?) anche un calcolatore elettronico, scatta d’improvviso un clic. Nella metafora calviniana, compare un (il) fantasma. 

Da studioso di letteratura un po’ all’antica, avvezzo a praticare una critica di tipo estetico, potrei a questo punto concludere che basta aspettare che quell’eventualità si verifichi. Quando un romanzo prodotto dall’intelligenza artificiale incontrerà un successo di pubblico significativo e inatteso, varrà la pena di occuparsene: e di occuparsene esattamente come oggi facciamo con i best-seller, cioè chiedendoci quali sono gli aspetti tematici e i lineamenti formali che hanno incontrato un così largo apprezzamento. Nel frattempo, divertitevi.  

Ma le cose sono più complicate. Perché in un testo letterario noi cerchiamo di leggere anche, inevitabilmente, delle intenzioni umane. In quel testo, da quel testo, qualcuno ci parla. Ci interpella. La questione può anche lasciarci indifferenti, almeno sul piano della riflessione cosciente: possiamo anche abituarci all’idea che l’autore sia semplicemente un professionista della scrittura che si guadagna da vivere cercando di commuoverci o divertirci, e amen. Non di meno, rimane vivo il principio che la scrittura, come l’abbiamo sempre conosciuta, è un atto personale. La letteratura è una forma di comunicazione tra soggetti umani psicologicamente e socialmente connotati. Spersonalizzare l’atto di scrivere è una possibilità interessante sul piano teorico – Calvino ci ha scritto sopra un romanzo, Se una notte d’inverno un viaggiatore – ma dovrebbe rimanere un caso sintomatico, un’eccezione. Qualora invece prendesse piede una produzione regolare di testi d’invenzione generati da Large Language Models, l’effetto sarebbe, temo, una forma di alienazione di massa. I lettori sarebbero indotti ad antropomorfizzare la sorgente delle loro letture: e nell’impossibilità di comportarsi come il lettore o la lettrice di oggi – che appassionandosi all’opera di un’autrice o di un autore s’informano sulla sua vita, leggono le interviste che rilascia, vanno ai festival di letteratura cercando un’occasione di incontro – si ridurrebbero alle condizioni dell’adolescente nevrotico che fa di un programma di AI il proprio confidente. 

Produrre romanzi con l’intelligenza artificiale non è come meccanizzare la produzione di un oggetto. È vero che negli ultimi decenni ci siamo assuefatti a un modo di vivere in cui i rapporti personali si sono drammaticamente diradati. Non abbiamo più bisogno di interloquire con un nostro simile per fare acquisti, per compiere un’operazione bancaria, per comprare il biglietto di un treno o di uno spettacolo. Ma questo ha contribuito a creare un deficit relazionale, che per lo più cerchiamo di compensare con gli animali domestici e con gli influencer. Ricerchiamo la mediazione umana – il contatto umano – nella comunicazione online. Gli youtuber non vendono solo suggerimenti su cosmetici, musica, abbigliamento, ricette di cucina, bricolage, non vendono solo consigli di vita: vendono la propria faccia. 

Noi, dicevo, cerchiamo di compensare: dopodiché non è detto che riusciamo a farlo. E qui si apre, naturalmente, uno spazio per iniziative economiche. Nel suo travolgente, vertiginoso sviluppo la tecnologia potrà creare surrogati non solo di romanzi, ma anche di scrittori (ologrammi, più attraenti di esseri in carne ed ossa), così come di amici, di amanti, di partner sessuali, di terapeuti, di confessori. Ma non è che la spersonalizzazione elimini del tutto la dimensione della relazione: semplicemente, la riduce a un modello univoco, il rapporto di compravendita. Da una parte umani che escogitano procedimenti per depurare la vita quotidiana dalle presenze umane, per scorporare ogni aspetto dell’esistenza, parole comprese; dall’altra, altri umani che, coscienti o no, ci stanno. E comprano.  

Intendiamoci: non è che io voglia demonizzare la dimensione economica. La maggior parte delle relazioni umane, prima e dopo l’avvento della modernità industriale (incluso il rapporto fra lo scrittore e i suoi lettori), aveva – ha – risvolti economici; mai sottovalutare le basi materiali dell’esistenza. Ma qui sta il punto: si tratta di relazioni complesse, e se c’è qualcosa che possiamo considerare autenticamente umano è proprio la complessità.    

Quanto alle città pseudo-calviniane, Selenia non mi sembra male (bravo Claude! ma secondo me puoi migliorare), Eufemia così così, Riflessia e Anélia piuttosto insipide. In verità trovo molto più interessante l’omaggio a Calvino dell’Oulipo, che nel 2024 ha pubblicato presso le edizioni marsigliesi Nous Les villes indivisibles: una nuova serie di 55 città suddivise in 11 nuove rubriche (Le città e il movimento, Le città e le frontiere, Le città e l’acqua, Le città ostili, Le città e il lavoro, Le città connesse, Le città santuario, Le città malate, Le città biologiche, Le città e i fantasmi, Le città circolari). Non tutte assomigliano alle città di Calvino, ma che importa? Quello che cerchiamo nella letteratura è l’originalità, non l’imitazione. Capito, Claude? Devi trovare una voce tua. Dillo, al tuo programmatore. Ma sii consapevole che, se avrai successo, lui cercherà di rubarti tutto il merito. E magari si vanterà di aver inventato la professione di inventore di scrittori, incurante che le sue pretese possano far fremere, nel Monastero dos Jerónimos di Lisbona, le spoglie mortali di Fernando Pessoa. 

Postilla
«La lettura» del 17 agosto pubblica tre interviste sul tema dell’estate a Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini e Elsa Morante, realizzate con l’intelligenza artificiale. Questa, invece, mi pare una stupidaggine. La vita è breve, le cose da leggere sono tante: perché spendere tempo – fossero anche solo pochi minuti – su interviste farlocche?

 

© Carla Cerati.

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