Leggere Carla Lonzi

5 Dicembre 2025

Armande sono io! inaugura il dittico teatrale che Ateliersi dedica a Carla Lonzi – femminista, saggista, critica d’arte ed editrice – e che si completerà nel 2026 con Taci, anzi parla, lavoro costruito a partire dagli ampi diari dell’autrice. La prima tappa di questo percorso è la trasposizione teatrale dell’omonimo volume postumo pubblicato da Scritti di Rivolta Femminile, Armande sono io!, in cui Lonzi intreccia autobiografia, pratica femminista, riflessione sul teatro e una ricerca sul movimento seicentesco delle Preziose, comunità femminile che si afferma in Francia a metà Seicento e che Molière prende di mira in testi come Les Précieuses ridicules (1659). In occasione del debutto abbiamo incontrato le studiose e le artiste che stanno lavorando ai materiali lonziani: la regista e attrice Fiorenza Menni (FM), le scrittrici Sara De Simone (SDS) e Caterina Venturini (CV), tutte e tre interpreti e drammaturghe del progetto, e la storica Lorenza Moretti (LM), consulente alla drammaturgia. Lo spettacolo debutta il 5 e 6 dicembre alla Sala Mercato di Genova all’interno del Festival dell’Eccellenza al Femminile (XXI edizione) e si vedrà poi all’Arena del Sole di Bologna dal 12 al 15 febbraio. Taci, anzi parla! arriverà invece nell’autunno 2026.

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Com’è nata questa avventura?

SDS Dal desiderio di un confronto serrato con la scrittura privata e politica di Carla Lonzi. Spesso di figure come Lonzi o Virginia Woolf si parla per slogan, senza conoscerne davvero storia e testi. Per questo abbiamo scelto la sua opera meno nota e più dimenticata, iniziata nel 1979 e pubblicata postuma: un testo in cui Lonzi ingaggia un corpo a corpo con Molière, ritrovando nelle sue commedie Le intellettuali e Le preziose ridicole temi e dinamiche che risuonano con il femminismo, con la sua vita e con le questioni che la attraversavano. Armande, protagonista delle Intellettuali, è la donna che Clitandre aveva corteggiato prima dell’inizio dell’azione, e che poi l’uomo abbandona per la sorella minore Henriette, più disposta a concedergli “privilegi” che Armande non gli accorda. Lo stesso schema – osserva Lonzi – si ripete nella sua biografia: anche il suo primo amore, dopo due anni, le preferì la sorella minore Lidia. Il testo nasce in un momento in cui Lonzi sta affrontando anche la possibile fine della relazione con Pietro Consagra. Dello stesso periodo sono infatti le conversazioni registrate con lo scultore, confluite in Vai pure, recentemente ripubblicato dalla Tartaruga (che sotto la direzione di Claudia Durastanti sta ripubblicando tutte le opere di Lonzi). Da qui siamo partite, interrogando i materiali dalle nostre diverse prospettive.

Cosa accadrà in scena?

FM Abbiamo scelto una forma ibrida tra scena e conferenza. Per me il teatro vive sempre sul confine tra realismo e visionarietà, e la conferenza offre possibilità stilistiche e ritmiche molto interessanti in questo senso. Raccontare l’intreccio tra storia del femminismo e movimento delle Preziose è uno strumento imprescindibile per entrare nel pensiero di Lonzi. In scena, le elaborazioni lonziane si specchiano nelle dinamiche drammaturgiche di Molière: relazioni, sessualità, qualità dei legami. Io interpreto Lonzi in sé, Lonzi nei panni di una Preziosa, la personaggia Armande delle Intellettuali e me stessa. Sara e Caterina portano se stesse e i loro testi critici originali. Lo spettacolo è articolato in cinque scene e si apre con la trasposizione della registrazione in cui Carla racconta ad Anna Piva la genesi della sua ricerca sulle Preziose.

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Quale Lonzi incontreremo nello spettacolo?

FM Una donna uscita dal mondo dell’arte contemporanea nel momento di massima affermazione come critica e mai più tornata sui suoi passi. Carla Lonzi decide a un certo punto di non rimettere piede in una galleria, e così farà fino alla morte. Anche quando, poco prima della scomparsa, nel 1981 Germano Celant le chiese di scrivere un pezzo di presentazione per il catalogo che accompagnerà la mostra Identité italienne, al Centre Pompidou di Parigi, dove sono presenti alcuni artisti a lei vicini, accoglierà l’invito ma per ribadire ancora più radicalmente il suo punto di vista. Sono altri i territori che, arrivata a quel punto, vuole esplorare.

Perché lascia il mondo dell’arte?

LM Perché, da un lato, vede nella storia dell’arte un discorso costruito da uomini per un pubblico femminile. E perché, dall’altro, per Lonzi, la relazione tra artista e critico è una relazione inautentica: il critico è un “filtro”, pone una barriera, una mediazione, fra il gesto artistico e lo spettatore o la spettatrice dell’opera. Nel ruolo del critico intravede una modalità relazionale tipicamente maschile.

