5 per mille

Le visioni inquietanti dell'Art-Rock

30 Giugno 2025

In questo ciclo di tre mostre, ECHOES, ospitato dalla Fondazione Luigi Rovati di Milano nel suo incantevole piccolo padiglione, ora è la volta di “Pink Floyd, Yes, Genesis: nuove percezioni della realtà”, fino al 27 luglio 2025. Lucio Rovati lo scrive bene nella sua introduzione al timone del progetto, il catalogo curato da Francesco Spampinato: «Si tornava a casa dal negozio di dischi e ci si accingeva con emozione ad aprire quelle confezioni incellofanate, a depositare con cura il long-playing sotto la puntina del giradischi e ad accomodarsi aprendo come un libro quelle enormi copertine per seguire la voce con cui la voce del gruppo ci portava nel suo mondo». La gatefold sleeve, confezione “a tre facciate” di quegli LP anni Settanta è proprio il cuore delle evocazioni di ECHOES: quello era lo spazio di un’arte speciale, nuova, “art-rock”, il luogo concettuale in cui Pink Floyd o Genesis si affidavano all’espressione grafico-pittorica per dire qualcosa di più della loro musica e dei loro testi; quelle tre facciate di lp aperte tra le mani furono un luogo immaginario nella nostra adolescenza, un altrove sconosciuto in cui evadere, rifugiarsi, inquieti.

Il reale reinventato

Del primo capitolo di ECHOES ha scritto qui Claudio Castellacci, ora è la volta di entrare nella stanza che apre agli anni Settanta. I Sessanta si erano conclusi con le estreme lavorazioni in studio di Beatles e Beach Boys (Brian Wilson), spinte oltre il reale dalle visioni psichedeliche generate dai trip LSD. Ora il portale del mondo invisibile è spalancato, in particolare dal suono dei Pink Floyd. Il loro quinto album, Atom Heart Mother, inaugura i Settanta. Già Lennon-McCartney e Brian Wilson avevano forzato il pop commerciale dei 45 giri lavorando a progetti unitari in studio, lontano dai concerti live; dalla carnalità sudata e orgiastica, dionisiaca dei Sessanta ci si era rintanati nel culto apollineo della perfezione sonora, sfruttando le potenzialità tecnologiche dei nuovi studi di registrazione, in cui si insinuavano le prime sirene dell’elettronica. Non ricordiamo più “quella canzone”, ma “quell’album”, perché la narrazione consumistica del singolo si trasformava nella lunga narrazione di un ciclo di brani spesso lunghissimi, capitoli di un racconto che estraeva dal reale chi ascoltava e lo trasportava in luoghi immaginari. Nei concerti live cominciavano le grandi teatralizzazioni, le prime proiezioni luministiche: non erano più così centrali il corpo del cantante o del chitarrista; contava la “grande visione”. Si andò dal cantare al viaggiare, dal song al trip.

Se dormissi, potrei sognare
Se avessi paura, potrei nascondermi
Se impazzissi
per favore, non mettermi i tuoi fili nel cervello

cantava Roger Waters in If, rielaborazione di una poesia di Rudyard Kipling: la proattività dello scrittore, una sorta di esortazione alla resistenza e alla resilienza, diventava deliquio psichedelico.

Chi ha ideato la cover di Atom Earth Mother? Chi ha fotografato quella mucca? Lo studio fotografico Hipgnosis, ovvero Storm Thorgerson e Aubrey Powell, poi Peter Christopherson.

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Conoscenza onirica

Hipgnosis ha ideato quasi tutte le copertine degli album dei Pink Floyd. Per Spampinato la perfetta invenzione fu «la copertina di The Dark Side of the Moon (1973), un prisma che su sfondo nero rifrange la luce in uno spettro cromatico, ispirata da un’illustrazione tratta da un libro di fisica. Anche questa immagine fu presentata senza accompagnamento di elementi tipografici, trasposizione visiva della musica come stato mentale e al contempo un simbolo distintivo». Il simbolo, l’affastellare in una scena icone apparentemente svincolate da una narrazione “logica”, erano state il tratto stilistico della pittura surrealista da Magritte in poi; decenni dopo ecco che la nuova generazione di musicisti si ritrova in coincidenza visionaria: il cervello viene spinto dall’LSD a vedere ciò che non si vede nel reale. Questo è il simbolo esoterico: un oggetto tangibile che evoca significati non verbalizzabili, comprensibili solo a chi è istruito a coglierli. Liquid Dark Side of the Moon - B, Cape è uno dei pezzi d’arte esposti nella mostra, che Lucio Rovati ha acquisito alla collezione in una delle rielaborazioni originali del 1993 di Storm Thorgerson della cover del disco.

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Dean fantasy

La seconda personalità artistica che si rivela nella mostra (gratuita) in miniatura nel giardino della Rovati è quella di Roger Dean. Gli Hipgnosis lavoravano sulla immagine fotografica, e inserzioni manipolatorie durante la fase di sviluppo, Dean era un incantevole disegnatore decisamente surrealista, con paesaggi fantascientifici o fantasy, e ha firmato per tutti i Settanta le cover degli Yes: la birbantella Yes, Yesterdays (1973) è uno dei preziosi pezzi acquisiti dalla Fondazione Rovati.

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Roger Dean, Yes, “Yesterdays”, 1973 Credit Roger Dean.

Bimbe mozzateste

La galleria di visioni immaginarie si chiude con Paul Whitehead, che ritengo il meno datato tra tutti, quello che per classe pittorica ancora oggi vale di per sé, contemplato come singolo “quadro”: è lui a dare immagini ai primi album dei Genesis, da Trespass del 1970; in Fondazione Rovati con questo ci sono anche gli originali olio-su-tela 46x92 delle cover successive di Nursery Crime (1971) e Foxtrot (1972); le sinfoniche ballads del primo Peter Gabriel (cui sarà dedicata la parte 3 di ECHOES, sempre qui dal 3 settembre al 26 ottobre 2025), intrise di riferimenti teatralissimi come lo storytelling vintage dei moderni saltimbanchi Genesis; le tre tavole, surreali e inquietanti come veri De Chirico o Dalì, messe vicine sono intriganti, hanno tocchi crudeli e delicati, post-vittoriani, con certi ghirigori erotici alla Aubrey Beardsley:

E la bambinaia ti racconterà bugie
su un regno oltre il cielo
ma io sono perso in questo mezzo-mondo
sembra che ora non c’entri più nulla.

In copertina, Paul Whitehead.

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