Uno “sviluppo sostenibile” anche per la pubblicità? / Il sedere di Dolce & Gabbana

30 Agosto 2017

La camera parte dal basso e sale verso l’alto, percorrendo il torace del corpo statuario del famoso modello David Gandy e mettendo accuratamente in evidenza i suoi genitali. La modella Bianca Balti attende invece passivamente sdraiata su un gommone che galleggia in mezzo alle azzurre acque di Capri. Lui si butta dall’alto degli scogli sopra di lei, una facile metafora di un rapporto sessuale che poi sembra effettivamente verificarsi. Perché lui appoggia il suo corpo su quello di lei, che lo abbraccia e con una mano gli abbassa il costume scoprendogli il sedere. È quello che succede in uno spot pubblicitario del profumo Light Blue Eau Intense di Dolce & Gabbana, che da oltre un mese passa frequentemente sui nostri schermi televisivi.

 

Nessuno ha protestato. Qualcuno avrà pensato che, in fondo, non si tratta di uno spot pubblicitario particolarmente scandaloso, perché è simile a tanti altri che passano abitualmente in televisione. Ma è proprio questo il punto: da tempo la pubblicità, con l’enorme quantità di messaggi che produce e trasmette, sta spostando progressivamente in avanti i confini di quello che nella società può essere considerato accettabile sul piano morale e gli spettatori sembrano vivere tutto ciò senza particolari problemi. In questo caso, è la prima volta che viene mostrato in pubblicità un sedere nudo in bella evidenza. Negli anni Settanta, hanno fatto molto scalpore i sederi femminili fasciati di jeans che Oliviero Toscani ed Emanuele Pirella hanno mostrato all’Italia intera sui manifesti della marca Jesus, ma quei sederi erano appunto coperti.

 

È dunque necessario lamentarsi dell’utilizzo da parte delle aziende di spot pubblicitari che fanno un deprecabile impiego del corpo umano. Cioè che propongono alle persone dei modelli di comportamento discutibili sul piano morale. Perché numerosi decenni di ricerche sull’efficacia della pubblicità hanno mostrato che non è possibile stabilire l’esistenza di un’influenza direttamente esercitata da parte di un singolo messaggio pubblicitario sull’atto d’acquisto dell’individuo, ma hanno anche fatto vedere che un’influenza comunque esiste ed è quella che viene esercitata dall’enorme quantità di messaggi pubblicitari trasmessi. Esiste cioè una specie di “effetto cumulato” della pubblicità considerata nel suo insieme. Anche perché, mentre un film o una fiction televisiva vengono visti solitamente dallo spettatore una sola volta, un messaggio promozionale viene invece ripetuto decine di volte nell’arco di una giornata. E, poiché è trasmesso in uno spazio mediatico pubblico, viene visto da tutti, bambini compresi. Il problema è appunto questo: chi fa pubblicità possiede una responsabilità morale nei confronti degli spettatori ai quali si rivolge e soprattutto nei confronti di alcune categorie di spettatori più deboli.

 

David Gandy e Bianca Balti, protagonisti dello spot di D&G.


È importante allora che la società si preoccupi dello “sfruttamento” pubblicitario del corpo umano.

 

Sembra però che questi argomenti interessino ben poco nella società italiana contemporanea. E, visto quello che passa quotidianamente sugli schermi televisivi, sembra interessarepoco anche al Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria e all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che dovrebbero per loro natura occuparsene allo scopo di bloccare i messaggi che non rispettano le regole morali vigenti. Il tema invece è fondamentale per un Paese che voglia considerarsi civile e richiede di essere messo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Occorrerebbe addirittura che nascesse un movimento d’opinione in grado di opporsi con fermezza a quello che vediamo ogni giorno sui nostri schermi televisivi. Se no continueremo anche nei prossimi anni a chiederci da dove viene quell’assurda violenza che si scatena sempre più frequentemente verso molte inermi donne da parte dei loro mariti e compagni. Perché, finché questi continueranno a vedere grandi quantità di corpi femminili trattati come oggetti nei messaggi proposti dai media e dalla pubblicità, saranno inevitabilmente indotti a pensare che anche le loro donne sono degli oggetti privi di umanità e dei quali è possibile sbarazzarsi con estrema facilità.

 

Certo, è necessario tutelare la pubblicità, perché questa svolge un ruolo particolarmente importante per il funzionamento dei sistemi economici e per la sopravvivenza dei sistemi mediatici dei Paesi avanzati e deve sicuramente continuare a poterlo svolgere. Ma è troppo chiedere che possa essere creato uno “sviluppo sostenibile” anche per la pubblicità? Che cioè si provi a cercare di conciliare le necessarie esigenze di promozione dei prodotti delle imprese con il doveroso rispetto per la dignità umana nei messaggi che vengono presentati? Nella lunga storia della comunicazione pubblicitaria è stato dimostrato numerose volte che le aziende vendono molto meglio i loro prodotti quando riescono a stimolare l’intelligenza di chi guarda, anziché quando cercano di solleticare i più bassi istinti degli spettatori.

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