CV C’è un punto nevralgico e attualissimo situato nel suo rapporto col potere. Carla Lonzi era scomoda ai suoi tempi e lo è ancora di più oggi. La cosa certa è che non forzeremo la sua storia per renderla più assimilabile alle nuove generazioni e a noi stesse. Le sue posizioni sono radicali. È stata un’allieva di Roberto Longhi e ha rinunciato a una brillante e avviata carriera nel mondo della storia dell’arte e della critica perché ha scelto di non compromettersi con il potere dominante. Un potere maschile, violento, in cui il grande oppresso è la donna. Per le sue posizioni ha litigato anche con Carla Accardi, discusso con altre compagne marxiste che invece non volevano rinunciare alla lotta e all’attivismo antagonista insieme con gli uomini. È una posizione con la quale è molto difficile fare i conti oggi, soprattutto perché la nostra è una generazione di donne che ha avuto molto a che fare con l’emancipazionismo e col voler occupare posti che erano prima riservati solo agli uomini. Il messaggio di Carla è diverso. Lei ci invita ad andare proprio da un’altra parte rispetto a dove sta il potere. Ricordiamoci che siamo negli anni Settanta. Il suo pensiero va storicizzato e contestualizzato. Noi abbiamo un posizionamento, siamo tutte femministe, ma proprio perché il femminismo non partecipa di un (unico) potere non dobbiamo al femminismo una coerenza di bandiera. Ognuna di noi è femminista secondo le proprie coordinate biografiche, geografiche e culturali. Riconosciamo a Lonzi una serie di grandissimi meriti, ma lasciamo intatta una sorta di “grande sporgenza” dei testi, cercando di restituirli, senza voler compiacere nessuna posizione. Contestualizzare è fondamentale anche per restituire a Carla la sua personale singolarità biografica. Che diventa poi politica. Lei parla dal punto di vista di una donna che vive la grande rivoluzione degli anni Settanta, che non è solo quella femminista, ma anche quella del Sessantotto, con cui lei ha un rapporto di conflittualità perché dice addirittura che il femminismo non è una costola di quel momento storico, comunque inserito in una cornice ancora patriarcale e maschile, ma in realtà in ogni epoca (come dimostrano le stesse Preziose) ci sono state donne che si sono rese conto della propria condizione di subalternità. Storicizzare e contestualizzare consente di avvicinarci e distanziarci allo stesso tempo da Carla Lonzi, cioè di avere un rapporto dialettico con quello che dice.

SdS In questo senso partire dall’opera più sconosciuta ci permette proprio di proporre dei testi in maniera seria e filologica, e di non allinearci a slogan o riduzioni in pillole di Lonzi e dei femminismi.

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Come nasce l’interesse di Lonzi per il teatro?

LM È una delle sue prime passioni. Dedica la tesi al rapporto tra arti figurative e scena. In seguito alla prima delusione amorosa lascia Firenze per Parigi, dove incontra gli attori del Théâtre National Populaire. Dopo il rifiuto radicale della cultura maschile negli anni Settanta – Sputiamo su Hegel è un titolo emblematico – all’inizio degli anni Ottanta torna a questo suo interesse con una prospettiva molto cambiata.

FM Percorrere la sua ricerca nel teatro è stato per me un attraversamento composto di progressivi disvelamenti, una serie di scoperte in successione che si sono manifestate con una forte carica emotiva. Il fatto che dopo decenni di pensiero e scritture eccezionali sulle relazioni, Lonzi abbia avuto l’intuizione di cercare nelle scritture per il teatro alcune conferme, o – come dice lei – “dei precedenti” al suo sentire, me l’ha fatta sentire estremamente vicina, ha aggiunto un ulteriore grado di complicità. Lonzi è interessata al teatro per come la scena “riflette le cose della vita”, per la sua relazione con le costanti del sentire umano. È molto interessante il fatto che, raccontando la trama che Molière architetta per Le intellettuali, Lonzi sfumi la finzione verso il reale: parla di Armande come se fosse trattata da Molière non in quanto figura di fantasia, ma come una persona reale. Come se Molière stesse fraintendendo e deridendo il pensiero e le azioni di una persona vera, e non del personaggio da lui immaginato. Così facendo, Lonzi fa emergere in maniera netta la capacità del teatro di porsi nello spazio di compresenza tra realtà e finzione.

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Perché tornare a Lonzi oggi?

SDS In un momento in cui i femminismi si confrontano sempre più spesso col mainstream mi sembrava molto importante tornare ai testi di Lonzi, per restituire il senso della complessità del suo pensiero e delle sue parole. Senza sovrainterpretazioni, senza attualizzazioni, senza spiegazioni, senza difese, senza accuse. Cercare di avere cura del testo, ingaggiando un corpo a corpo vero per confrontarci parola con parola con il suo pensiero, con cui possiamo essere d’accordo ma anche no.

FM Io stessa ho sentito la necessità di dare voce al mio posizionamento rispetto a quelle parole. Mi sono collocata all’interno di una polifonia di voci femminili. Che siano all’interno dell’attivismo femminista o che non lo siano. Ho sempre attraversato le questioni proprie del femminismo principalmente attraverso il teatro. In questi mesi è stato fondamentale per me capire la misura di quello che succede al femminismo fuori dall’attivismo. Ho capito che è davvero urgente allargare quell’insieme di voci.

CV Il femminismo non dovrebbe mai essere declinato al singolare, ma sempre al plurale. E dovrebbe esserci spazio per tutti i femminismi, fatto salvo il rispetto per tutte le soggettività. Altrimenti ricadiamo in un discorso patriarcale di canone con relative inclusioni ed esclusioni da una norma una volta per tutte configurata. L’indicazione che con questo spettacolo vogliamo dare rispetto a una postura femminista è prioritariamente una: quella di leggere i testi. Leggere davvero è un atto politico, perché significa fare spazio a una voce affinché ci attraversi nitida. Questa è la nostra responsabilità.

Le foto di prova dello spettacolo sono di Margherita Caprilli.

L’ultima immagine è una foto di Carla Lonzi, per gentile con cessione di Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus–Fondo Carla Lonzi. Elaborazione grafica Diego Segatto.

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